Barca: “Liberare i giovani e dargli potere per far rinascere l’Italia”

MicroMega

A conclusione dell’iniziativa “Protagonisti di Futuro. Voci, storie e proposte di giovani” tenuta lo scorso 23 settembre a Roma e promossa dal Forum Disuguaglianze e Diversità nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile di Asvis, MicroMega ha intervistato Fabrizio Barca, coordinatore del Forum.

Intervista a Fabrizio Barca di Daniele Nalbone

Professor Barca, al centro dell’incontro del 23 settembre a Roma ci sono state soprattutto le testimonianze dei giovani. Inizio chiedendole: quali sono le loro rivendicazioni?

L’elemento comune a tutti gli interventi che ci sono stati, e in generale ai tanti ragazzi e alle tante ragazze che abbiamo incontriamo nel nostro percorso con il Forum, è sfatare la narrazione incentrata sul fatto che non guarderebbero avanti, che non sarebbero in grado di concettualizzare. “Non credono nel sistema” o “non vogliono ragionare” sono le frasi che sentiamo spesso ripetere a chi occupa ruoli di rappresentanza e di potere. Invece abbiamo ascoltato testimonianze di un forte impegno: c’era chi proviene da esperienze difficili, chi ha subito fortemente le conseguenze della pandemia, chi si sta industriando per aggiustare ciò che si è rotto. C’era una parte di mondo giovanile impegnata attivamente e una parte, diciamo così, di riflessione che attraverso discussioni e confronti, l’impegno associativo, riflette sul sistema, sulle scelte da fare, sulle alternative.

Nel suo intervento conclusivo ha parlato della necessità di accresce la libertà, la responsabilità e l’indipendenza dei nostri giovani e di ridurre il peso che la presenza o l’assenza della ricchezza familiare ha nel divaricare i destini dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze. Ci spiega perché questi termini? Libertà, responsabilità e indipendenza.

Quando si usano tre parole, le seconde due servono a dare il senso e forza alla prima. Se dicessi solo “libertà” non si capirebbe cosa intendo. La libertà l’ha invocata anche Boris Johnson sottolineando che in nome della libertà individuale non è possibile obbligare la popolazione a portare le mascherine. La libertà unita alla responsabilità e all’indipendenza è invece la capacità – e il dare la capacità – per i singoli giovani di fare delle scelte responsabili e indipendenti che sviluppino la loro persona umana. È la Costituzione a parlare di libertà sostanziale, quella libertà che trova il suo essere non nell’“io” ma nel vivere responsabilmente con gli altri. È reciprocità. Aver declinato male il concetto di libertà, in maniera individualista, ha indebolito ogni forma di protezione. In una comunità ognuno deve proteggere gli altri attraverso forme di organizzazione della società civile, del lavoro, dello stato democratico. L’indebolimento in primis dello stato democratico e del lavoro ha invece respinto i giovani nella famiglia, oggi unico luogo di protezione. Questo però ha un doppio effetto: crea discriminazione a seconda delle famiglie, e non mi riferisco solo alle possibilità economico ma al numero di libri a disposizione di un giovane e al numero di parole che si pronunciano in quella casa, e carica la famiglia di responsabilità enormi. Per questo è necessario ricostruire forme di protezione collettiva e sociale. Come sostiene Andrea Morniroli, coordinatore dello staff del Forum Disuguaglianze Diversità, servono “reti di reti”. Un esempio virtuoso è arrivato proprio nei mesi più duri della pandemia: genitori e insegnanti hanno recuperato un rapporto, un capitale che oggi dobbiamo sfruttare e che ha sanato quella frattura, quella contrapposizione, che si era creata tra scuola e famiglie.

Lei ha dichiarato che una soluzione alla crisi generazionale c’è. Anzi, che ce ne sono tre. Analizziamole una per una. La prima: trasferire potere ai giovani.

La domanda che dobbiamo porci è: stiamo trasferendo “potere” in modo sistematico o stiamo semplicemente compensando? La classe dirigente italiana continua a trasferire paternalisticamente potere: non basta dire, quando facciamo delle scelte, che stiamo tenendo conto dei giovani. I giovani devono pesare, devono contare. Dirò una banalità, ma mi preme sottolinearla: la riduzione del tasso di natalità e il cambiamento della composizione demografica del nostro paese è un problema serio. Avere meno bambini in una casa, pochi “fratelli”, sempre meno bambini nelle piazze, nelle strade, nei cortei, crea quiescenza. Per compensare serve quindi trasferire potere, anche potere di sapere, di non farsi imbonire. In fondo l’assenza di sapere è una delle maggiori cause della degenerazione del trentennio liberista. Ovviamente è necessario poi riequilibrare la ricchezza, perché “potere” è anche disporre di risorse finanziarie.

La seconda, che sicuramente susciterà polemiche visto che in questo paese siamo riusciti a colpevolizzare i percettori del reddito di cittadinanza con la narrazione dei “soldi per stare sul divano”: dare mezzi finanziari ai diciottenni. Ha parlato di 15mila euro al compimento del diciottesimo anno di età.

