Basta privilegi ecclesiastici, abroghiamo il Concordato

Maria Mantello



In origine nella Chiesa c’era lo scandalo del Discorso della Montagna. Oggi lo scandalo è la montagna di miliardi di euro che il Vaticano può accumulare con i finanziamenti pubblici dell’8‰, con quelli per l’istruzione cattolica, con le esenzioni di fatto dal pagamento delle bollette per i consumi energetici, oppure con la dispensa da imposte e tasse sulla miriade delle sue redditizie attività: dagli ex monasteri ed ex collegi trasformati in alberghi a più stelle, fino alla fiorente imprenditoria turistica dell’Opera Pellegrinaggi. E tanto altro ancora.

Grazie al Concordato e sulla sua scia, lo Stato italiano è il più grande benefattore del Vaticano, a cui elargisce privilegi di ogni sorta. Leggi confessionali comprese. Si pensi ai dictat su coppia, famiglia, sessualità, riproduzione, testamento biologico, ecc. Imposizioni e divieti funzionali al perdurare della dogmatica cattolica.
Poteri economici, politici e sociali della Chiesa inestricabilmente si intrecciano nell’incompiuta distinzione tra Stato e Chiesa, che la debolezza di una classe politica genuflessa bellamente perpetua. Anche in certa sinistra, che diventata orfana del muro di Berlino sembra posseduta dalla sindrome dell’acquasantiera.

È in questa situazione che il Vaticano ha strappato allo Stato italiano forse anche più di quanto si aspettasse. Si pensi al sistema paritario di istruzione, che, creando un vulnus costituzionale, ha reso pubbliche anche le scuole private. Oppure si pensi al pasticcio dell’immissione in ruolo nelle scuole statali degli insegnanti di religione cattolica, che pur continuando a dipendere in tutto e per tutto dai vescovi – tranne che per lo stipendio da sempre a carico dello Stato, e per giunta più alto di quello degli altri docenti -, adesso possono finanche transitare su altre cattedre, nonché aspirare a diventare dirigenti scolastici (presidi).

Dopo la svolta progressista degli anni Settanta (e per bloccarla), è ripresa la gara senza confini dei politici per ingraziarsi la gerarchia vaticana. Negli anni Ottanta Craxi rinnovava il Concordato con cui si introduceva anche quel perverso e truffaldino meccanismo dell’8 ‰ che consente ancora oggi alla CEI di fare l’asso pigliatutto. Nonostante solo un italiano su tre, scelga di destinare il proprio 8‰ dell’Irpef alla Chiesa cattolica. L’articolo 37 della legge 222 del 1985 prevede infatti che «in caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse». Un espediente suggerito da Giulio Tremonti, allora consulente del Governo Craxi. Un articoletto che fa triplicare gli incassi della Chiesa cattolica, che così arriva ad intascare quasi il 90% dell’intero 8 ‰. Nel 2011 oltre il miliardo. Per la precisione, 1.118 milioni di euro! Un bel gruzzolo che, diversamente da quanto le campagne pubblicitarie vorrebbero far credere, viene impiegato soprattutto per il mantenimento del clero e dei suoi apparati.

Giulio Tremonti ha fatto intanto carriera, ma continua sempre a guardarsi bene dall’intaccare interessi e affari vaticani. Finanche mentre batte cassa con una manovra finanziaria durissima che colpisce soprattutto precari e redditi medio-bassi. Una manovra che prevede anche l’eliminazione delle festività laiche: 25 aprile, 1 maggio, 2 giugno. Quelle che rappresentano l’appartenenza nella cittadinanza democratica degli italiani. Di contro, in nome del Concordato, le feste religiose non si toccano. Compresa quell’Immacolata Concezione, che, con tutto il sincero e profondo rispetto dei fedeli, certo con l’emancipazione e l’autodeterminazione della donna ha ben poco a che fare.

La pesante manovra finanziaria dell’onorevole Tremonti, ha comunque avuto l’effetto di risvegliare tanti italiani stanchi delle caste. Curiale compresa.
Basta privilegi e tutti paghino le tasse! È diventato quasi un corale, a cui anche il capo della CEI, Angelo Bagnasco si è unito, affermando il 19 agosto dai microfoni di Radio Anch’io: «Le cifre dell’evasione fiscale sono impressionanti. Come credenti e comunità cristiana dobbiamo rimanere al richiamo etico che fa parte della nostra missione e fare appello alla coscienza di tutti perché anche questo dovere possa essere assolto da tutti per la propria giusta parte. Se questo dovere fosse assolto, le cose sarebbero risolte». Una predica, che priva di ogni autocritica, è suonata come una beffa. Con l’effetto di far lievitare l’indignazione dei cittadini per i privilegi ecclesiastici.

Chissà, allora, se lo sdegno della società civile, a cui stanno dando voce nel Palazzo i radicali e qualche altro esponente del Pd, non porti alla eliminazione di scudi concordatari per la Chiesa cattolica, che dovrà così rassegnarsi finalmente a ricevere i finanziamenti direttamente dai suoi fedeli. È quanto avviene normalmente negli Stati Uniti. È quanto dovrebbe accadere in ogni democrazia liberale.

L’abolizione del Concordato fascista, che Mussolini volle nel 1929 e che Craxi ha rinnovato nel 1984, farebbe dell’Italia una democrazia laica compiuta e servirebbe a ridimensionare il potere clericale. La Chiesa Padrona, come titola il bel libro del 2006 di Roberto Beretta (già giornalista dell’Avvenire) che della sua chiesa scriveva: «tornata protagonista riverita e rispettata, anzi persino lusingata e blandita, ascoltata e temuta […] in quanto utile all’uno o all’altro degli schieramenti […] sembra aver deciso di sfruttare tale temporanea posizione di privilegio facendo finta di crederci e cercando di ricavarne i maggiori vantaggi, per sé e per i valori che promuove. Così, dopo decenni di contestazioni, sbandamenti, depressione, autolesionismo e crisi, le sue file gerarchiche vengono sempre più abitate da un risorgente clericalismo di ritorno; molti ecclesiastici paiono volersi illudere che siano tornati i “bei tempi” in cui il parroco era il centro del paese e il vescovo un’indiscussa autorità civile».

Allora, per fermare questa chiesa padrona, è impellente e necessario andare oltre il Concordato.
Con buona pace per tutti i clericali, e (forse) proprio in nome di quella carità cristiana, che s. Paolo nella I Lettera ai Corinzi, definiva “benevola” “rispettosa” “disinteressata”.

(23 agosto 2011)

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