Biotestamento, “Noi Siamo Chiesa” contro la CEI: Sì al dialogo, no a crociate ideologiche

"Noi Siamo Chiesa"

La “campagna” della Conferenza Episcopale a favore del ddl Calabrò sul fine vita ha radici in una vera e propria “svolta” rispetto alla dottrina tradizionale della Chiesa. “Noi Siamo Chiesa” propone che sia superato il bipolarismo etico e che inizi su questo problema un vero e nuovo dialogo nella Chiesa e nella società.

La Conferenza Episcopale Italiana, a partire dai casi Welby ed Englaro, ha fatto sulla questione del fine vita una vera e propria “svolta” rispetto alla linea della Chiesa cattolica, che è ben definita in più documenti e, in particolare, nel Catechismo del 1992. Sulla base di questi testi:

– la volontà del paziente, privo in modo permanente di coscienza, qualora essa sia stata preventivamente e adeguatamente espressa, non può essere contraddetta dalla volontà del medico (come prevede invece il ddl Calabrò).
– la nutrizione e l’alimentazione di persona in stato vegetativo permanente possono essere considerate procedure mediche “sproporzionate rispetto ai risultati” (art. 2278 del Catechismo) e, quindi, la loro interruzione legittima.

La gran parte degli operatori sanitari condivide queste posizioni. Nel mondo cattolico italiano iniziano a manifestarsi posizioni diverse rispetto a quelle ufficiali. I vescovi tedeschi hanno da tempo adottato una linea diversa da quella dei vescovi italiani e coerente con la dottrina tradizionale.

“Noi Siamo Chiesa” nel documento allegato motiva quanto sopra.

“Noi Siamo Chiesa” dissente dalla “campagna” della CEI che è ora ripresa in vista del dibattito alla Camera di settimana prossima sul testo Calabrò, che è diventato, di fatto, un disegno di legge Calabrò/Governo/Conferenza Episcopale Italiana. I vescovi lo appoggiano a causa della loro ossessione per una ipotetica “deriva eutanasica”, che non ha fondamenti nella realtà.

“Noi Siamo Chiesa” invita tutti i cattolici a intervenire contro l’aspro bipolarismo etico in corso, che è dannoso alla Chiesa e alla società. Di conseguenza si abbandoni, nel breve periodo, questa controversa soluzione legislativa del problema e si apra una riflessione a tutto campo che preveda un nuovo dialogo con la cultura “laica”. Tra i cattolici prevalga la consapevolezza che il fine vita non deve essere violentato da macchine che ne modifichino l’esito naturale nel momento dell’incontro dell’anima con il suo Creatore e che è compito di tutti, famigliari e operatori sanitari, fare in modo che esso avvenga nel modo più normale e più sereno possibile.

La “campagna” ideologica, e dallo sfondo tutto politico, della Conferenza Episcopale, per ottenere questa legge, concentra energie e mobilitazioni che potrebbero essere molto più evangelicamente impegnate sia in trattamenti sanitari per prevenire e lenire le sofferenze dei malati, sia in interventi di ogni tipo a favore di chi, per le più diverse cause materiali o spirituali, soffre durante il corso della vita, sia nel nostro paese che nel mondo.

RIFLESSIONI DI “NOI SIAMO CHIESA” SUL FINE VITA
E SUL TESTAMENTO BIOLOGICO (SECONDA EDIZIONE)

Basta con la “campagne”, le “rivincite” e i “principi non negoziabili”. E’ necessaria una svolta per creare un nuovo clima nella società e nelle istituzioni che permetta di arrivare a una soluzione ampiamente condivisa.

Sta riprendendo (inizio marzo 2011) la discussione in Parlamento sul testamento biologico (o Disposizioni Anticipate di Trattamento – DAT -, espressione usata da chi non vuole attribuire alla volontà dichiarata per il proprio fine vita un carattere vincolante). E’ una grande questione perché tocca le cosiddette “questioni al limite” che sono state riproposte negli ultimi anni perché la scienza medica ci permette di vedere meglio “processi per cui una cosa o persona finisce e comincia qualcosa d’altro” e di poter usufruire di “strumenti capaci di spostarli, maneggiarli, utilizzarli per gli scopi che ci sono utili o necessari” (1). Il nostro paese è arrivato in ritardo a questa discussione. Essa si è poi svolta sulla base di ideologismi, di emozioni e contrapposizioni che, in gran parte, hanno avuto origine in altre vicende o “campagne”, tutte con al centro problemi di bioetica nel loro rapporto con la legislazione. Si è così creata una contrapposizione, che sembra insanabile, tra l’etica della sacralità della vita biologica e l’etica della qualità della vita biografica. Sono questioni che invece dovrebbero essere trattate da tutti con cautela; esse sono infatti cariche di risonanze, anche di carattere simbolico, su come vorremmo orientare la nostra società e la nostra vita personale.
Ciò premesso, per l’importanza che il problema ha in sé, e anche per quella che ha assunto in questi mesi nel nostro paese, cerchiamo di fare alcune riflessioni con particolare attenzione alle posizioni assunte dalla Conferenza Episcopale Italiana. E’ a partire dalla nostra convinta presenza nella Chiesa cattolica che ci permettiamo di esprimere posizioni critiche sulle scelte e sulle argomentazioni che, in questi mesi e su questo problema, sono state espresse dai vertici ecclesiastici del nostro paese. Ci sembra che una assenza di ascolto, all’interno e all’esterno della Chiesa, e un insufficiente approfondimento dei problemi sono alla base di prese di posizioni che ci sembrano non sufficientemente meditate.

L’abbandono della linea del Magistero. La “svolta” della CEI con i casi Welby e Englaro

