Ateobus, la sagra della sciocchezza
di Pierfranco Pellizzetti
A vicenda conclusa, con l’abiura galileiana dell’agenzia che cura le affissioni mobili di AMT, possiamo dirlo: l’intera vicenda degli “ateobus” è stata una vera e propria sagra della sciocchezza. Gli autisti che minacciavano “l’obiezione di coscienza” (e così facendo potevano candidarsi a un processo di beatificazione quali martiri della fede sul posto di lavoro)… i turbamenti annunciati di viaggiatori solitamente frettolosi, d’improvviso diventati teologi da concilio di Nicea o Calcedonia…
Ma anche le provocazioni chiassose cui si è consacrata l’associazione promotrice della tentata affissione mobile non brillano certo per lucidità; già a partire dalla sua denominazione, che unisce termini sostanzialmente antitetici quali “ateo” (cioè chi prende particolarmente a cuore la questione del divino) e “agnostico” (cioè chi di tale questione se ne infischia). Associazione segnalatasi a suo tempo per un’altra iniziativa peregrina come quella dello “sbattezzo”, che finisce per dare estrema importanza a un rito destinato a restare inerte nella misura in cui il diretto interessato non gli attribuisce rilevanza.
D’altro canto il diritto costituzionale alla libera espressione non prevede deroghe nei casi di accertata labilità. O in materia di creanza e buon gusto.
L’affermazione che “dio non esiste” lede le convinzioni di qualcuno? Di molti? E perché non tenere in debito conto come tutta l’iconografia cattolica tridentina – tra il necrofilo e il sado-maso, con quel crocefisso grondante sangue e contorto nel rigor mortis – potrebbe indurre effetti devastanti ben più gravi su personalità sensibili?
Così come il martirologio per ragioni assai poco chiare del dio incarnato (c’era un altro dio che aveva bisogno di sacrifici cruenti per riconciliarsi con l‘umanità?): una vicenda assai male congegnata.
Del resto i propugnatori della tesi contraria all’inesistenza di dio non ci hanno dilettato con le loro capacità argomentative. In sostanza: “dio esiste… perché esiste”. Ma quale dio? Il “deus sive natura” caro a Baruch Spinoza, ossia “la potenza inconsapevole” di Bertrand Russell, oppure il dio-persona, magari con barba fluente e bicipiti possenti quale ce lo rappresenta Michelangelo negli straordinari affreschi della Cappella Sistina?
In sostanza l’intera vicenda è solamente l’ennesima riprova della rozzezza estrema con cui è in corso lo strombazzato “ritorno di dio”, in un Paese ormai largamente secolarizzato quanto culturalmente devastato dalla colonizzazione consumistica. Alla totale insegna dell’oscurantismo. Cui sparute minoranze si contrappongono con frizzi e lazzi, non con un pensiero alto e robusto.
Mentre va costituendosi una sorta di “Santa Alleanza dei benpensanti”, che imbarca tutti i propugnatori della Restaurazione possessiva (i fondamentalisti della “roba”). Papisti come presunti laici. Anche a scapito delle loro antiche identità.
Lo pensavo venerdì scorso assistendo alla rimpatriata di antichi militanti del PLI; oggi per lo più seduti sullo strapuntino offerto da Silvio Berlusconi, che consente loro di proseguire in carriere politiche personali di assai scarsa rilevanza generale.
Un consesso entusiasmato dall’annuncio che nella nuova appartenenza partitica – il sedicente Partito delle Libertà – stava realizzandosi l’incontro tra la cultura liberale e quella cattolica.
Ma il PLI non era anticlericale (almeno nella sua cospicua componente massonica)?
Di questi tempi conta solo che si crei, grazie a tali sciocchezzai di cultura politica, una maggioranza in grado di sostenere gli attuali equilibri per interi lustri. Contro i cui effetti perversi dovrebbe metterci in guardia un maestro di pensiero liberale (poco letto e meditato anche da chi lo cita ossessivamente) quale Alexis de Tocqueville.
Chiamasi dittatura della maggioranza, di cui a Genova abbiamo visto un bell’esempio nella vicenda “ateobus”. Magari a danno di minoranze altrettanto sciocchine.
Pierfranco Pellizzetti
(19 gennaio 2009)
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