Berlusconi, il Ppe e l’euroinciucio
di Emilio Carnevali
Passeggiando tra i manifesti elettorali che hanno invaso in questi giorni le nostre città c’è la possibilità di visionare un buon campionario dei soliti, intramontabili slogan che ad ogni elezione europea ci vengono propinati nella loro implacabile banalità. Da “Più Italia in Europa” di Teodoro Buontempo (detto “er pecora”, e successivamente “er sheep” dopo che Berlusconi definì i suoi tre educatissimi figli “tre piccoli Lord”), a “Portare l’Europa in Italia” del democratico Roberto Gualtieri fino alla variante dipietrista “Torniamo in Europa con l’Italia dei Valori”. Spero che si comprenda il disagio di chi come me voterebbe volentieri un candidato con lo slogan: “Niente Italia in Europa. Chiediamo l’annessione alla Spagna” (in assenza del quale opterò per l’ottimo “La mia rabbia è la tua rabbia”).
Altro tormentone ricorrente è la lamentela sull’assenza di temi europei all’interno di un dibattito tutto incentrato sugli equilibri politici nazionali e sul consueto referendum pro o contro Berlusconi.
Deformazione in parte comprensibile vista l’emergenza democratica che contraddistingue la situazione interna del nostro Paese, ma che tuttavia rischia davvero di oscurare una serie di questioni che avranno enorme peso sul futuro della vita quotidiana di milioni di cittadini europei (solo per fare un esempio delle ultime ore è possibile citare l’assenza di informazione adeguata e di confronto politico sulla criticabilissima uscita del Cancelliere tedesco Angela Merkel che ha di fatto intimato alla Bce di porre fine alla sua politica di espansione monetaria).
Eppure c’è una notizia che tiene insieme perfettamente il referendum sul Premier e le problematiche squisitamente europee sulle quali saremo chiamati a pronunciarci il prossimo fine settimana.
Il lavoro del Parlamento europeo è da molti anni monopolizzato dall’accordo trasversale fra i due maggiori gruppi, quello popolare e quello socialista. Per la prossima legislatura tra i due gruppi era stato anche stipulato un accordo informale – come da tradizione – che prevedeva la spartizione della presidenza dell’Europarlamento: nella prima parte della legislatura essa sarebbe toccata all’ex premier polacco Jerzy Buzek, nella seconda parte al socialista tedesco Martin Schulz (quello della storica lite con Berlusconi, che – con accanto un Gianfranco Fini color verde bottiglia – gli propose di interpretare la parte del kapò in un film sui campi di concentramento).
La costituzione del Popolo della Libertà rischia ora di sconvolgere gli equilibri interni al Partito popolare europeo e di costringere il gruppo ad accettare una presidenza italiana (targata ovviamente Berlusconi). Attualmente i deputati del Ppe sono 288 e il gruppo più numeroso al suo interno è quello tedesco (con 49 deputati), ma con la crisi della Csu in Baviera e con l’uscita dal gruppo dei Tories inglesi (il suo leader David Cameron ha scelto infatti di costituire un altro gruppo insieme al Partito civico democratico dell’ex premier ceco Mirek Topolanek e al Pis – Legge e ordine – dell’ex premier polacco Jaroslaw Kaczynski) il Pdl si candida a diventare la delegazione nazionale più consistente. Secondo i sondaggi i deputati del Pdl potrebbero essere 40 su un totale di 72 deputati italiani (gli eletti complessivi del nuovo Parlamento europeo saranno 736, 49 in meno di quello precedente come previsto dal Trattato di Nizza; ai popolari dovrebbero andare 265 seggi). In tal caso i rapporti di forza nel Ppe spianerebbero la strada ad una presidenza italiana.
A quel punto cosa faranno gli eletti italiani che confluiranno nel Pse (il quale, per accogliere i nostri Democratici, si trasformerà probabilmente nell’“Alleanza dei socialisti e dei democratici”)? Sapranno alzare finalmente la voce contro il patto d’acciaio che da anni fa il bello ed il cattivo tempo a Strasburgo?
(4 giugno 2009)
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