Per confutare la confusione concettuale e terminologica diffusasi in questi mesi nelle campagne mediatiche che ci sono state, ci sembra che il rifarsi al paragrafo “Eutanasia” del Catechismo della Chiesa cattolica (CCC, del 1992) sia la cosa più efficace, oltre che la più “ortodossa”. Il numero 2276 scrive del rispetto particolare dovuto alle persone in condizione di minorità; il numero 2277 condanna esplicitamente l’eutanasia diretta che “consiste nel mettere fine alla vita di persone handicappate, ammalate e prossime alla morte”; il numero 2278 (2) dovrebbe, da sé solo, inquadrare bene il problema di cui ci stiamo occupando, offrendo orientamenti chiari. Ci pare che sia efficace la definizione che vi si dà di accanimento terapeutico: esso esiste qualora comporti “procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi”.
In presenza di una tale situazione si possono interrompere le cure sulla base della decisione del paziente e, qualora egli sia incapace, di coloro che ne hanno legalmente il diritto. Il gesuita Padre Mario Beltrami ha fatto una disamina rigorosa di questo numero (3), sostenendo in particolare che esso trova il “suo fondamento non in motivazioni di fede religiosa, qualunque essa sia, ma in argomenti puramente razionali”. Nell’esame della sproporzione tra le procedure mediche e i risultati attesi, indicata dal numero citato, il Beltrami implicitamente risolve il caso Englaro in modo opposto alla posizione ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI). Egli scrive anche che “se si è chiamati a vivere con dignità, si deve anche poter morire con dignità” e afferma con forza a chi spetta decidere. Il numero 2278 e l’approfondita analisi che di esso fa il Beltrami ci sembra siano la base per fondare una norm
ativa sul testamento biologico largamente condivisibile da diversi orientamenti culturali ed etici.
Prima la “Dichiarazione sull’eutanasia Jura et Bona” del 5 maggio 1980 della Congregazione per la dottrina della Fede (prefetto il Card. Franjo Seper e segretario Mons. Jérome Hamer) aveva già esposto con chiarezza i principi generali ripresi poi nel Catechismo sia per quanto riguarda il consenso dell’ammalato che l’accanimento terapeutico (4). Nella stessa direzione vanno gli interventi del Card. Carlo Maria Martini (5). Il magistero successivo al Catechismo conferma una linea che, con scarsa avvedutezza, è stata poi abbandonata a partire dalle note vicende relative ai casi Welby ed Englaro. Infatti l’autorevole Carta degli Operatori Sanitari del 1995 emessa dal competente Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari nei suoi paragrafi 119-121 (6) riprende i contenuti del Catechismo. In particolare idratazione e alimentazione, artificialmente amministrate, vengono considerate “cure” che si possono sospendere quando risultino “gravose” per l’ammalato (paragrafo 120 terzo comma). Ad esse bisognerebbe aggiungere la ventilazione forzata. Davanti a tanta chiarezza non c’è che da meravigliarsi che nel dibattito in corso (7) questi testi e questi autorevoli interventi siano pressoché ignorati. Ma soprattutto c’è da meravigliarsi per l’abbandono da parte della gerarchia italiana di una linea del magistero coerente e tracciata da tempo. Che cosa ha determinato un tale cambiamento di rotta? Perché si finge una continuità quando invece è stata introdotta una discontinuità senza offrire spiegazione alcuna? Quale che sia la risposta a questi interrogativi, dubbi sulla linea attuale della CEI e sulla sua “campagna” sul caso Englaro stanno iniziando a diffondersi anche in strutture importanti della Chiesa (8) e si può sperare che un inevitabile cambiamento di posizioni (cioè un ritorno a quelle di prima) avvenga rapidamente, e non dopo anni di estenuanti polemiche e tensioni interne ed esterne, prima di un inevitabile futuro “pentimento”.
Come reazione pacata alla “campagna” dei vertici della CEI è utile ricordare il documento dei proff. Stefano Semplici, Carmelo Vigna e Gianpaolo Azzoni del Centro di Etica Generale e Applicata (CEGA). Essi mettono in guardia dalla “forzata e rischiosa trasposizione del bipolarismo del sistema politico in corrispondente bipolarismo bioetico a sua volta interpretato nei termini della logora contrapposizione tra laici e cattolici”. Essi sostengono che “non esiste “il” problema del fine vita ma un fascio di questioni diversificate e complesse” e che bisogna ricercare “l’equilibrio tra due principi irrinunciabili dal punto di vista costituzionale: la tutela della vita come “interesse della collettività”….e ”la libertà con la quale ogni individuo decide il senso, l’orientamento della sua esistenza”. Il testo conclude sostenendo che “occorre evitare che una sovraesposizione di casi-limite e questioni di forte impatto “simbolico” funzionino da strategia elusiva delle responsabilità e delle urgenze più pressanti in tema di difesa della vita. Il diritto alla vita non è lo stesso nei paesi ricchi e nei paesi poveri. Ma anche nei primi rimangono o si accentuano le differenze” e ancora “bisogna considerare la “necessità di garantire l’equa distribuzione delle risorse indispensabili ad una efficace e “giusta” tutela del diritto alla vita in tutte le fasi e in tutte le condizioni dell’esistenza umana.”
Nei confronti della “svolta” operata dai vertici, non sono mancate parole chiare e forti provenienti dalla base “cattolica”, anche se esse sono poco conosciute. Ricordiamo il documento dell’8 ottobre ’08 (9) che ha raccolto, soprattutto online, quasi duemila firme e quello del 23 marzo del 2009 (9) che è stato sottoscritto da 41 preti (10) e che ha provocato la nervosa reazione della Congregazione per il Clero, che ha chiesto ai vescovi competenti di intervenire presso i firmatari per accertare la loro “ortodossia”.

E’ necessaria una riflessione serena sul fine vita

Risulta poco comprensibile negli interventi di parte ecclesiastica e nel ddl votato dal Senato nel marzo 2009 l’accanita volontà di intervenire sul fine vita da una parte con tecnologie sempre più sofisticate e invasive, dall’altra con interventi autoritari di tipo legislativo. Questi interventi puntano a impedire, in casi estremi, la dignità del morire e soprattutto una vera libertà dell’ammalato nel poter veramente disporre di sé stesso, in particolare nel caso di perdita della conoscenza, attribuendo al personale medico un potere di decisione eccessivo (e non gradito). Ciò ci sembra tanto più inaccettabile quando questa difesa della sopravvivenza ad ogni costo e con ogni mezzo, e lo scarso rispetto di chi vi è coinvolto, viene da quanti dovrebbero avere sulla fine della vita la convinzione che si tratta di un passaggio a una condizione migliore, come conseguenza di un disegno provvidenziale. A questo proposito sono esplicite le parole di Paolo VI indirizzate nel 1970 ai medici cattolici (11). A volte nei sostenitori delle posizioni prolife ad ogni costo sembra quasi di trovarsi di fronte a ragionamenti che riflettono una cultura materialista, quasi ostile al compimento del cammino della creatura umana, attaccati alla prosecuzione a tutti i costi della vita terrena come se, oltre, non ci fosse nulla (12). Ancora Padre Beltrami sostiene che “il problema di fondo sta, in definitiva, nell’educazione sia della classe sanitaria sia dei singoli individui ad accogliere la morte come parte integrante della vita” (13).
Le autorità ecclesiastiche, in Italia oggi, sembrano invece lontane da una riflessione più generale, anche religiosamente ispirata, e sembrano invece ossessionate dalle cosiddette “derive di tipo eutanasico”; esse sarebbero la conseguenza dell’orientamento ormai prevalente nelle sentenze della magistratura e dell’eventuale approvazione di una legge tipo quella proposta dal sen. Ignazio Marino, che noi troviamo invece equilibrata e completa (14). E’ la paura di una società europea secolarizzata che si estenderebbe al nostro paese e nei confronti della quale bisognerebbe fare argine. Questa paura irrazionale cresce – noi riteniamo – a prescindere dal merito dei problemi concreti, sulla base di una preconvinzione che ci sia un progetto della cultura “laicista” e radicale per isolare il mondo cattolico col rifiuto del suo messaggio di tipo “antropologico” e della validità generale che esso avrebbe, a prescindere da fedi o da valori religiosi. E’ questa la sensibilità del “partito” che è orientato in particolare dal Card. Camillo Ruini e, almeno fino a oggi, da Avvenire e che ispira a tutt’oggi la linea della CEI, ovviamente all’ombra della Segreteria di Stato. Le “derive” sono soprattutto il frutto di queste paure. A noi sembra giusto non perdere il senso vero di ciò di cui si sta discutendo e siamo d’accordo con Pierluigi Battista (15) secondo cui sarebbe del tutto fuori luogo “l’allarme globale e incontrollabile” che si vorrebbe trarre da disposizioni ben definite riguardanti una fattispecie ben individuata “quella della formulazione anticipata della propria volontà con procedure certe e sicure”.

Per un diverso rapporto con la cultura laica

I nostri dubbi su questa posizione rigida (16) diventano una
forte preoccupazione se estendiamo la riflessione al più generale ruolo evangelizzatrice della Chiesa e al suo rapporto/dialogo col “mondo”. E’ proprio vero che, con le culture diverse dalle nostre (o ideologie, se così le si vuole chiamare) non si possa stabilire un percorso di ricerca comune sui nuovi problemi etici e legislativi, anche complessi, che sono imposti dal progresso tecnicoscientifico? Troviamo tra i “laici” ( o “laicisti”) solo nemici della vita oppure soggetti (17)– anche se, forse, non tutti – disposti ad ascoltare, qualora la Chiesa cattolica non si presenti loro come unica e pretenziosa maestra di antropologia, invece che annunciatrice e serva della Parola che manifesta la rivelazione di Dio destinata a tutti i popoli? Se si vogliono utilizzare argomenti razionali ci si pone su un piano diverso da quello connesso con l’annuncio di Cristo risorto, che rappresenta il proprium della missione della Chiesa e si entra in campi dove è inevitabile incrociare le competenze di altri, che pure ricorrono, legittimamente, ad argomenti fondati sulla ragione. Se poi si pretende di avere il monopolio nel decidere per tutti cosa si debba intendere per “natura” (avente in sé valore ontologico), si può legittimamente obiettare che l’idea della natura è cambiata molto nel tempo e nello spazio, anche nell’insegnamento della Chiesa e che i suoi “punti fermi” sono sempre più discussi.
Un’altra questione di lunga data che poniamo alla nostra Chiesa e che ha riflessi importanti nel rapporto con la società “laica”, è quella del rapporto tra norma etica e legge. Essa si ripropone continuamente per l’incapacità di ascoltare veramente le riflessioni che in merito hanno percorso tutta la storia dei cattolici democratici. La differenza tra peccato e reato, la legge come strumento per affrontare situazioni e conflitti e non per vincere battaglie ideali o ideologiche, la necessità della mediazione, una volta definito il quadro generale dei principi e dei valori (Costituzione) sono le costanti consolidate di una posizione culturale e ideale che meriterebbe finalmente di essere fatta propria da tutto il cattolicesimo italiano. Ma non è così. Neppure considerazioni di tipo prettamente pastorale, che avrebbero dovuto ispirare moderazione, hanno impedito vere e proprie invasioni di campo (18) e un intreccio tra etica religiosa e legge che, in troppe occasioni (legge sullo scioglimento del matrimonio, legge n. 194, legge n. 40, progetti di legge sulle unioni di fatto ecc…) le nostre gerarchie hanno ricercato e che i cattolici di ispirazione conciliare hanno sempre contrastato, ottenendo, quasi sempre, molti consensi di base. Ci piace ricordare che Aldo Moro nel 1974, dopo il referendum sul divorzio, al Consiglio nazionale della DC metteva in guardia contro le forzature mediante “lo strumento della legge, con l’autorità del potere, al modo comune di intendere e di disciplinare, in alcuni punti sensibili, i rapporti umani” e consigliava di “realizzare la difesa di principi e di valori cristiani al di fuori delle istituzioni e delle leggi” (19).
In conclusione, siamo convinti che la “campagna” avviata sul caso Englaro e ora in corso sulla legge in discussione alla Camera, e le demonizzazioni conseguenti (tutto è bianco/bianco oppure nero/nero) non servano alla società italiana e alla vera missione della nostra Chiesa. In questa direzione confortano la nostra argomentazione le parole severe e accorate di un maestro come Arturo Paoli e anche quelle di Claudio Magris e di altri (20). Soprattutto è deplorevole l’ostilità aspra e diretta da parte di molti cristiani, a partire dalle massime autorità gerarchiche, nei confronti di Beppino Englaro che è stato costretto a dire, amareggiato, “la Chiesa sa di avere il mio rispetto e io credo di non avere avuto il suo” (21)

