Beata ignoranza. Il papa oscurantista contro l’educazione sessuale

Fabrizio Tassi

Un dodicenne italiano può tranquillamente aprire un sito porno – mentre mamma cucina e il babbo guarda Gerry Scotti in tv – e vedere una bella ragazza che se la fa con un cavallo. Letteralmente. Ma a scuola difficilmente troverà qualcuno che gli spieghi come funzionano il "coso" e la "cosa" (e le emozioni suscitate dal "coso" e la "cosa"), se escludiamo qualche nozione idraulica nelle ore di biologia e vaghi appelli all’affettività nell’ora di religione. Non parliamo qui di incontri occasionali, progetti speciali (in barba alla Curia) o professori volenterosi (a loro rischio e pericolo). Parliamo di un Paese che ha provato a fare una legge sull’educazione sessuale a scuola già nel 1910, e che nel 2011 si ritrova con dati allarmanti sulla diffusione delle malattie sessualmente trasmissibili tra i giovani (un’indagine della TNS Healthcare nel 2009 ci indicava in fondo all’ennesima classifica, insieme alla Turchia, quanto a informazione sulla contraccezione, perché in Italia non ci facciamo mancare nulla), per non parlare di quelli che non sanno a cosa serve il/la clitoride (chiedete al prof di religione) o di quelle che già a 20 anni hanno rinunciato ad avere un orgasmo (eppure la prof di biologia diceva che era tutto così "naturale").

Per questo e per molti altri motivi, le ultime dichiarazioni del Papa sui «corsi di educazione sessuale» (e civile!) come «minaccia alla libertà religiosa delle famiglie», suscita pensieri poco affettuosi, ma anche domande esistenziali del tipo: chi lo spiega al piccolo che di solito le ragazze non lo fanno con i cavalli, e in ogni caso è sempre meglio che il rapporto sia protetto? Lo sappiamo che le dichiarazioni del pontefice vanno contestualizzate, che il discorso va letto nel suo complesso, che insieme alle boutade ci sono osservazioni importanti, e bla bla bla. Ma non veniteci a dire che laggiù o lassù in Vaticano (a seconda del punto di vista) non conoscono il peso delle parole. Padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa, ci ha tenuto a specificare che il Papa si riferiva in particolare alla Spagna. D’altra parte già nel 2008 il vescovo di Almeria, Adolfo Gonzales Montes, aveva indicato i corsi di educazione sessuale come fattore di crescita della «brutale piaga» degli aborti, nonché «dell’aumento della gravità dello stato morale della gioventù» e della «banalizzazione della sessualità» (chissà se il vescovo ha mai fatto un giro sul web, dalle parti di youporn, pornhub e compagnia bella).

Il Papa ce l’ha con «i corsi di educazione sessuale o civile che trasmettono concezioni della persona e della vita presunte neutre, ma che in realtà riflettono un’antropologia contraria alla fede e alla retta ragione». Non riescono proprio a liberarsi da questa logica: è buono è giusto ciò che è figlio della verità (cattolica) e della fede (nella Chiesa e nei suoi precetti morali), a costo di tollerare una certa dose di ignoranza o inconsapevolezza, perché tanto ci siamo noi (istituzione ecclesiastiche, scuole cattoliche, famiglia credenti) a indicarvi la via. Non passa per la mente di chi scrive i discorsi al pontefice che educare non significa addestrare, ma rendere consapevoli, e che solo su quella consapevolezza si può costruire davvero una scelta (volendo, anche di astinenza, o di fedeltà al precetto cattolico), un rapporto vero (d’amore, di piacere o di entrambi), un’esperienza non casuale (e quindi non banale). L’ignoranza al massimo porta la paura, la rimozione, se non la curiosità morbosa. Anche il silenzio è un messaggio. A meno che in Vaticano siano convinti che la famiglia italiana media sia un pozzo di informazioni tecniche e suggestioni morali pronte all’uso, invece che un luogo in cui alle domande esplicite dei figli (quando ci sono) si risponde con rossori, imbarazzi, vaghe indicazioni approssimative (e comunque il 22% dei papà e delle mamme ritiene che il preservativo non difenda contro le malattie sessualmente trasmissibili…).

La Svezia ha introdotto l’educazione sessuale nel ’56, la Germania nel 1970, la Francia nel ’73. L’Italia? Non pervenuta. In compenso da noi il 22% degli under 19 dichiara di non usare metodi contraccettivi perché il partner non vuole e il 58% perché non li ha a portata di mano (sempre dall’indagine Healthcare). Magari è anche per questo che nel 2008 abbiamo superato quota 10 mila baby-mamme (sotto i 19 anni), come ci ha ricordato qualche tempo fa la Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo), in prima linea nel chiedere alla Gelmini un disegno di legge ad hoc. Vorrà pur dire qualcosa se dalle nostre parti la metà dei casi di gonorrea è ascrivibile a giovani e giovanissimi. Ma a parte l’emergenza sanitaria, si tratta di una questione culturale, di un principio di libertà. A meno che vogliamo continuare a intendere la sessualità come un vizio, un pericolo, un’esperienza da nobilitare-sublimare per "redimerla", lasciando che il vuoto e il silenzio vengano riempiti dal consumismo sessuale più idiota e spregevole, magari veicolato da quei campioni del machismo "informale" nostrano che mai farebbero uno sgarbo "formale" alla Chiesa.

E’ passato più di un secolo da quando il dottor Freud ha scritto che “In genere, a mio modo di vedere, si circondano troppo le cose di mistero. È giusto mantenere pura la fantasia del bambino, ma questa purezza non si conserva con l’ignoranza. Credo piuttosto che nascondendo i fatti si fa maggiormente sospettare la verità al ragazzo e alla ragazza (…) Proprio il fare misterioso con cui i genitori trattano argomenti che ciò nonostante vengono in qualche misura compresi, acuisce il desiderio di sapere di più. Questo desiderio, appagato solo in parte e di nascosto, eccita i sentimenti e corrompe la fantasia (…)”.
Parole che oggi definiremmo di banale buon senso, se non fossimo costretti a commentare l’ultima uscita del Papa, che per togliersi qualche sassolino dalla scarpetta (sassolini spagnoli), fa considerazioni urbi et orbi che fanno venire il latte alle ginocchia. Ha tutto il diritto di farlo, per carità, ha le sue pecore da pascere, ha la sua missione etica, per certi aspetti condivisibile: basta però che le sue convinzioni e credenze non diventino legge (o mancanza di una legge), come spesso accade dalle nostre parti.

(11 gennaio 2011)

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