Berluskhamenei e il gioco delle tre carte

MicroMega

di Michele Martelli

Italia, Vaticano e Iran. Berlusconi, Ratzinger e Khamenei. Apparentemente: paesi così diversi, personaggi così incomparabili, per cultura, storia, ruoli, prestigio. In dipietrese: “che ciazzécca”? E invece sì. Almeno per alcuni aspetti. Proviamo a dimostrarlo, prendendo spunto dal recente episodio di contestazione di Khamenei da parte dello studente iraniano Mahmoud Vahidni, il “genio matematico” (ha vinto le Olimpiadi nazionali di matematica), il “piccolo eroe” che ha osato nientemeno sfidare la Grande Guida e Delegato di Allah, l’ayatollah Khamenei. E che è divenuto ormai famoso sul web internazionale (si può leggere su Wikipedia la voce che gli è stata già intestata). Il giovane, in un’importante assemblea pubblica, a Teheran, a fine ottobre, ha criticato Khamenei, additandolo come il capo di un regime illiberale, oppressivo e oscurantista. Dov’è adesso Vahidni ? A quanto sembra, è «scomparso», rapito e chiuso nelle carceri iraniane dai Pasdaran, il Corpo di polizia dei Guardiani della Rivoluzione islamica.

Facciamo finta che il testo del suo coraggioso discorso ci sia pervenuto, senza sapere null’altro, né il luogo, né contro chi e perché sia stato pronunciato. Estraiamone alcune frasi e proviamo, per scherzo ma non troppo, il gioco delle tre carte. Scegliendo la carta più alta, con le sue diverse figure regali fantasiosamente decorate. Chi potrebbe essere, nella finzione, il Re di Danari? Ovvio, il premier Berlusconi, il ricco più ricco d’Italia. E il Re di Coppe? Il pontefice romano (il riferimento alle sacre liturgie non sia irriverente!). E il Re di Spade (o di Bastoni, fate voi)? Il tenace, indomabile Khamenei, la Grande Guida del regime in cui non si muove foglia che Khamenei non voglia, oggi uno dei regimi più feroci, illiberali e repressivi del mondo. La distanza tra l’Iran attuale, il minuscolo Stato teocratico pontificio e l’Italia repubblicana ancora liberal-democratica, è certo, e per fortuna, abissale. Eppure, nel discorso di Mahmoud Vahidni ci sono parole che giustificano un inquietante raffronto. Vediamone alcune.

– «Perché nessuno può permettersi di criticarla in questo paese? Non è ignoranza questa? Lei ritiene di non fare errori?». A chi si rivolge il giovane, chi è l’infallibile, qual è il paese dell’ignoranza? È il paese teocratico del Re di Coppe? Lì chi comanda è coperto dal dogma ufficiale dell’infallibilità; al suo interno non c’è pluralismo di idee o religioso; dissentire è peccato, oltre che reato di lesa maestà (ne sanno qualcosa i “preti contro”). O potrebbe essere il paese del Re di Danari? Lì il capo è un tipetto suscettibile, che ha-sempre-ragione, fa quel c… che gli pare, e non sopporta né una né dieci domande; non è ancora il paese dell’ignoranza, anche se all’ignoranza vorrebbe ridurlo il Primus super pares, il «miglior presidente degli ultimi 150 anni della storia d’Italia». O è invece il paese del Re di Spade, dove chi critica il Leader Supremo e il Potere è un «nemico di Allah» (con la decisiva aggravante, mai dimenticarlo, che lì, a differenza che altrove, il dissidente è ferocemente represso)? Carta che vince, carta che perde. Oplà! Provate a indovinare?

– «L’hanno trasformata in una sorta di idolo irraggiungibile che nessuno può sfidare». Imbrogliate le carte. Un due tre, via! Chi è l’ “idolo” che nessuno può sfidare? L’Unto del Signore, il Vicario di Dio, o il Delegato di Allah? Sotto il riguardo non certo della realtà politica concreta, ma dell’autorappresentazione ideologica, mediatica, l’uno non è poi tanto diverso dall’altro. Dai vice e inviati di Dio, solo chi prega e riverisce sottomesso può ottenere qualcosa; sui critici e diversamente credenti e pensanti, si abbatte inesorabile la scure, o la censura e l’emarginazione. Allora, chi è il presunto “idolo”? Qualsiasi risposta è più o meno giusta. O sbagliata. Il dubbio ci assale, tomentoso. Che le carte siano truccate?

– «Le nostre tv e radio presentano un’immagine realistica del mondo e del nostro paese o una fotografia falsa e caricaturale? Citano le persone e descrivono gli eventi in modo corretto?». Di chi sono questi o simili media? Del Re di Coppe, che nel suo Stato/Chiesa detiene tutti i poteri, compreso quello della cultura e dell’informazione, dove la libertà è la libertà di non dissentire dall’ortodossia? O del Re di Spade, a cui la legge khomeinista affida il compito di nominare e controllare a colpi di sharia giornalisti, testate e programmi? O del Re di Danari, che, proprietario dell’impero Mediaset, ma anche Presidente del Consiglio, vorrebbe uniformare a sé, clonare sulla sua taglia, tutti i massmedia del suo paese, pubblici e privati? Arrovellatevi, scommettete, puntate. Ma a che serve? Chi manovra le carte, chissà, forse vi inganna. Bello sarebbe che così non fosse, che l’Italia laica e repubblicana si ridestasse, a difesa della Costituzione, mettendo all’angolo chi attenta alla sua sovranità; che il processo di democratizzazione prevalesse finalmente nella Chiesa, e il papa assumesse linguaggio, cultura e regole distanti anni luce da ogni forma di integralismo. Ma così ancora non è.

Anche se limitatamente agli aspetti qui abbozzati, sono purtroppo simili i tre Re. E ancora di più lo sono, in politicis, i due di cui l’uno non disdegna i Danari (di Giuda?) dell’altro (vantaggi fiscali e leggi pro Ecclesiam), l’altro il bacino elettorale e la legittimazione del primo. Che l’Italia di concerto, a suon concordato di Coppe e Danari, si trasformi in regime?

Ma che importa. Sarebbe una bazzecola.
Purché sempre e comunque si canti: Gloria in excelsis Deo!

(13 novembre 2009)

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