I medici e il buon senso sono contro il disegno di legge Calabrò

Entrando in modo più specifico nella questione più controversa del ddl Calabrò (22), ci sembra che “contra factum non valet argumentum”. Ci meraviglia come si possa sostenere che l’idratazione e l’alimentazione di pazienti in stato vegetativo permanente non debba essere considerato un trattamento sanitario e quindi debba sfuggire alle indicazioni contenute nelle DAT. La descrizione fatta da un clinico tra i tanti (23) non dovrebbe lasciare dubbi, così come le posizioni ufficiali delle società scientifiche (24), il documento della FNOMeO (Federazione Nazionale dell’Ordine dei Medici e Odontoiatri) (25) e il sondaggio svolto recentemente tra i chirurghi (26).
Ci chiediamo perché mai debba essere necessario continuamente ricorrere a queste autorità per spiegare e convincere su questo punto come se non fosse sufficiente il semplice buonsenso dell’uomo della strada, debitamente informato, per capire che ci si trova di fronte a trattamenti solo sanitari e quindi alla fattispecie ipotizzata dal numero 2278 del CCC in materia di procedure mediche straordinarie. Non a caso i sondaggi d’opinione sul testamento biologico e sul caso Englaro indicano che l’opinione pubblica ha una posizione del tutto diversa da quella che è prevalsa nella discussione al Senato nel marzo 2009 (27). In particolare ci chiediamo il perché di questa ossessionante insistenza dei vescovi e delle associazioni da essi promosse (tipo “Scienza e Vita”) sul fatto che idratazione e alimentazione di persona in stato vegetativo permanente e definitivo sarebbero “sostegno vitale”, che non si devono sospendere e che sono tali quindi da non ricadere nella chiara nozione di accanimento terapeutico. Questa “campagna” ha assunto anche caratteri che si collocano al di fuori di ogni comportamento razionale e di ogni buon gusto. Si pensi solo alla proclamazione da parte del Governo di una “Giornata nazionale degli Stati Vegetativi” per lo scorso 9 febbraio, secondo anniversario della morte di Eluana (Beppino Englaro aveva invece proposto una “giornata del silenzio”).
Una terminologia che solitamente viene utilizzata nei documenti del magistero è quella di “morte naturale”: si dice sempre che la vita umana deve essere tutelata “dal concepimento alla morte naturale”. Ma negli ultimi decenni i progressi nel campo della medicina e della farmacologia hanno consentito di interferire pesantemente proprio nel processo della “morte naturale”. L’exitus che fino a poco tempo fa avveniva in termini temporali relativamente brevi, oggi può essere allontanato in maniera indefinita, pur senza alcun miglioramento sostanziale della vita e della sua qualità per il paziente. Ora è possibile ancora utilizzare il termine “morte naturale” a fronte di sistematici e diuturni interventi artificiali, non solo attraverso l’idratazione e l’alimentazione forzate (enterale o parenterale), ma anche attraverso consistenti dosaggi di farmaci, altrettanto necessari, che vengono somministrati per le medesime vie? Insomma vi è un limite o no? Nei salmi si dice “fino a quando Signore?”. In termini cristiani è pensabile che sia volontà del Signore, padrone della vita come usa dire, sostenere in maniera indefinita, artificialmente, una sopravvivenza solo di tipo biologico, che rimane, senza alternative, inchiodata alla prossimità dell’exitus?

Una legge sul fine vita è necessaria

Per anni la linea dei vescovi è stata quella di ritenere inutile una legge sul fine vita, preferendo una situazione indeterminata in cui non ci fossero diritti e doveri ben definiti e senza proce
dure certe a cui fossero tenuti i soggetti coinvolti (personale sanitario, famigliari e pazienti). La svolta si è avuta nel luglio del 2008 in conseguenza della sentenza della Cassazione, dopo un interminabile iter giudiziario, sul caso Englaro. Il timore che il problema fosse risolto per via giurisprudenziale e in senso contrario alla posizione dei vescovi è ciò che ha portato al nuovo orientamento che è stato deciso nel Consiglio Episcopale Permanente della CEI nel successivo settembre (28). Da allora questa posizione è diventata la linea della maggioranza di governo ed è stata conosciuta, da una larga parte dell’opinione pubblica, in relazione al caso Englaro. I contenuti del ddl. Calabrò infatti sono del tutto omogenei alle sollecitazioni della CEI. Che una legge fosse necessaria da troppo tempo lo si diceva. (29).
Al di fuori delle ideologie, con le nuove possibilità terapeutiche in materia di respirazione, idratazione e alimentazione artificiali si è enormemente estesa l’area di discrezionalità (e di responsabilità non gradita), attribuita nei fatti, soprattutto nei reparti di rianimazione, al personale sanitario, spesso in condizione di solitudine (30). Si è così creata “una zona grigia” nel fine vita in cui decisioni fondamentali di vita e di morte non si capisce perché debbano essere affidate, soprattutto in caso di incidenti, a medici e/o a famigliari in modo quasi sempre improvvisato e casuale e con prassi del tutto diverse da presidio a presidio sanitario. E’ necessario quindi che ognuno possa dare indicazioni preventive nel caso che venga a trovarsi in condizioni di incoscienza e che la sua volontà venga fatta rispettare mediante l’autorità di una disposizione normativa cogente (31). Nell’attuale assenza di una legge, situazioni come quella di Eluana sono destinate a ripetersi. La cronaca dello scorso novembre ci informa che una situazione, analoga dal punto di vista sanitario, è stata risolta dal marito della malata con un viaggio in Olanda dove la moglie ha potuto chiudere i suoi giorni. Il marito non si è sentito in grado di affrontare anni di procedure giudiziarie. La donna, che si chiamava Anna Busato, aveva da tempo redatto, e più volte ripetuto, un testamento biologico.

