Ascanio Celestini: Nubi nere sul futuro di Bella Ciao

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Il Comune di Roma taglia i finanziamenti al festival teatrale ideato e diretto dall’attore, una delle iniziative di maggior popolarità della capitale, che ora rischia la chiusura.

di Ascanio Celestini

Carissimi volontari, tecnici, artisti, organizzatori, cuochi, librai, editori, comunicatori, animatori, grafici, coordinatori, uffici stampa, fotografi, tipografi, scrittori, giornalisti, critici, intellettuali, amici, qualche amministratore sensibile, spettatori e lavoratori di vario genere che siete passati dal festival Bella Ciao, grazie a tutti!

Per quattro anni, e quest’anno più dei precedenti, il festival l’abbiamo fatto per motivi di orgoglio.
Ci sembrava una bella cosa vedere il piccolo teatro del Me-Ti al centro anziani della Romanina, Sandro Cianci in piedi dietro al mixer con le musiche registrate su audiocassette.
Ci pareva una bella novità Marco Paolini che cantava nel parcheggio di piazzale Cinecittà in mezzo alla rughetta.
Ci ha fatto una bella impressione sentire i ragazzi della Banda X di Pasquale Innarella suonare in diretta su radio 3.
Faceva un bell’effetto assistere al dibattito di Franco Fracassi con gli spettatori che avevano visto il suo film sull’11 settembre e sono rimasti per quasi due ore seduti sulle panche della birreria a fare domande.
E’ stata una bella esperienza passare la notte con la polifonia popolare dei Cardellini del Monte Amiata, dei tenores di Seneghe e della Squadra di Genova. Eccetera.

In fondo ai nostri programmi abbiamo sempre scritto che l’ingresso era gratuito fino a esaurimento posti.
E i posti sono quasi sempre andati esauriti.
Persino sotto la pioggia della nostra prima notte bianca quando alle nove di sera gli spettatori hanno aperto gli ombrelli e Mimmo Cuticchio ha incominciato a raccontare in siciliano le storie di Giufà e Yousif Latif Jaralla gli rispondeva in arabo. Quella notte gli spettatori sono rimasti fino a mezzanotte con gli ombrelli aperti per Nicola Piovani che suonava bella ciao e sono restati sotto l’acqua fino alle 5 di mattina per ascoltare le suites di Bach suonate da Mario Brunello. Ha continuato a piovere tutti gli anni e un paio di spettacoli sono pure saltati, ma gli spettatori non sono mancati mai.
Persino quest’anno quando c’è stato un mezzo nubifragio sono arrivate quasi trecento persone per Mario Perrotta.
Persino nella periferia della periferia romana, in un quartiere che ancora non ha un nome.
Persino nello spazio che ci ha ospitato in questa quarta edizione, le Officine Marconi, un posto affascinante e disastrato, sconosciuto e ostaggio della burocrazia e della sottocultura palazzinara.

L’abbiamo fatto per motivi di orgoglio e perché abbiamo pensato di costruire una manifestazione culturale che nella città di Roma mancava. Un festival politico che portasse un teatro che non c’è o è invisibile, che riportasse in teatro dei contenuti che in questi ultimi anni l’arte sembra ignorare.

Qualche giorno fa Alemanno in una lettera pubblicata sull’Espresso ha portato come esempio il nostro festival scrivendo che “la manifestazione Bella Ciao non solo non è stata cancellata, ma è stato riconfermato per intero il suo finanziamento nel corso di una conferenza stampa in Campidoglio alla quale ha partecipato lo stesso Ascanio Celestini”. In quella conferenza stampa io c’ero, ma lui non s’è visto. Forse è per questo che nella lettera in questione gli è scappato di scrivere una bugia. Perché il finanziamento è stato tagliato per più di un terzo, ovvero di quasi quarantamila euro rispetto all’anno scorso. E più che dimezzato rispetto alla cifra richiesta per il progetto presentato mesi fa.
E meno male che si trattava di una lettera che il sindaco ha scritto per precisare e per spiegare bene la posizione e il comportamento dell’istituzione che rappresenta!
Il suo assessore alla cultura in un’intervista ci ha suggerito di mettere un biglietto, di far pagare l’ingresso. Indirettamente l’abbiamo fatto in questi ultimi due anni nell’anteprima che si tiene a Frascati. Fin dall’inizio siamo stati ospiti del festival Frammenti che sopravvive grazie a un piccolo finanziamento e alla sottoscrizione del pubblico e non può fare a meno di un biglietto che lo tenga in piedi.
Ma in tutti gli altri incontri, presentazioni, incursioni, spettacoli e proiezioni che abbiamo tenuto a Cinecittà, Ciampino, Pomezia e alle Officine Marconi di Tor Vergata il pubblico ha avuto la possibilità di assistere gratuitamente.
In questa parte della città c’è poco più di un multisala con una programmazione di film-panettone spalmata su tutti i giorni dell’anno, c’è un teatro parrocchiale sempre chiuso, un paio di eventi a Capodanno e in primavera, l’attività di qualche centro sociale e centro giovanile e poco altro.
Sono certo che Bella Ciao ha senso soltanto se riesce a crescere, a trasformarsi in un centro di ricerca permanente, in un osservatorio sulle dinamiche sociali e le risorse culturali del territorio, in un laboratorio. Non soltanto un insieme di prodotti culturali messi a disposizione, ma uno strumento per produrre cultura in maniera partecipativa.
Sono certo che ha senso solo se cresce e resta gratuito.
La cultura a pagamento è un prodotto come l’acqua in bottiglia. Pensiamo che Bella Ciao debba essere un bene pubblico come l’acqua della fontanella.

Perciò il festival cresce o muore o si trasforma.
La prima possibilità mi pare poco probabile, ma aspettiamo qualche settimana nella speranza che le istituzioni si preoccupino un po’ meno di fare bella figura scrivendo lettere ai giornali (con una spolveratina di fantasia) e lavorino un po’ di più per non perdere le risorse che si sono ritrovate in eredità.
La seconda possibilità è quella che abbiamo davanti.
Per la terza ci stiamo lavorando.

Grazie a tutti e buone giornate.

Ascanio Celestini

(7 ottobre 2008)



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