Barca: “Basta con la sinistra moderata, serve radicalità per battere Salvini”
Giacomo Russo Spena
Applaudito alla kermesse del Pd, l’ex ministro e portavoce del Forum disuguaglianze e diversità auspica che Zingaretti inauguri una nuova stagione: “Si è aperta una lunga strada che prova a riportare – in una sinistra da anni egemonizzata dal neoliberismo – una cultura che vede la giustizia ambientale e sociale come i veicoli dello sviluppo. Certo, sarà una battaglia”. E poi aggiunge: “Bisogna porsi il problema di rappresentare i subalterni, solo così si sconfigge la destra”.
I numeri ci consegnano un Paese in depressione e attanagliato da diversi mali: dall’emergenza disuguaglianze all’aumento della disparità Nord/Sud, dall’immobilismo dell’ascensore sociale alla precarietà diffusa e il working poor. Intanto la crescita economica va a rilento e l’Europa ci sta con il fiato sul collo. Caro Barca, siamo pagando le conseguenze dell’assenza di politiche industriali?
Sicuramente, se per politiche industriali intendiamo l’assenza di quelle mission di indirizzo di cui il capitalismo ha enormemente bisogno. Ne necessitano sia le grandi che le piccole imprese, soprattutto in un Sistema produttivo come il nostro. Da trent’anni non esiste una strategia di sviluppo e ciò ha alterato gli equilibri interni: ha fatto crescere le città in una direzione impropria, ha svuotato le campagne deindustrializzando, ha aumentato la concorrenza avvantaggiando le imprese che assumono con contratti pirata. Ancora, per chiudere il quadro, nel campo del welfare l’assenza di visione strategica ha messo in difficoltà il sistema organizzativo di cittadinanza utilizzandolo per ridurre i costi e far pagare bassi salari, non per il suo contenuto innovativo.
Il governo giallorosso, almeno finora, non sembra all’altezza delle sfide… o sbaglio?
Mi colpiscono due aspetti. Il primo: nel programma sancito tra Pd e M5S si parlava di proposte concrete sul lavoro, penso al salario minimo o ad una nuova legge sulla rappresentanza. Sono proposte di buon senso, eppure rimangono inattuate.
Il secondo aspetto?
La continuità di Conte come presidente del Consiglio, da un governo all’altro: è un elemento anomalo in un assetto democratico.
Il governo è in profonda difficoltà sul caso Ilva ed è spaccato al suo interno. Qual è l’exit strategy per far coesistere lavoro e diritto alla salute?
A Taranto si sta consumando una tragedia: anni di vuoto politico hanno portato allo sfacelo attuale. Se già 12 anni fa fosse esistito un consiglio del lavoro e della cittadinanza – cose che come Forum proponiamo – ovvero un luogo dove gli interessi ambientali e quelli del lavoro si fossero potuti confrontare, avremmo realizzato investimenti per la tutela dell’ambiente evitando la crisi odierna.
La nazionalizzazione potrebbe essere una soluzione?
Essendo stato, da ministro, tra i responsabili dell’aver fatto inserire il richiamo al principio costituzionale della nazionalizzazione nella norma che approvammo durante il governo Monti… la nazionalizzazione è certo un’opzione.
In una precedente intervista mi aveva dichiarato che il capitalismo andava ridiscusso e che era il momento di scelte radicali. Ne è ancora convinto?
In questo momento bisogna farsi sentire dalle persone che stanno male e che traducono la loro rabbia in odio verso quelli che stanno peggio di loro. Bisogna dare, in maniera convincente e credibile, la sensazione che un’alternativa esiste, come effettivamente esiste. Quindi sì, serve assolutamente radicalità e sarebbe grottesco se chi crede nell’emancipazione sociale sia più cauto dei liberali anglosassoni che avvertono la gravità della situazione. Siamo giunti ad un paradosso: la sinistra è più moderata dei liberali.
“Le disuguaglianze sono una scelta” spiega l’economista Antony Atkinson. In effetti veniamo da 20/30 anni di subalternità culturale al neoliberismo – dove ha regnato il pensiero unico dominante – e di trionfo dell’austerity. Quanta autocritica deve compiere la sinistra?
La sinistra ha subito l’egemonia culturale del neoliberismo, si è convinta che non ci fosse alternativa e che lo Stato non avesse le competenze per gestire i processi di globalizzazione. Andava fatto l’esatto contrario perché lo Stato era chiamato, invece, a svolgere ancora con più vigore una funzione di indirizzo per tutelare imprese, lavoratori e consumatori. La sinistra ha finito – sbagliando – per indebolire il pubblico sancendo, per prima, lo slogan “il pubblico è peggio del privato”. Assistiamo al capovolgimento dei ruoli: la sinistra è stata meno fiduciosa nello Stato della destra conservatrice.
In questi mesi il Forum ha lavorato nella società entrando in relazione con l’associazionismo e la cittadinanza attiva, intanto 4 giovani a Bologna hanno lanciato le “sardine” generando un movimento che sta scendendo ovunque in piazza contro Salvini. Questa accumulazione sociale che ricadute ha in termini di rappresentanza?
Questo è il vero tema perché nell’ambito dell’egemonia culturale del neoliberismo c’era anche un travisamento del ruolo dei partiti ai quali si negava la funzione di rappresentanza e si attribuiva solo quella di responsabilità. Come ci ha spiegato bene Piero Ignazi nelle sue analisi, schiacciando i partiti di sinistra sullo Stato – sotto il mantra della “responsabilità” – si è assunta una funzione totalmente elitaria. Qual è l’alibi con cui la sinistra ha potuto cadere in questo errore? L’alibi della società liquida. Ci si è raccontati: dato che le identità si erano frammentate, i partiti non potevano più svolgere il compito di rappresentare la società.