I testamenti biologici “autorganizzati”

Nell’attuale vuoto legislativo (che in Europa esiste solo nel nostro paese) e come reazione alla possibile approvazione definitiva del ddl Calabrò, da quasi due anni molti si sono posti il problema di come certificare la propria volontà a futura memoria nel caso di malattia che li privasse in modo permanente della coscienza. La raccolta autorganizzata di testamenti biologici, che vuole avere anche l’intento di influire sull’opinione pubblica, è diventata operativa per iniziativa di molte amministrazioni comunali (tra queste Torino, Firenze, Pisa, Genova, Bologna, Perugia). La Chiesa valdese per prima ha pure lanciato la raccolta dei testamenti dei propri fedeli e di quanti accettano di rivolgersi a lei a questo scopo (32). Questi testamenti non hanno una diretta efficacia giuridica ma “senza altri strumenti previsti dalla legge, ben venga il registro dei testamenti biologici: Esso annota decisioni da rappresentare ai medici in caso di bisogno. Evita complicate ricostruzioni della volontà di persone che hanno perso la capacità psichica, come nel caso di Eluana” (33). Tre ministri (Interno, Salute e Lavoro) hanno cercato di bloccare i Comuni con una apposita circolare (del 19 novembre) che risulta ridicola se si pensa che sono in gioco valori costituzionalmente garantiti. Anche nei confronti di queste iniziative spontanee si è attivata, con la consueta asprezza di toni, la campagna dei vertici ecclesiastici e dell’Avvenire.
Un altro tentativo di affrontare il vuoto legislativo è stato fatto a Firenze (ma anche altrove) dove l’autorità giudiziaria ha concesso a una persona che ne aveva fatto richiesta la nomina di un “amministratore di sostegno” per fare rispettare la sua volontà nel caso perdesse in via definitiva la coscienza. Si tratta di un istituto, sorto nel 2004, soprattutto per affrontare questioni di tipo prevalentemente economico. Anche in questo caso è stata molto critica la posizione dei prolife, perché questa interpretazione della legge “di fatto rappresenta l’anticamera dell’eutanasia” (34).

La volontà del paziente

Oltre a quella di ritenere “sostegno vitale” l’idratazione e l’alimentazione di paziente in coma vegetativo permanente, l’altra condizione sine qua non per accettare una legge sul fine vita posta dal Consiglio Episcopale della CEI riguarda la volontà del paziente. Essa dovrebbe essere in qualche modo “controllata” o “condizionata” per evitare che si possa andare nella direzione della cosidetta “deriva eutanasica” (si veda l’art. 7 del ddl Calabrò che consente al medico di disattendere le indicazioni contenute nella DAT). Ci sembra invece che bisognerebbe affrontare il problema in modo rovesciato e riflettere qui, come in altre situazioni eticamente rilevanti, a partire dal ruolo della coscienza del soggetto interessato che fonda il suo diritto all’autodeterminazione. E’ necessario ricordare quanto il primato della coscienza sia valore cristiano (Gaudium et Spes, numero 16 e Dignitatis Humanae, numero 3) ? Esso deve essere uno dei pilastri del nuovo modo di vivere il Vangelo dopo la riforma conciliare e non può essere contraddetto nei fatti. Ci sono tante riflessioni preziose che lo hanno chiarito ed approfondito e proprio in occasione del dibattito in corso (35).
Sulla autodeterminazione del paziente e sull’obbligo di rispetto della sua volontà si fonda la posizione che si è affermata nella gran parte dei paesi europei negli ultimi dieci anni (in Spagna nel 2003 e in Francia nel 2005 e negli USA9, che hanno leggi in merito od una ben definita giurisprudenza (Regno Unito) (36). In contraddizione con la linea dei vescovi è anche il Codice di deontologia medica della FNOMeO (del 16 dicembre 2006) che, all’art. 35 ultimo comma, dice: “Il medico deve intervenire, in scienza e coscienza, nei confronti del paziente incapace, nel rispetto della dignità della persona e della qualità della vita, evitando ogni accanimento terapeutico, tenendo conto delle precedenti volontà del paziente”.
Interessante è la situazione nella Repubblica Federale Tedesca, paese dove, per anni, il problema è stato ampiamente dibattuto in organizzazioni di base, dal personale sanitario, in sentenze, nelle Chiese e, infine, nel Parlamento. Pare che siano circa nove milioni le Dichiarazioni di fine vita (Patientenverfugung) già formalizzate. Alla fine il Bundestag ha approvato il 18 giugno 2009 modifiche al codice civile tedesco che sono entrate in vigore il primo settembre successivo. Esse sono il frutto di un’opinione pubblica molto informata che, per il 73% secondo i sondaggi, si è convinta che la decisione del paziente deve avere valore vincolante e che idratazione e alimentazione per pazienti in stato vegetativo permanente sono da considerarsi trattamenti sanitari. La Chiesa cattolica e la Federazione delle Chiese evangeliche sono state protagoniste di questo percorso. Nel 1999 (con alcune correzioni nel 2003) esse proposero congiuntamente a tutti i loro fedeli il Christliche Patientenverfugung (37). Questo testo, tradotto e diffuso nel nostro paese nei giorni del caso Englaro, è stato fondamentale per prendere coscienza che le due condizioni della CEI per una legge sul fine vita non potevano essere considerate qualcosa di simile a una verit&a
grave; di fede o di inerente alla “natura stessa dell’uomo” o alle supreme questioni della vita e della morte e quindi “materia non negoziabile”. Questo testamento biologico “cristiano” è già stato sottoscritto, a quanto si sa, da quasi tre milioni di cittadini tedeschi e le principali disposizioni che contiene sono molto diverse, quasi opposte, a quelle sostenute dai nostri vescovi (e dal ddl Calabrò) (38). In molti si sono chiesti come sia possibile, in una Chiesa che si pretende monolitica in tutto il mondo in materia dottrinale e morale, un tale consenso corale a queste posizioni della Chiesa tedesca su linee del tutto diverse da quelle considerate dai nostri vescovi irrinunciabili (39). Perlomeno ci dovrebbe essere da parte della CEI più cautela e una posizione più riflessiva.
Un antico adagio, venuto alla luce nell’ambito della Chiesa e forse utilizzato anche al di fuori di essa, così recita: “in necessariis unitas, in dubiis libertas ,in omnibus caritas” (“nelle cose necessarie l’unità, nelle cose dubbie la libertà, in ogni cosa la carità”). Nella materia che stiamo trattando quante sono le domande senza risposta che onestamente dobbiamo ammettere? E come è possibile per una Chiesa “appellarsi a Cesare” perché con la sua legge produca l’ operazione di far diventare necessario “erga omnes” ciò che è ancora avvolto nel dubbio, anche al proprio interno? Come è possibile chiedere che venga dichiarato non vincolante “il consenso informato”, quello che è ormai diventato da molto tempo, anche per il magistero tradizionale della Chiesa, oltre che nella deontologia medica, un assunto indiscutibile? E come è possibile attribuire allo stato un tale potere di interferenza nella vita, nella sofferenza e nel fine vita di tutti i cittadini, prescindendo dal loro consenso?

Fine vita e Costituzione

Infine nel dibattito di questi mesi, con approfondimenti difficilmente contestabili, è stato molte volte detto che il ddl Calabrò contraddice articoli ben definiti della nostra Costituzione, tanto da fare ritenere probabile una futura censura da parte della Corte Costituzionale se non verrà modificato dalla Camera. Sono gli stessi articoli (2, 13 e 22) ai quali si è appellata la citata sentenza della Cassazione sul caso Englaro. Sulla base di questi articoli, progressivamente negli anni “si è attribuito un valore prioritario al consenso informato della persona, si è operata una redistribuzione di poteri, si è individuata un’area intangibile dall’esterno, si è sottratta la vita alla prepotenza del potere politico e alla dipendenza dal potere medico….Ora invece stiamo assistendo alla restaurazione del potere medico nelle forme di una asimmetrica “alleanza terapeutica” dove il morente e i suoi famigliari non sono lasciati soli nel fiducioso dialogo col medico ma consegnati all’esecutore di una impietosa volontà legislativa che cancella la rilevanza della volontà degli interessati” (40).
Oltre all’art. 2 sui diritti inviolabili dell’uomo e all’art. 13 sulla proibizione di ogni violenza su persone sottoposte a restrizione di libertà (come quelle in condizione di stato vegetativo permanente), il testo più esplicito è quello dell’art. 32 che vieta ogni trattamento sanitario obbligatorio “se non per disposizione di legge”. L’ipotesi di questo possibile intervento legislativo di deroga fu previsto all’Assemblea Costituente, per interpretazione unanime, per i casi posti da problemi di sanità pubblica (epidemie) o dalla necessità di prevedere vaccinazioni generalizzate dei bambini, rispetto alle quali ci si trovava, a suo tempo, di fronte a resistenze psicologiche di molte famiglie fondate sull’ignoranza. E comunque (secondo comma) qualsiasi trattamento “non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Questo rispetto esige che una persona in coma irreversibile, priva di qualsiasi coscienza e sensibilità, non debba essere trattata come una cosa (41). Anche le convenzioni internazionali sono esplicite in materia. Oltre alla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (art.3), in particolare la Convenzione sui diritti umani e la biomedicina, promossa dal Consiglio d’Europa e firmata ad Oviedo nel 1997 (ratificata nel 2001 dal nostro paese dalla legge n. 145 del 28.3.2001) afferma esplicitamente all’art.9: “I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà, saranno tenuti in considerazione”. Altri documenti internazionali vanno nella stessa direzione. La “Dichiarazione universale sulla bioetica e i diritti umani” del 2005 promossa dall’Unesco conferma il diritto all’autodeterminazione del malato e la protezione di quello incapace ( artt. 5,6,7).
In definitiva ci chiediamo perché i vescovi non sappiano accettare, con serenità, valutandone i contenuti “umanistici” (e quindi anche cristiani) questi articoli della nostra Costituzione distorcendone il significato, avendo paura -si direbbe- della libertà e della dignità che essi attribuiscono alla persona, ipotizzando, nel caso venga approvata una legge diversa da quella da essi auspicata, scenari di decadimento del senso della vita nella nostra società. Ma questi fantasmi percorrono davvero il mondo cattolico italiano? O sono soprattutto la conseguenza di una fede cristiana, soprattutto dei vertici ecclesiastici, che è debole nella speranza e nella visione generale del percorso dell’uomo dalla vita verso la morte?

