Avvenire e il complotto massonico
Emilio Carnevali
Sulla campagna contro i privilegi ecclesiastici in tempo di crisi l’Avvenire ha tirato in ballo un fantomatico complotto radical-massonico. Ma alla Chiesa conviene farsi difendere da argomentazioni palesemente destituite di ogni fondamento?
«In poche parole voi signori vi mettete d’accordo coi liberali, che dico coi liberali! con i massoni addirittura a nostre spese, a spese della Chiesa. Perché è chiaro che i nostri beni, quei beni che sono il patrimonio dei poveri, saranno arraffati e malamente divisi fra i caporioni più imprudenti; e chi, dopo, sfamerà le moltitudini d’infelici che ancora oggi la Chiesa sostenta e guida?». Così padre Pirrone, il cappellano di casa Salina, si rivolgeva al principe Fabrizio nel Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. Ma il principe non si scomponeva: aveva già capito ciò che sfuggiva al povero gesuita, terrorizzato dallo sbarco dei Mille in Sicilia e dall’imminente fine del regno borbonico: «Ce ne vorranno di Vittori Emanueli per mutare questa posizione magica che sempre ci viene versata».
Anche oggi forse occorrerebbe un principe di Salina per spiegare ai difensori più esagitati e nervosi dei privilegi della Chiesa cattolica che davvero non corrono alcun pericolo. Qui non è nemmeno necessario che «tutto cambi perché tutto rimanga come è». Molto più semplicemente, e molto meno gattopardescamente: nulla cambierà e tutto rimarrà come è. Basta osservare quali sono le posizioni all’interno dell’attuale maggioranza di governo (vedi da ultimo le dichiarazioni del segretario del Pdl Angelino Alfano) e di larghi settori dell’opposizione di centrosinistra per rendersi conto di come non ci sia una sola possibilità su cento che con questi equilibri politici in parlamento si metta mano alla complessa materia dei rapporti economici fra Stato e Chiesa.
Stupisce quindi il vigore dell’allarme lanciato dal direttore di Avvenire Marco Tarquinio dalla prima pagina del quotidiano dei vescovi dello scorso 27 agosto. Ma stupisce ancor più il carattere dell’argomentazione con la quale si contesta la «campagna politico-mediatica che è stata scatenata contro la Chiesa».
Dietro a tutto, infatti, ci sarebbe un complotto “radical-massonico”. “Radical” nel senso di Partito Radicale, il «più amato e amplificato da certi colleghi e più fervente nello spacciare leggende nere e cifrati anatemi contro la Chiesa». “Massonico” proprio nel senso della Massoneria, del Grande Oriente d’Italia, impersonato dalla figura del Gran Maestro Gustavo Raffi, l’uomo che lo scorso 19 agosto avrebbe lanciato – da dietro le quinte – il grande segnale dopo il quale si sarebbe scatenata «all’unisono» la brutale campagna anti-ecclesiasta.
Ora, che i radicali italiani godano di grande influenza sui principali organi di informazione nazionale è tesi quanto mai incerta, dal momento che nonostante le loro presunte ingenti entrature nei grandi media quasi nessuna televisione o giornale si è occupato della campagna che – quella sì in modo martellante! – stanno conducendo negli ultimi mesi sull’emergenza carceri (la povera deputata radicale Rita Bernardini, che – munita di tanta “carità cristiana” – ha passato l’agosto in giro per i penitenziari di mezza Italia, deve aver sbagliato qualcosa nell’inviare i comunicati stampa ai suoi intimi amici direttori di testata se praticamente nessuno l’ha degnata di uno sguardo).
Che poi dietro questa “campagna” ci sia la regia occulta del Gran Maestro Raffi è una tesi così ridicola da far sorridere se la si leggesse con la firma di qualche parroco di campagna sull’ultimo dei settimanali diocesani, mentre risulta penosa e imbarazzante se compare sulla prima pagina del giornale ufficiale dei vescovi italiani.
È vero che le radici della mentalità complottista affondano nelle zone più profonde dell’animo umano. Ha detto giustamente Umberto Eco che le teorie del complotto sono un facile strumento di controllo della realtà quando la sua complessità sfugge alla nostra capacità di decostruzione: l’umanità «ha paura di non spiegarsi quel che accade: meglio accettare che sottoterra ci sia una regia occulta. L’angoscia scatena la mania del complotto che finisce per tranquillizzarci». È una tesi sovrapponibile a quella espressa da Bauman nel suo Modernità liquida, dove il sociologo dà conto dello spaesamento prodotto dal panorama sociale della seconda modernità: «Uomini e donne sono naturalmente tentati di ridurre la complessità della loro condizione al fine di rendere le cause della propria miseria intelligibili e dunque affrontabili e suscettibili di rimedio».
Ma delle teorie del complotto si è anche storicamente servito il potere costituito per screditare gli avversari politici o individuare un utile capro espiatorio. Pensiamo all’ascesa del regime nazista: l’incendio del Reichstag di cui nel 1933 furono ingiustamente accusati i comunisti servì a Hitler a sciogliere il parlamento e a sostituirlo con un’assemblea consultiva formata interamente da nazisti. Per non parlare del ruolo svolto dai Protocolli dei Savi di Sion nella diffusione dell’antisemitismo.
Più recentemente abbiamo avuto un vero boom di teorie complottistiche e dietrologiche che hanno invaso la rete e i social network, non ultima una che metteva in relazione il recente terremoto giapponese con l’Haarp, il progetto del Dipartimento della Difesa Statunitense che studia la propagazione delle onde radio nella ionosfera e gli effetti dei campi magnetici sulle telecomunicazioni.
Ci permettiamo dunque di dare un piccolo consiglio non richiesto ad Avvenire. Lasci stare le fantasie cospirativiste, tanto più che nella sfida complottista la Chiesa può star sicura di trovare avversari con parecchie frecce al proprio arco viste le numerose opacità dei meccanismi di funzionamento della sua organizzazione bimillenaria, globale e oltremodo complessa: il successo di Dan Brown non ha insegnato nulla?
Segua piuttosto i saggi suggerimenti di un acuto intellettuale cattolico come Alberto Melloni, che, sul Corriere della Sera di domenica, scriveva: «Farebbero malissimo i vescovi a sottovalutare la richiesta che arriva da più parti e che riguarda i “sacrifici” che anche la Chiesa dovrebbe fare nell’indomabile montare della crisi». Il denaro dato alla Cei, ha scritto ancora Melloni, ha eroso qualcosa di assai profondo per la Chiesa italiana, «e cioè la sua fede nella povertà come via necessaria della Chiesa, secondo il limpido dettato della costituzione conciliare Lumen Gentium 8.
Perché – come ha insegnato l’emersione dei crimini di pedofilia – ogni consiglio evangelico può essere vissuto in modo estrinseco o profondo: e come la superficialità esalta le turpitudini, la sincerità anche debole accresce la virtù. Così la scarsa fiducia, per dir così, nella povertà ha sottratto alla Chiesa una credibilità di cui oggi avrebbe bisogno, per essere nella svolta che stiamo vivendo fattore di unità profonda del Paese».
(29 agosto 2011)
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