Che cosa trova di assurdamente sbagliato in questo ragionamento?
L’idea che la società abbia una sua naturale, oggettiva rappresentazione. Ci siamo dimenticati che sono i rappresentanti a dover rappresentare la società, le categorie sociali non esistono in natura ma sono il prodotto di una data lettura della società. Ora il dramma consiste nel fatto che la sinistra ha cessato di avere una lettura della società.
Lei è stato recentemente alla kermesse del Pd a Bologna ed è stato anche molto applaudito per il suo intervento in cui ha chiesto un “cambiamento radicale”. In mancanza di altri soggetti, il Pd derenzizzato è il luogo giusto per far vivere le proposte del Forum?
No, le proposte del Forum vivono anche attraverso l’interazione con le organizzazioni di cittadinanza, il sindacato e le città. Ad esempio, siamo attuando progetti a Milano e Napoli. Dopodiché c’è il nodo del rapporto con i partiti e noi ci relazioniamo sui temi sia con il Pd che, individualmente, con esponenti del M5S e di altri partiti.
Restano gli applausi presi alla kermesse del Pd…
Dobbiamo dare merito a Zingaretti e Cuperlo di aver avuto il coraggio di approcciarsi in maniera nuova, rispetto al passato, a ciò che si muove fuori il Pd provando ad instaurare un dialogo reale con la cittadinanza attiva. Un confronto che si è basato su temi concreti, non sulle proposte di candidature. Non un tavolino collaterale in cui venire a raccontare ogni organizzazione per conto suo il suo cahier de doléance sulla mobilità piuttosto che sulla scuola o sulla cooperazione. Ma un tavolo generale in cui le organizzazioni, non solo il Forum, sono state chiamate a esprimere una valutazione di sistema.
Pensa veramente che Zingaretti e Cuperlo abbiano cambiato il paradigma e che il Pd possa evolversi?
Mi limito a dire che Zingaretti e Cuperlo hanno cercato di aprire una nuova stagione. Una stagione difficile per la refrattarietà al confronto culturale che è maturata all’interno del Pd e che si è manifestata durante le tre giornate in una discrasia tra una reazione straordinaria della com
ponente giovanile in sala – interessata ai contenuti, al tema della giustizia sociale e priva di pregiudizi ideologici – e, invece, una vecchia classe dirigente che ha reputato il mio intervento “lontano dalla realtà”. Hanno reputato le mie parole belle ma non utili all’azione per una sinistra responsabile e di governo: sono ancora vittime della cultura neoliberista, temono il conflitto. Come se la decisione di legiferare per un salario minimo legale o per l’aumento sulla tassa sull’eredità o l’idea di ridare una missione strategica alle imprese pubbliche o di riorganizzare l’amministrazione pubblica o di contrastare la precarietà giovanile non siano atti di una concretezza straordinaria. Si potrebbero fare già domattina se ci fosse la volontà di invertire rotta. Serve il coraggio di scelte radicali e non velleitarie, il senso comune non cambia da un giorno all’altro.
Come traduce, fuori dai denti, queste contraddizioni interne al Pd?
Registro che si è aperta una strada, una strada lunga che prova a riportare – in un contesto da anni egemonizzato da culture neoliberali – una cultura che vede la giustizia ambientale e sociale come i veicoli dello sviluppo, come una carta anche per le imprese migliori, innovative, che non pagano salari di fame, che non scaricano sul lavoro la volatilità del mercato. Secondo Carlo Borgomeo sono la fonte dello sviluppo. Perché lo capiscano e lo traducano nelle loro polis ci vorrà del tempo. È una battaglia.
Passiamo ad altri temi programmatici: il segretario della Cgil, Maurizio Landini, ha proposto la pensione a 62 anni, condivide o meno?
Se c’è qualcuno che con la Quota 100 ti ha levato castagne dal fuoco… vai avanti! Pensiamo al futuro dei giovani, alla gig economy, al precariato diffuso, all’uso dell’intelligenza artificiale. Temi sui quali lavoriamo con Cgil. Queste sono le priorità.
Passiamo alla riforma della Buona Scuola e all’alternanza scuola/lavoro. È per abrogare entrambi i provvedimenti provando a riconsegnare alla scuola una centralità persa nel tempo in nome dei profitti e dei presidi manager?
Considero la Buona Scuola la più grande occasione perduta da Matteo Renzi: c’erano dentro idee significative, all’inizio, ma poi è riuscito nell’impresa di mettere i dirigenti scolastici contro gli insegnanti! Per ridare centralità alla scuola non si può trascurare il tema della lotta alle diseguaglianze: il Forum, nel prossimo biennio, si porrà l’obiettivo di affrontare in maniera radicale il tema della povertà educativa.
Abbiamo assistito all’inondazione di Venezia. Il problema si palesa nell’incompiutezza del Mose per le ruberie varie che ben conosciamo o in Italia dobbiamo smetterla di pensare a grandi opere (Mose, Tav, Ponte sullo stretto, Tap) e focalizzarci su un programma di messa in sicurezza del territorio con tante piccole opere ambientali?
Non la compro la contrapposizione astratta piccole opere contro grandi opere. Perché non si sposta il ragionamento? A me preoccupa l’interesse strategico. E quindi un’opera è giustificata dal fatto che essa appaia funzionale alla qualità della vita, in primis al miglioramento della vita dei subalterni e di chi pagherà le conseguenze dell’infrastruttura in questione.
In base alla relazione dei costi/benefici, è contro la Tav Torino-Lione?
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