Conclusioni

Molte altre sono le questioni che riguardano il testamento biologico (o DAT); per esempio quelle relative alle modalità della manifestazione della volontà, al ruolo del fiduciario fino a quelle del ruolo del medico o dei medici coinvolti (42), dei famigliari, dei Comitati etici previsti presso le strutture sanitarie. Ci siamo concentrati sui due punti sui quali lo scontro si è sviluppato fino ad ora in Parlamento e sui quali è stato ed è pesante l’intervento dei vertici della CEI. (la natura dell’alimentazione e della idratazione forzata in caso di stato vegetativo permanente e l’efficacia delle DAT). Su entrambe le questioni abbiamo cercato di motivare perché una riflessione, all’interno della nostra Chiesa e da cristiani “adulti” seguendo la linea del Magistero nei suoi documenti ufficiali, giunga a conclusioni ben diverse da quelle proposte dalle posizioni ufficiali della gerarchia ecclesiastica nel nostro paese.
Vogliamo chiedere ai nostri Pastori un ripensamento su tutta la questione, vorremmo che essi facessero un passo indietro e che assumessero la linea del dialogo con la cultura “laica” e della ricerca di un terreno comune di fronte all’incalzare delle questioni poste dal progresso tecnicoscientifico per arrivare infine a una legge di largo consenso. Siamo convinti che sarebbero ascoltati e che le loro preoccupazioni diventerebbero parte di un sentire comune, pur nel permanere di opinioni ancora diverse. Siamo convinti che, su una questione di così grande importanza, non ci debba essere il sospetto che l’obiettivo di ottenere questa legge sia perseguito mediante compiacenze o silenzi nei confronti di politiche odiose sotto altri profili (legge sulla sicurezza, silenzio sulla moralità pubblica, rottura delle regole della vita democratica, eccessiva remissività nei confronti dei recenti gravi scandali ecc&helli
p;). Siamo convinti che esista una sproporzione in tutto il mondo cattolico, o almeno in quello italiano, tra questo accanito e assorbente impegno per la difesa della vita biologica e un inferiore impegno a favore della vita dei tanti che nel loro percorso quotidiano nel nostro paese e nel mondo sono in condizioni di grave sofferenza fisica o morale o in situazioni sociali difficili.
Alla fine della nostra riflessione critica ci sentiamo in diritto di chiedere – e quasi di pretenderlo come atto dovuto- che nella nostra Chiesa su queste questioni si apra una discussione da subito, a tutto campo, sui media e nelle strutture di base e senza che nessuno sia etichettato a priori o come ortodosso o come dissidente. Non esiste infatti un pensiero unico. In assenza di una svolta, l’assenza di dibattito e questa linea autoritariamente decisa potranno forse, nel breve periodo, soddisfare bisogni di identità o fragili convinzioni di principio o forse ottenere risultati concreti, cioè una legge gradita. Ma, nel lungo periodo, siamo convinti che questa scelta sia perdente, sia dal punto di vista dell’annuncio dell’Evangelo che dal punto di vista pastorale e che lo scisma interno, già esistente nella nostra Chiesa, possa estendersi.

Note

1) vedi Franca D’Agostini su “Il Manifesto” del 14.3.2009

2) Il comma recita: “L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. Non si vuole così procurare la morte : si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli intereressi legittimi del paziente”.

3) Vedi Padre Mario Beltrami S.J. “Il diritto di morire: un documento disatteso” in “Dolentium Hominum” n.68/2008, rivista del Pontificio Consiglio degli Operatori Sanitari (per la Pastorale della Salute). Così argomenta il Beltrami: “Il testo del documento è lucido, stringato, non si perita di scendere in particolari. Ne conseguono alcune chiarificazioni:
1 Si parla di legittimazione, non di semplice liceità, facendo pertanto un preciso riferimento a leggi giuridiche, esistenti o augurabili.
2 Si dichiara la legittimazione, e quindi liceità, non si impone qualsiasi obbligo. Nessuno è in dovere di imporre una simile interruzione. La libertà di coscienza del singolo individuo è totalmente rispettata.
3 L’interruzione eventuale delle cure non è condizionata da sofferenze più o meno gravi del paziente o di terzi. Anche nel caso di mancanza di sofferenze, se si danno le condizioni previste, rimane valida la legittimità dell’interruzioni delle cure. Non vengono prese in considerazione sofferenze di alcun genere.
4 Sono pertanto esclusi moventi emozionali. Solo moventi razionali possono fondare la decisione
5 Non si esige la coscienza o sufficiente lucidità mentale del paziente. Una decisione presa al tempo della lucidità mentale, che abbia validità qualora si verificassero le condizioni per l’interruzione delle cure, anche in assenza in quel momento di coscienza, non può essere disattesa. La decisione del paziente gode della preminenza su qualsiasi contrarietà di terzi, anche se in possesso di legittimi diritti.
6 Le condizioni elencate devono essere prese singolarmente, non cumulativamente. Nell’avverarsi di una qualsiasi delle quattro condizioni previste le legittimità dell’interruzione persiste nella sua efficacia”
Il testo integrale dell’articolo del Beltrami, per il suo rigore e la sua chiarezza, meriterebbe un’ampia diffusione. Esso è invece di difficile accessibilità.

4) Nella quarta parte di questo documento si legge: “E’ importante oggi proteggere, nel momento della morte, la dignità della persona umana e la concezione cristiana della vita contro un tecnicismo che rischia di diventare abusivo. Di fatto, alcuni parlano di “diritto alla morte”, espressione che non designa il diritto di procurarsi o di farsi procurare la morte come si vuole, ma il diritto di morire in tutta serenità, con dignità umana e cristiana. Da questo punto di vista, l’uso dei mezzi terapeutici talvolta può sollevare dei problemi” Ed ancora: “E’ sempre lecito accontentarsi dei mezzi normali che la medicina può offrire. Non si può, quindi, imporre a nessuno l’obbligo di ricorrere ad un tipo di cura che, per quanto già in uso, tuttavia non è ancora esente da pericoli o è troppo oneroso. Il suo rifiuto non equivale al suicidio : significa piuttosto o semplice accettazione della condizione umana, o desiderio di evitare la messa in opera di un dispositivo medico sproporzionato ai risultati che si potrebbero sperare, oppure volontà di non imporre oneri troppo gravi alla famiglia o alla collettività”.

5) Vedi il suo articolo “Io, Welby e la morte” su “Il Sole 24 Ore” del 21.1.2007. In un articolo più recente su “La medicina e le mani di Dio. Il giudizio della persona è centrale” (su “Il Corriere della Sera” del 6.9.2009) all’interno di una pensosa riflessione sul morire e sul rapporto medico e paziente, Martini recensisce il recente testo di Ignazio Marino “Nelle tue mani: medicina, fede, etica e diritti”, confermando sostanzialmente il suo punto di vista.