Premessa, così ci attiriamo subito le critiche strumentali di chi vuole conservare lo status quo: questa misura non è mirata all’accesso allo studio o a quello al lavoro. Nessuna condizione. Il reddito di cittadinanza condizionato alla ricerca attiva di un impiego ha generato solo confusione: dare un reddito deve avere come unico obiettivo liberare le persone dall’angoscia, dar loro un piano di vita che è precondizione di civiltà. Questo errore è stato fomentato da Matteo Salvini e da Giorgia Meloni che hanno poi, strumentalmente, costruito la narrazione del divano: prima hanno appiccicato una finalità non propria allo strumento, il posto di lavoro, e poi hanno accusato i percettori del reddito di non essere rimasti disoccupati. E in questo tranello è caduto un pezzo significativo del centrosinistra. I 15mila euro devono arrivare in maniera universale a tutti i diciottenni senza alcuna condizione, ma devono essere preceduti da tre, quattro anni di confronti e discussioni sulle opportunità e le possibilità.

Quali sono, quindi, gli obiettivi di questa misura?

Rendere liberi i ragazzi di andare nell’università che sognano ma che è fuori dalle loro possibilità o farsi il viaggio della vita, esperienze oggi relegate solo ai figli di chi può permetterselo. I 15mila euro possono essere la leva per una start up o per dare “tempo di vita” a chi, uscito da una scuola tecnica, non può permettersi di non lavorare e quindi interrompe la propria formazione. Possono servire anche a comprarsi un’auto, se vogliono. Magari cercheremo di convincere chi vive in città che non è necessaria, ma anche questo è essere un diritto per chi, per esempio, vive in una zona interna del nostro paese, lontana da tutto. Quando abbiamo chiesto ai ragazzi cosa ci farebbero queste sono state alcune delle risposte. Ma voglio sottolineare quanto ci ha confessato una ragazza: “Voglio dare una mano a mio fratello, studiare all’università e anche togliermi qualche sfizio”. Devi essere una bestia a pensare che solo alcuni giovani
possono levarsi degli sfizi.

Per capire dove trovare le coperture finanziarie di questa misura inseriamo una scheda, commentata da Fabrizio Barca.

La misura costa nove miliardi, e il modo di finanziarla è in sé un altro strumento di giustizia sociale. Poiché la ricchezza è distribuita in maniera sempre più disuguale e tende a cristalizzarsi nel tempo con il passaggio di generazione in generazione, molti ricevono trasferimenti di ricchezza, ma pochi fortunati ricevono molto e tanti ricevono poco o nulla. In Italia il 31,6 per cento delle famiglie dichiara di aver ricevuto un lascito o una donazione. Il dato è in media con altri grandi Paesi europei (36,1 in Francia, 34,7 in Gran Bretagna, 32,5 in Germania). Ma il valore medio dei trasferimenti è particolarmente elevato da noi: 295mila euro rispetto ai quasi 190mila dei francesi e i 224mila dei tedeschi. Il valore medio italiano è più alto anche di quello degli Stati Uniti (240 mila euro circa). In Italia circa il 70 per cento di tutti i trasferimenti di ricchezza è ricevuto dal 25 per cento di famiglie con patrimoni più grandi e solo lo 0.6 per cento va al 25 per cento di famiglie con patrimoni più piccoli. La stima del valore totale di tutti i trasferimenti di ricchezza (eredità e donazioni) nel 2016 era di circa 210 miliardi di euro. Il 4 per cento circa di questo flusso annuale basterebbe a generare i 9 miliardi necessari per creare una dotazione di capitale a tutte le diciottenni e tutti i diciottenni. Attualmente circa lo 0.3 per cento di questi trasferimenti viene, invece, trattenuto in imposte. Il ForumDD propone di riformare l’attuale imposta di successione e sulle donazioni, ingiusta e distorsiva, esentando da ogni imposta ogni trasferimento fino alla soglia di 500mila euro, e rendendo progressiva l’imposta al di sopra di quella soglia. Raggiungendo così solo gli eredi più fortunati e raccogliendo circa il 90 per cento delle risorse dai grandi trasferimenti superiori a 1 milione di euro, si coprirebbe circa il 60 per cento della nuova misura. “Come ha dichiarato Marco Rossi Doria durante l’evento di Roma, solo sapendo che a 18 anni prenderanno 15mila euro, da quando e quante volte discuteranno di cosa farne? Non è già questa una crescita, ricreare il simbolo del passaggio di età? Già mi immagino film, racconti, storie su questo. Già li vedo oggetto di discussioni quotidiane. Sarebbe un fatto culturalmente straordinario. Consentirebbe di crescere”.

Veniamo alla terza proposta. Dare un nuovo peso ai giovani nella Pubblica Amministrazione tramutando il rinnovamento generazionale in una grande strategia-Paese.

