Berlusconi e la doppia morale della Chiesa

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di don Raffaele Garofalo

Berlusconi non ha vinto le elezioni, “come” sperava lui, ma nemmeno le ha perse, come speravano altri. Gli italiani lo vogliono ancora a governare per cui c’è da augurarsi soltanto che ora lo faccia veramente interessandosi ai problemi reali del Paese più che alle sue giullaresche apparizioni televisive.
Si dice che il popolo ha i governanti che si merita ma è vero anche il contrario. Nelle scabrose vicende che lo riguardano il nostro premier sembra aver goduto di uno sconto considerevole da parte dell’elettorato e anche la Chiesa lo ha gratificato praticandogli generosi saldi ad una morale cattolica che il presidente del Consiglio afferma costantemente di difendere e testimoniare, seguendo il consolidato motto “Dio Patria e Famiglia”. Per il Cavaliere, naturalmente, i tre termini si leggono Denaro, Potere personale e Libertà di famiglia.
Un anno fa la Chiesa italiana non si faceva scrupolo di dare addosso al monogamo Prodi, perché intendeva regolamentare e tutelare le coppie di fatto. Dell’attuale presidente del Consiglio la stessa Chiesa tollera ora, in complice silenzio, o con qualche lieve sibilo di timorosa lamentela, una costante esibizione di degrado morale fatto di inviti alla seduzione, di un machismo grossolano ostentato (perché rimpianto, forse), di ingiurie e propositi di vendetta, di bugie e calunnie programmate che diluviano dai mass media rigorosamente sotto controllo. Sono in gioco i finanziamenti alle scuole private, cioè alle scuole cattoliche, per cui il silenzio della Chiesa si rivela, nella circostanza, un silenzio letteralmente “d’oro”. Non resta che lasciare ad una moglie delusa, isolata e vilipesa, decantare le “virtù” del proprio marito e dare a lei, più che ad altri, il meritato credito.
L’ottimismo “evasivo” del Cavaliere aleggia ormai sulla nazione giungendo anche nei luoghi ove meno si rivela opportuno. Nelle tendopoli dell’Aquila operano volontari che svolgono un difficile lavoro con iniziative formative o di “distrazione creativa” dalla realtà opprimente e mortificante della tenda; si seguono ragazzi e adulti in preda a crisi esistenziali che portano a minacciare l’abbandono della scuola, la rinuncia ai propri abituali interessi e spingono alcuni fino all’incuria di sé, del proprio corpo. In mezzo a tutto questo, e molto di più…, c’è chi ha pensato di organizzare un concorso di “Miss Tendopoli”, con tanto di troupe di Canale 5 al seguito. Un anonimo volontario impediva l’ingresso nel campo a simili sciacalli e lo si è cercato per segnalarlo, forse, a qualche tribunale di corte. All’”eroe”andrebbe attribuita la medaglia al merito dell’intelligenza e della umana sensibilità.
Sarà un dovere impedire che nelle tende, per (non) risolvere i gravi problemi che si presentano quotidianamente, si faccia strada la (non) cultura evasiva dei festini stile Villa Certosa o l’idiozia del Grande Fratello e di trasmissioni simili con cui è stata inquinata, per decenni, la mente di tante persone soprattutto giovani. La gente terremotata non ha bisogno che si moltiplichi per loro l’influenza negativa della televisione nei suoi aspetti più effimeri, se non degradati, ma richiede l’impegno delle istituzioni per una ricostruzione che non appaia sempre più una chimera. Giorni fa alla presidente della provincia e al sindaco dell’Aquila è stato comunicato che “non ci sono soldi per ricostruire le scuole”. In tal modo la città e la provincia sono destinate a morire, anche se, nel frattempo, avranno eletto la “Miss Tendopoli”, per la gioia della famiglia Mediaset.
Nella drammatica circostanza la speranza non può fondarsi su vuote promesse di propaganda ma su provvedimenti concreti sostenuti da una reale copertura finanziaria. Nelle tende c’è bisogno di chi offra agli sfollati momenti di genuina vicinanza e condivisione delle difficoltà e delle piccole soddisfazioni quotidiane. I giovani cercano chi li aiuti ad aver fiducia che il loro futuro può e deve essere soltanto migliore del presente che li mortifica. Tutti hanno bisogno di chi sappia parlare loro o, semplicemente, tacere ed ascoltare. Così si costruiscono rapporti validi nella vita normale. Nelle tende non fa differenza.

(15 giugno 2009)



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