6) Questo testo del Pontificio Consiglio per la Pastorale degli Operatori Sanitari, a proposito della volontà del malato e del rapporto col medico recita: “Per il medico e i suoi collaboratori non si tratta di decidere della vita o della morte di un individuo. Si tratta semplicemente di essere medico, ossia d’interrogarsi e di decidere in scienza e coscienza, sulla cura rispettosa del vivere e del morire dell’ammalato a lui affidato. Questa responsabilità non esige il ricorso sempre e comunque ad ogni mezzo. Può anche richiedere di rinunciare a dei mezzi, per una serena e cristiana accettazione della morte inerente alla vita. Può anche voler dire il rispetto della volontà dell’ammalato che rifiutasse l’impiego di taluni mezzi”.

7) Ci riferiamo soprattutto al dibattito sul disegno di legge Calabrò approvato dal Senato nel marzo 2009 e ora in discussione alla Camera.

8) Per esempio, il 9 ottobre 2010 la diocesi di Milano ha organizzato un convegno su “Quale cultura per il fine vita” introdotto e concluso dai responsabili ecclesiastici di queste tematiche (i Mons. Giuseppe Merisi e Eros Monti). In esso i noti clinici cattolici proff. Massimo Reichlin e Alfredo Anzani, nelle relazioni e nel dibattito sulla morte nell’attuale contesto culturale e sulla complessità delle relative questioni mediche, sono arrivati sui casi Welby ed Englaro a conclusioni opposte a quelle “ortodosse” della gerarchia. Anche il vescovo emerito di Foggia Mons. Giuseppe Casale nel suo recente “Per riformare la Chiesa-Appunti per una stagione conciliare” (La Meridiana, 2010 pag. 45) ha espresso con nettezza una posizione critica rispetto alla “svolta”.

9) Il testo e i firmatari sono leggibili sul sito htpp://appelli.arcoiristv/Eluana_Englaro

10) Il testo e i firmatari sono leggibili sul sito www.cdbitalia.it/attualità

11) La riflessione su queste tematiche era già diventata generale nel mondo cattolico nell’autunno del 2006 a proposito del caso di Piergiorgio Welby. La sua morte il 20 dicembre di quell’anno e il diniego dei funeral
i religiosi da parte del Card. Camillo Ruini creò scandalo e fu però l’occasione per conoscere situazioni di sofferenza prima abbastanza nascoste e di fare riflessioni sul fine vita come non ce ne erano mai state nel recente passato di questo tipo.

12) Vedi quanto scrive Enzo Bianchi nell’articolo “Via e morte secondo il Vangelo” (su “La Stampa” del 15.10.2009): “Il carattere sacro della vita è ciò che impedisce al medico di uccidere e che lo obbliga nello stesso tempo a dedicarsi con tutte le risorse della sua arte a lottare contro la morte. Questo non significa tuttavia obbligarlo a utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che gli offre la scienza instancabilmente creatrice. In molti casi non sarebbe forse una inutile tortura imporre la rianimazione vegetativa nella fase terminale di una malattia incurabile? In quel caso, il dovere del medico è piuttosto di impegnarsi ad alleviare la sofferenza, invece di voler prolungare il più a lungo possibile , con qualsiasi mezzo e a qualsiasi condizione, una vita che non è più propriamente umana e che va naturalmente verso il suo epilogo: l’ora ineluttabile e sacra dell’incontro dell’anima con il suo Creatore, attraverso un passaggio doloroso che la rende partecipe della passione di Cristo. Anche in questo il medico deve rispettare la vita”.

13) Vedi articolo citato pag. 61.

14) Il ddl Marino (firmato da altri 99 senatori) è stato presentato al Senato il 29.4.2008. Esso ha il numero 10 e coincide con il “testo unificato” licenziato al Senato nel marzo del 2008 e decaduto con la fine della legislatura; esso fu elaborato su proposta iniziale dello stesso Marino presentata nel maggio del 2006. Questa proposta prevede una distribuzione delle competenze sul fine vita tra il testamento biologico del malato (che ha l’assoluta prevalenza), il fiduciario da esso nominato, i famigliari e il medico curante fino al Comitato etico della struttura sanitaria e, in caso di dissenso non componibile, all’autorità giudiziaria. La proposta prevede quanto manca nel ddl Calabrò: interventi per organizzare una rete nazionale di strutture per cure palliative (ospice…), le modalità di prescrizione dei farmaci, norme sui LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) e sulla formazione del personale sui problemi posti dal fine vita.

15) Vedi l’articolo “Il ricatto della deriva” sul “Corriere della sera” del 28.2.2009.

16) La paura fobica della “deriva eutanasica” e la paura dell’abbandono terapeutico nei confronti dei soggetti deboli (morenti, malati terminali, anziani, abbandonati…) hanno indotto Francesco D’Agostino (su “Avvenire” del 22.2.2011) a formulare un nuovo fronte contrapposto, non più quello tra laici e cattolici ma quello tra “illuministi” e “realisti” . I primi “ vedono la fine della vita umana posta sotto il segno di un’autodeterminazione lucida, serena, forte, coraggiosa, direi quasi”giovanile” col diritto di avere medici che ne rispettino la volontà, i secondi “sono ben più attenti al dato di realtà per cui la morte è evento senile che si caratterizza per la fragilità , la debolezza, lo stato di paura o di assoluta dipendenza dal morente”Secondo questa posizione degli “illuministi” il malato in queste condizioni –si argomenta- aprirebbe un varco inevitabile all’abbandono terapeutico. E’ una contrapposizione in più di cui non si sentiva la necessità. Soprattutto è un gratuito processo alle intenzioni. Il problema è quello di evitare l’accanimento, non di praticare l’abbandono.

17) Tra i soggetti “laici” la “Consulta di bioetica” ha elaborato da tempo analisi e ha fatto proposte che sono tanto più antagoniste quanto più non trovano interlocutori veri nel mondo cattolico. Sul problema del rapporto con la cultura laica il quotidiano cattolico “Avvenire” gioca un ruolo negativo per la sua predeterminata e indiscriminata vis polemica che impedisce qualsiasi vero ascolto e conseguente dialogo tra posizioni diverse. Un esempio di questa permanente mobilitazione “antilaicista” lo si è avuto con la campagna nello scorso novembre, durata a lungo, contro la trasmissione di Fabio Fazio e Roberto Saviano “Vieni via con me”, colpevole di aver dato la parole a Mina Welby e a Beppino Englaro e non alle famiglie di malati in condizioni estreme.

18) Tra gli interventi più pesanti non possiamo non segnalare quello, del tutto intemperante nel linguaggio e nei contenuti, dell’arcivescovo Mons. Giuseppe Betori nei confronti del consiglio comunale di Firenze, il quale ha approvato il 5 ottobre 2009 una delibera che facilita a livello municipale la redazione del testamento biologico da parte dei suoi cittadini (vedi “Avvenire” del 6 ottobre 2009).

19) Citazione contenuta nell’articolo “Giornata nera per la Repubblica” di Stefano Rodotà su “La Repubblica” del 7.2.2009.

20) Nei giorni più caldi del caso Englaro, il 5 febbraio 2009, in una conferenza egli affermò. “La povera Eluana, di fatto, è morta già da diciasette anni. Con quale coraggio si può affermare che essa è una persona ancora viva, quando la sua è sempre stata una condizione vegetativa, che si è potuta mantenere esclusivamente attraverso l’impiego di strumenti meccanici artificiali? Questo abbaiare, questo gridare da tutte le parti, in effetti nasconde la vera gravità dei veri problemi della vita, occultando le profonde ingiustizie che colpiscono tanta parte dell’umanità….ed è molto grave, anzi gravissimo,che molte autorità le alimentino con le loro prese di posizione, proprio per le responsabilità di guida che esse rivestono. Anche perché dovrebbero sapere benissimo, per via della loro scienza, che la dottrina sostiene proprio il contrario di quello che affermano. Ma arrivare a parlare di omicidio è, ripeto, addirittura peccaminoso, perché è contro la verità”. Claudio Magris (sul “Corriere della Sera” del 10.2.2010), nel primo anniversario della morte di Eluana, ha scritto: “Le parole forse più alte contro l’idolatria della vita a ogni costo e contro l’idolatrico rifiuto della morte a ogni costo la hanno dette alcuni studiosi cattolici, ad esempio Klaus Demmer e Sandro Spinsanti in alcune voci del Nuovo Dizionario di Teologia Morale delle edizioni San Paolo”. E Lorenza Carlassare, docente di diritto costituzionale a Padova, in una intervista al “Corriere della Sera” del 3.3.20011 afferma, dopo essersi dichiarata contraria alla legge in discussione dice: “Io sono cattolica, credente e praticante, personalmente io affido la mia vita nelle mani di Dio. E penso che rifiutare inutili sofferenze significhi anche affrontare una morte naturale come transito verso la vita eterna”. Il noto filosofo cristiano Vittorio Possenti così conclude un pensoso articolo sul “Corriere della Sera” (del 23.2.2011): “Lo stato non può esigere un dovere incondizionato di continuare ad esistere, quando il cittadino ha fatto chiaramente intendere di non volere essere trattenuto a qualsiasi costo”.