La mia generazione è entrata massicciamente nella pubblica amministrazione negli anni Settanta: per noi è stata un’avventura straordinaria, era l’obiettivo di una vita. Ora stiamo uscendo e già sappiamo che serve un rinnovamento: per fortuna sono state sbloccate le assunzioni, anche se i numeri degli impiegati nella PA restano spaventosamente sotto alla media europea. Il problema è come gestire questo ricambio generazionale: se avverrà alla chetichella, bando dopo bando, senza che il paese sappia il momento storico che stiamo per vivere, se non si sottolinea l’importanza dell’ingresso dei giovani nella macchina statale, non ci sarà nessun vero trasferimento di potere. Il paese, i giovani che entreranno e le stesse commissioni di assunzione non sentiranno il peso e il valore di questa fase. Ricordo quanto accadde con la commissione che nominammo per la ricostruzione de L’Aquila, dopo il terremoto, per assumere trecento persone: si candidarono 16mila cittadini, l’intero paese stava osservando. Ebbene, non c’è stato un solo membro della commissione con un raffreddore, non ci sono stati ricorsi. Niente. E i motivi sono semplici. Il primo: la “qualità del metodo”. Già si sapeva cosa avrebbero fatto i nuovi assunti e furono selezionati per le loro capacità. Il secondo: la “notorietà del fatto”. Quella commissione aveva addosso gli occhi di tutti e mostrò un grande senso di responsabilità. Davanti a noi invece c’è invece il rischio di assunzioni alla spicciolata con conseguente diluizione nel pantano in cui lavorano i bravissimi, che magari non incroceranno mai, i veramente bravi, ma anche chi li avvertirà fin da subito: “Attento, mica vuoi prendere decisioni. L’ultimo che lo ha fatto è finito davanti alla Corte dei conti”. Questi giovani invece dovranno essere affidati alle migliori teste a nostra disposizione, vanno tenuti uniti. Solo così si trasferirà vero potere. Assumere non basta. Serve trasformare la transizione generazionale in una strategia.

Torno alle risorse. I fondi del Recovery and Resilience Facility arriveranno scaglionati in maniera particolare. Solo il 6,75 per cento del RRF verrà erogato nel 2021, poi il 9,95 per cento nel 2022 e via via a salire negli anni successivi. Il 22,62 per cento, oltre un quinto dei fondi, addirittura arriverà dopo il 2027. In molti sostengono che la logica avrebbe suggerito il contrario: ricevere di più subito, per contrastare al meglio gli effetti della crisi, e via via di meno. Che ne pensa?


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I soldi immediati sono utili, necessari, per chi ha progetti nei cassetti, idee, una visione. Che sa come spenderli. L’Italia non è in questa situazione. Manca anche qui la strategia e la strategia influenza le scelte, i comportamenti. Siamo un’amministrazione debole e dobbiamo rendercene conto: il rischio, oggi, di avere tanto e subito sarebbe subire l’ansia dello spendere. Il rischio è che finanziamenti importanti, immediati e a pioggia, si sarebbero trasformati in mero sussidio. Ora abbiamo davanti un’occasione importante, quella di cambiare le sorti di questo paese. Che poi questa occasione verrà colta è un altro discorso.

Torniamo, quindi, all’allarme da lei suonato più volte: "Non sprechiamo i soldi europei in inutili sussidi: adottiamo una vera strategia". Lei sostiene che pompare denaro in imprese fuori mercato già prima del Covid non farà che posticipare il loro fallimento. Altrettanto inutile, mia opinione, sarebbe riciclare vecchi progetti presi dai cassetti dei ministeri. Quindi?

Vanno definite nuove priorità. Strategia vuol dire sostanzialmente tre cose. La prima: scegliere. Spiegare il progetto paese in poche parole, chiare e chiave, che corrispondano al sentire comune, che siano percepibili. Scuola, casa, mobilità verde e via così. Significa fare delle scelte e spiegarle. Non servono venti, quaranta, cinquanta proposte. La seconda: tradurre questi “titoli” in “risultati attesi”, come li chiama qualunque posto civile del mondo dove si fanno strategie prima dei progetti. Casa? Ok. Quindi? Cosa hai in testa? “Oggi le case pubbliche sono il 4 per cento, vogliamo passare al 7”. Come? “Social housing”. Ok. Sette righe per definire il modello di social housing: abitazioni dove vivono insieme tra le 120 e le 400 persone nelle quali valgano le seguenti regole e soprattutto un certo grado di reciprocità e mutualismo. La terza: il metodo. Come decido di costruire o reperire alloggi? E che tipo di edificazioni? Quali servizi? Per farlo niente decisioni calate dall’alto ma un confronto partecipato, informato, anche acceso, nei territori che sia governato dal pezzo più forte del sistema politico italiano, i sindaci. Senza una strategia, perderemo l’ennesima occasione.
(25 settembre 2020)






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