Barbara Balzerani: l’entertai-rrorism ha trovato la sua soubrette

Elettra Santori

Nelle note biografiche di Barbara Balzerani ‒ brigatista mai pentita né mai dissociata ‒ che rimbalzano su internet di sito in sito, meccanicamente copincollate da scriventi poco accorti, c’è una qualifica professionale che è un pugno in un occhio: “Dirigente” della colonna romana delle Brigate rosse. Cosa diavolo c’entra questa carica dal sapore aziendalista con un gruppo terroristico che i «dirigenti bastardi» li freddava sotto casa o li faceva ritrovare nel bagagliaio di una macchina infarciti di pallottole? Tra di loro, i brigatisti si chiamavano compagni o col nome di battaglia, altro che qualifiche dirigenziali.

Strana abitudine, questa di affibbiare titoli manageriali ai terroristi (di cui Balzerani non è l’unica a fruire). A chi giova? Ma alla stampa, bellezza. Serve ai giornalisti per autoassolversi e legittimarsi a intervistare senza troppi sensi di colpa gli assassini di Moro in occasione del quarantennale. Come dire, vedete, noi facciamo parlare il management, il ceto riflessivo armato, gli intellettuali del mitra. Mica ci interessa il terrorista bum-bum che tentava la rapina in banca e poi freddava i carabinieri inseguitori tra le pozzanghere delle campagne emiliane, questa non è roba per noi, che se ne occupi la Leosini a “Storie maledette”. Noi, invece, parliamo solo con le menti che possono spiegare, aiutarci a capire…

Smessi i panni grigio-piombo di manager del terrore per intervenuta carcerazione, Barbara Balzerani ha ottenuto prima la condizionale e poi è tornata definitivamente in libertà. Oggi è una scrittrice di successo. Il suo primo libro, “Compagna Luna”, di fatto la sua autobiografia, ha un titolo che è metà idillio leopardiano, metà Cantico delle creature, ma la scrittura qua e là è da volantino Br, sul genere catilinaria marxista-leninista: «Nell’ossessiva reiterazione di formulette scaccia fantasmi con cui si liquidano le Brigate Rosse staccandole per lesa appartenenza al contesto di scontro sociale in cui sono nate e in cui sono morte, si assiste ad un fenomeno preoccupante di assenza di ogni filo di ragionamento», rampogna l’autrice a pagina 121. Non mancano cambi di passo, nella scrittura di sorella Luna: virate intimistiche con cui prova a raccontare la storia interiore della sua adesione alla banda armata e i rapporti mancati con i genitori.

Si avverte il suo sforzo di inventarsi un sentire che non ha mai provato ‒ un’impotenza affettiva che nelle recensioni entusiastiche al libro viene contrabbandata come asciuttezza, lucidità, mancanza di retorica ‒, ma niente da fare: nonostante gli sforzi di esprimersi in una scrittura più empatica, la cifra stilistica che più le appartiene resta quella del ciclostilato brigatista. Di certo, non le mancano lettori, case editrici disposte a pubblicarla, e tanti amici su Facebook, dove esterna post raggelanti come quello scritto giorni fa, all’avvicinarsi delle celebrazioni per il rapimento Moro: «Chi mi ospita oltreconfine per i fasti del 40ennale?». E giù 175 like (ma il post viene immediatamente rimosso).

Il suo appeal mediatico è innegabile e il curriculum se ne accresce: scrittrice asciutta, project manager del delitto Moro, e ora anche influencer. Girando l’Italia di libreria in centro sociale per promuovere i suoi romanzi, tra una presentazione+reading e una presentazione+ricco apericena non manca di rilasciare dichiarazioni a palle incatenate sulle vittime del terrorismo: «C’è una figura, la vittima, che è diventato un mestiere, questa figura stramba per cui la vittima ha il monopolio della parola. Io non dico che non abbiano diritto a dire la loro, figuriamoci. Ma non ce l’hai solo te il diritto, non è che la storia la puoi fare solo te». E rincara la dose affermando, con ortopedico cinismo: «Non è che se vai a finire sotto un’auto sei una vittima della strada per tutta la vita, lo sei nel tempo che ti aggiustano il femore».

Tutti i giornalisti che danno voce agli ex brigatisti dicono di farlo perché animati dal nobile desiderio di capire (che sarebbe nobile davvero se realmente fosse desiderio di capire). Solo che poi non pongono le domande giuste, quelle incalzanti e scomode, che riempiano i buchi della storia brigatista ancora vacanti. Si presentano come indagatori dell’occulto, e poi l’occulto resta lì, inviolato, protetto dalla deferenza che chi usa la penna nutre da sempre verso chi sa usare il mitra. Si ammantano di virtù e conoscenza, ma altro non fanno che del normale infotainment pescando nella necrocultura che si diletta con la morte violenta. Le Balzerani vengono fuori così, da questo incontro tra domanda e offerta di cultura necrofila, come circenses di un establishment che le mastica e le sputa, le mitizza e le normalizza, suscitando a un tempo ripulsa e appeal; e infine le disinnesca nei meccanismi dell’entertainment. O meglio, dell’entertai-rrorism, è il proprio il caso di dire.

(21 marzo 2018)





MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.