21) Vedi l’intervista al “Corriere della Sera” del 6.2.2011.

22) Il ddl Calabrò (è l’atto parlamentare n. 2350, leggibile sul sito della Camera dei Deputati) è il risultato dell’accesissimo dibattito svoltosi nel marzo 2009 al Senato che lo votò a maggioranza. L’iter alla Camera nelle diverse commi
ssioni non ne ha modificato l’impianto: E’ stata aggiunta la possibilità di interrompere la nutrizione artificiale, nel caso questa non sia più efficace, ed è stata estesa la normativa, prevista originariamente a chi si trova in stato vegetativo permanente, anche ai soggetti incapaci di comprendere le informazioni sui trattamenti sanitari ipotizzati e quindi di assumere le decisioni o conseguenti che lo riguardano.

23) Vedi l’articolo “Nutrire? E’ una terapia” di Claudio Zanon dell’Ospedale Molinette di Torino su “La Stampa” del 4.3.2009. Egli scrive che nell’alimentazione ed idratazione “l’utilizzo di sacche nutrizionali implica una conoscenza medica del tipo di sacca da prescrivere, la capacità di introdurre invasivamente un sondino nell’intestino o nello stomaco, oppure una cannula infusionale in una vena centrale. Sono procedure non prive di complicanze, descritte in numerosi articoli scientifici, e che necessitano di controlli periodici ed apposite manutenzioni e sostituzioni per prevenire gravi squilibri, come idroelettroliti ematici, infezioni, polmoniti, emorragie gastrointestinali, perforazioni intestinali”.

24) Esse vengono ricordate da Ignazio Marino in una lettera a “Repubblica”del 7.2.’09. Vi si afferma. “la posizione ufficiale delle società scientifiche espressa da Olle Ljungqvist (Presidente della Società europea di Nutrizione Clinica e Metabolismo) e da Maurizio Muscaritoli (Presidente della corrispondente società italiana) è la seguente: “La nutrizione artificiale è terapia medica a tutti gli effetti: utilizza nutrienti (non alimenti) che sono preparati con procedure farmaceutiche e vengono somministrati per via artificiale – enterale o parenterale- cioè senza ricorrere al normale processo di deglutizione. La nutrizione artificiale richiede, per essere praticata, il consenso informato del paziente (o suo delegato, se incosciente), la collaborazione del farmacista, il regolare controllo e monitoraggio del medico specialista. La decisione di accettare o rifiutare una terapia resta un diritto dell’individuo da esercitare direttamente o attraverso un suo delegato, se incosciente”.

25) Questo testo del 27.3.2009 così recita: “Nutrizione e idratazione artificiale, sono, come da parere quasi unanime della comunità scientifica, trattamenti assicurati da competenze mediche e sanitarie”. Particolarmente astiosa è stata la polemica contro questo documento da parte di Avvenire.

26) I risultati del sondaggio (gennaio 2011) composto di dieci quesiti, sono leggibili sul sito www.collegiochirurghi.it (area Sondaggi). In particolare il 76,06% degli intervistati ritiene che la nutrizione artificiale sia un trattamento medico (il 26,94% invece lo ritengono un sostegno vitale) e il 70,51% (contro il 29,49%) pensa che la DAT dovrebbe avere un valore vincolante per il medico. Una trattazione esauriente di tutto il problema è stata svolta dal cattolico Prof. Giandomenico Borasio, docente di cure palliative all’Università di Monaco di Baviera in “In Italia i sondini hanno più diritti dei malati?” (su “Micromega” n.2/2009).

27) Oltre al sondaggio dell’Eurispes del 2006 e a quello dell’ISPO dell’inizio 2009 ricordiamo quello dell’Osservatorio “Scienza e Società” secondo cui il 73% degli italiani è a favore della possibilità di indicare in anticipo la propria volontà circa il proseguimento o meno delle cure qualora non si fosse più coscienti in una situazione di grave malattia e senza speranza di guarigione. A sostegno del proprio orientamento gli intervistati adducono il riconoscimento del diritto di scelta individuale, motivazione che sta alla base anche del rispetto della volontà del paziente da parte della medicina. Non emergono forti differenze tra credenti di fede cattolica (71% di favorevoli) e non credenti (83%). I dati sono stati diffusi il 30.11.’08 e sono leggibili su www.observa.it.

28) Per l’esattezza il comunicato finale del Consiglio Episcopale Permanente del 22.9.’08 auspica una legge “a fronte del rischio di pronunciamenti giurisprudenziali che aprano la strada nel nostro paese all’interruzione legalizzata della vita mediante la sospensione dell’idratazione e del nutrimento”. Il comunicato continua sostenendo che “una eventuale legge sul fine vita sarebbe una cosa ben diversa da una normativa che legittimi la nozione di testamento biologico, espressione di una cultura dell’autodeterminazione” ed ancora auspica che “in questo delicato passaggio non vengano legittimate e favorite forme mascherate di eutanasia, in particolare di abbandono terapeutico e sia invece esaltato ancora una volta quel favor vitae che, a partire dalla Costituzione, contraddistingue l’ordinamento italiano”. La CEI demonizza il termine “testamento biologico e usa una terminologia non equivocabile (dal suo punto di vista) : “legge sul fine vita” e “Dichiarazione Anticipata di Trattamento”.

29) Il problema di una soluzione legislativa era stato posto da tempo. Addirittura la XII Commissione del Senato il 13.7.2005 all’unanimità (relatore Antonio Tomassini) aveva approvato un ddl sul testamento biologico che non fu però discusso dalla Camera per la fine della legislatura.

30) Ignazio Marino sul “Corriere della sera” del 26.2.2009 ricorda la ricerca dell’Istituto Mario Negri di Milano. Così egli descrive la situazione: “Dobbiamo fare i conti con il mondo reale e con quello che accade dentro agli ospedali. Possiamo fare anche dell’ipocrisia una virtù, ma dobbiamo comunque dire che nelle rianimazioni italiane le decisioni sulla fine della vita dei pazienti vengono prese in continuazione, ogni giorno, da medici che operano in scienza e coscienza ma che, nella maggior parte dei casi, non possono conoscere gli orientamenti dei pazienti rispetto alle terapie da accettare o meno nelle fasi finali della vita. I risultati della ricerca dimostrano come, su circa 3800 decessi, avvenuti in cento rianimazioni sparse in tutto il paese, nel 62% dei casi i medici abbiano attuato la cosidetta “desistenza terapeutica” nelle ultime 72 ore di vita del paziente….Ciò significa che il medico di guardia (non il medico di una vita, il padre, la madre, un figlio o un parente) decide in scienza e coscienza, ma anche in solitudine, di non avviare la dialisi, di non somministrare la nutrizione artificiale, di non intubare il paziente per collegarlo al respiratore automatico”.

31) Di fronte alle perplessità nei confronti del ddl Calabrò di larghi settori dell’opinione pubblica venti deputati, allora del PDL e ora confluiti in FLI (vedi “Il Foglio” del 23.9.’09), hanno proposto che la “zona grigia” del fine vita (tra accanimento e abbandono, tra volontà del malato e ruolo del medico) non sia regolamentata e che una legge (una cosidetta”soft law”) potrebbe “prudentemente fissare solo i confini “esterni” delle situazioni che riguardano la vita e la morte ma non i contenuti “interni”che dovrebbero essere affidati interamente alle relazioni morali e professionali che legano il malato al suo medico e ai suoi congiunti”. La proposta è stata appoggiata da Angelo Panebianco (vedi il “Corriere della sera” del 30.9.2009) ma immediatamente bocciata da un editoriale, più che ufficioso, del primo ottobre di Francesco D’Agostino su “Avvenire”. Di fronte allo scontro frontale che sta iniziando in aula alla Camera anche il sen. Ignazio Marino ha proposto in più interventi una soluzione di comp
romesso consistente nel votare un unico articolo in cui si affermi che tutte le terapie, incluse idratazione e alimentazione, sono garantite “a meno che il paziente abbia lasciato scritto un NO”. Il testo del ddl Calabrò, nel caso diventasse legge, sarà molto probabilmente soggetto a ricorsi davanti alla Corte Costituzionale, soprattutto sulla base dell’art. 32. Approssimandosi il dibattito in aula, l’area della maggioranza si presenta abbastanza compatta, sotto la pressione della situazione politica e soprattutto della Conferenza episcopale che sembra tutta mobilitata come ai tempi del caso Englaro. Eppure l’analisi complessiva delle questioni in discussione fa nascere qualche dubbio soprattutto nella direzione dell’astensione dal legiferare (vedi Melania Rizzoli, medico e deputata del PDL, di Giuliano Ferrara mentre contrario alla legge si è dichiarato il ministro Sandro Bondi ). Anche nel Pd la linea del sospendere ogni intervento di tipo legislativo trova consensi (Pierluigi Castagnetti e Walter Veltroni). Molto interessante l’editoriale di Ernesto Galli Della Loggia (sul “Corriere della sera” del 25.2.2011), che, dichiarandosi contrario alla legge, esprime opinioni diffuse nell’opinione moderata e “laica”.

32) Il testo del testamento biologico proposto dalla Chiesa valdese di Milano si può leggere su www.milanovaldese.it/documenti/2/formulario. La Chiesa valdese ha sempre svolto un ruolo di primo piano nella ricerca sui problemi bioetici. Il documento più importante è quello della Commissione di bioetica del 24.7.’07 su “Direttive anticipate”. La moderatrice della Tavola Valdese Maria Bonafede ha scritto (su “Notizie evangeliche” n.6 del 9.2.2011): “la Chiesa valdese sa da sempre che la vita è un dono che riceviamo da Dio insieme alla libertà e alla responsabilità di farne qualcosa di buono, di metterla al servizio del prossimo, di cercarne il senso insieme agli altri uomini e alle altre donne. Nessuno può frapporsi tra la nostra coscienza e Dio, nessuno può mediare, nessuno ci può togliere il bene prezioso della coscienza individuale e la libertà di decidere e anche eventualmente di sbagliare. Una legge come quella proposta dal ddl Calabrò, che vorrebbe ridurre le persone a minori sotto tutela, è una legge che non rispetta la Costituzione e, ne sono profondamente convinta, nemmeno la libertà dei figli di Dio”. Ancora Maria Bonafede ha scritto su “Riforma” del 19.2.2011 : “In questa battaglia intorno al corpo di Eluana non è mai risuonata la parola dell’amore e della speranza in Cristo. Abbiamo letto e ascoltato solo giudizi perentori, di cui molti da parte di cristiani”.

33) Vedi Piergiorgio Morosini, segretario generale di Magistratura Democratica, su “Liberazione” del 8.12.2010.

34) Vedi Maurizio Lupi, vicePresidente della Camera, su “Avvenire” del 13.1.2011.

35) In particolare si legga il penetrante contributo di Roberta De Monticelli su “Repubblica” del 25.1.2009. Particolarmente autorevole è l’opinione di Umberto Veronesi che, ripetutamente e, da ultimo sul “Corriere della Sera” del 10.1.2011, ha ricordato che è mutato in meglio il rapporto medico-paziente; Quest’ultimo vuole “riappropriarsi di scelte che riguardano la propria esistenza e la sua qualità, in ogni fase. Compresa quella finale”.

36) Negli USA (a partire dal Patient Self-Determination Act del 1991) va rispettato, nel caso di paziente incosciente, il rifiuto di qualsiasi trattamento espresso attraverso il living will (testamento biologico); nel caso di assenza di scritti che documentino la volontà del paziente, divenuto incapace, la decisione clinica viene presa dal substituded judgement (fiduciario) che è di solito un famigliare. Leggi analoghe sono state approvate negli ultimi dieci anni nei principali paesi europei, in Canada, in Messico e in Australia.

37) Il testo di questo documento può essere letto su www.ekd.de/patientenverfuegung/cpv_1. La dichiarazione da firmare è la seguente: “Disposizioni assistenziali-sanitarie del paziente cristiano con procura preventiva e istruzioni vincolanti per assistenza e cure mediche. Formulario: “Per il caso in cui io non possa dare forma o esternare la mia volontà, dispongo quanto segue: non mi possono essere messe in atto misure intese a prolungare la vita se viene constatato, secondo scienza e coscienza medica, che ogni provvedimento per il proseguimento della mia vita è privo di prospettiva di miglioramento clinico e solamente ritarderebbe la mia morte. In questo caso assistenza e trattamenti medici, come anche cure premurose, devono essere diretti al lenimento delle conseguenze del male, come, per esempio, dolori, agitazione, ansia, insufficienza respiratoria o nausea, anche se la necessaria terapia del dolore non escluda un accorciamento della vita. Io voglio morire con dignità e in pace, per quanto possibile e a contatto dei miei congiunti e delle persone che mi sono prossime e nel mio ambiente famigliare. Desidero assistenza spirituale. La mia confessione religiosa è ….”. In conseguenza della nuova legge federale la Chiesa cattolica e le Chiese protestanti hanno concordato un nuovo formulario, presentato a fine gennaio.

38) Dopo la convinta diffusione della loro proposta di testamento biologico le chiese nella RFT, durante il dibattito parlamentare, hanno tenuto un atteggiamento prudente e, a volte, critico nei confronti di un testo esplicitamente teso a sostenere una completa autodeterminazione del paziente. Non hanno però trovato molti consensi al Bundestag, non hanno organizzato nessuna campagna, non hanno lanciato anatemi né minacciato di boicottare la legge. Su questo aggiustamento della linea dei vescovi tedeschi ha probabilmente influito il pronunciamento, fortemente contestato, della Congregazione per la Dottrina della Fede. Esso, il primo agosto del 2007, in risposta a un quesito posto dai vescovi USA, in conseguenza del caso Terri Schiavo, sosteneva, senza motivare in alcun modo questa posizione, che un “paziente in stato vegetativo permanente” è una persona, con la sua dignità umana fondamentale, alla quale sono perciò dovute le cure ordinarie e proporzionate che comprendono, in linea di principio, la somministrazione di acqua e cibo, anche per vie artificiali”. Che questa posizione sia in contraddizione col CCC appare evidente da quanto sopra chiarito.

39) In una nota ufficiale del portavoce della Conferenza dei vescovi tedeschi del 17.3.2009 si sostiene che le posizioni di quell’episcopato non sono in contraddizione con quelle del Magistero universale sull’eutanasia, in riferimento ai numeri 2278 e 2279 del CCC. Infatti la contraddizione esiste ma con la posizione della CEI, non con quella del Catechismo!

40) Vedi Stefano Rodotà in “Il bio-testamento e la politica” su “Repubblica” del 27.2.2009

41) Vedi Luigi Ferraioli in “I sovrani del corpo” su “Il Manifesto” del 26.3.2009 che fa anche l’ipotesi del malato che, in condizioni estreme, mantenga, come sostengono molti difensori della vita “qualche barlume di consapevolezza e comprendesse senza possibilità di comunicare in alcun modo di essere condannato per un tempo indefinito a rimanere prigioniero delle macchine che lo nutrono, senza potersi muovere né cambiare posizione, né parlare o sentire o vedere”. In questo caso massima sarebbe la violazione del rispetto della sua persona.

42) E’ interessante il parere della FNOMeO nel documento già citato. Dopo avere affermato che” nutrizione e idratazione artificiale sono, come
da parere pressoché unanime della comunità scientifica, trattamenti assicurati da competenze mediche e sanitarie” affrontano il ruolo del medico nel rapporto col paziente: “L’autonomia decisionale del paziente che si esprime nel consenso/dissenso informato, rappresenta l’elemento fondante della moderna alleanza terapeutica al pari dell’autonomia e responsabilità del medico, in questo equilibrio, alla tutela della libertà di scelta del paziente deve corrispondere la tutela della libertà del medico, in ragione di scienza e coscienza (obiezione)”.

(7 marzo 2011)

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