Biotestamento: una legge per tutti, una legge per tutto

Alessandro Capriccioli

In Parlamento esce sconfitto quel riflesso pavloviano del potere rispetto alla prospettiva della scelta individuale: quel potere che istintivamente percepisce la libertà di scelta come il pericolo più grave per la propria sopravvivenza. Ecco perché il testamento biologico non è soltanto una “conquista di civiltà” ma anche un presidio di libertà che deve estendersi subito in altri ambiti, a partire dallo ius soli prima della fine della legislatura.

*

C’è un piano formale, nel dibattito pubblico sulle scelte di fine vita, che riguarda gli espedienti retorici ai quali purtroppo in troppi si sono assuefatti, a forza di sentirli ripetere sempre uguali dai tempi di Piergiorgio Welby.

E’ il piano del valore inviolabile della vita umana e della sua supposta indisponibilità, dello sterminio sotterraneo dei malati, della morte per fame e per sete, dell’abbandono dei più deboli, dell’eutanasia occulta e della pretesa deriva eugenetica. Il piano delle grida all’omicidio, degli anatemi e delle invettive scomposte, come quella di Eluana Englaro che secondo Silvio Berlusconi avrebbe potuto concepire un figlio e che secondo Carlo Giovanardi era una pianta, ma sana.

Poi c’è il livello vero, effettivo, autentico. Un livello che riguarda esclusivamente un concetto tanto essenziale quanto spaventoso e temuto: la libertà di scelta.

Sul primo livello, a me pare, si è giocata per anni la sostanza di un dibattito che contenuto entro i suoi contorni concreti non avrebbe avuto alcuna ragione neppure di iniziare. Ha senso negare, perfino al di là del dettato costituzionale, che ciascuno possa decidere liberamente se sottoporsi o non sottoporsi a una determinata pratica medica? Ha senso negare che possa decidere, altrettanto liberamente, di interromperla? Ha senso accapigliarsi – con un livello di dettaglio al limite del raccapricciante – sulla natura della nutrizione e dell’idratazione artificiali, trascurando il particolare che in uno stato di diritto nessuno dovrebbe essere costretto a fare o non fare alcunché, sia esso curarsi, mangiare o bere? Ha senso agitare il fantasma dell’eutanasia di massa in relazione a situazioni che riguardano semplicemente – si fa per dire – la consapevole libertà di scelta di ciascuno sull’accettare o non accettare una terapia?
Evidentemente, e al di là di ogni ragionevole dubbio, no.

Ha molto più significato ed è molto più utile, alzando appena lo sguardo oltre il muro dei dibattiti di facciata, discutere sull’argomento vero, quello che sta davvero alla base della questione: abbiamo l’ambizione di costruire una comunità di individui liberi? Conviene al potere, nella sua accezione più larga e generale, che ciò avvenga?

Nessun complottismo, sia chiaro. Non esistono misteriose e trasversali organizzazioni che pianificano a tavolino sottili strategie per distruggere la libertà delle persone. Ma il riflesso inconsapevole, pavloviano del potere rispetto alla prospettiva della scelta individuale, quello esiste eccome. Il potere che istintivamente, automaticamente, sulla scorta degli stessi meccanismi grazie ai quali si è imposto e si è consolidato, percepisce la scelta degli individui come il pericolo più grave per la propria sopravvivenza.
Sotto questa luce, la questione del testamento biologico appena approvato dal Senato cessa di essere, come taluni cercano strumentalmente di disegnarlo, un argomento meramente tecnico, per rivelare tutta la sua piena, e scardinante, valenza politica: una valenza che va ben al di là delle questioni mediche o sanitarie dalle quali parte, per estendersi in modo pervasivo a tutta la nostra esperienza di cittadini, oltre che di persone.

E’ una lettura appena più profonda, ma utilissima per dare conto delle vistose contraddizioni che attraversano il dibattito – quello formale – in modi e con toni che spesso e volentieri sfiorano il grottesco.

Come conciliare, tanto per fare un esempio, il fatto che da parte degli stessi commentatori si sottolinei la necessità di esercitare nei confronti dei malati, in nome dell’inviolabile valore della vita, premure che vanno contro le loro stesse scelte, e allo stesso tempo si esprima disinteresse – o, peggio, accanimento e perfino odio – verso migliaia di persone che la vita la perdono in mare, mentre arrivano nel nostro paese per cercarne una migliore?

Si tratta, apparentemente, di una discrasia così macroscopica da risultare logicamente ridicola: che tuttavia recupera senso se analizzata nella chiave, appunto, del potere, che utilizza la vita umana come fantoccio polemico mentre mira a colpire, definitivamente e molto più in profondità, il concetto di libertà.
Perché è la libertà, in entrambi i casi, che dev’essere stroncata: sia essa quella di un malato che vuole sospendere una cura o quella di un migrante che cerca un futuro lontano dal posto in cui è nato.

Si potrebbero fare altri esempi, arricchendo il campionario delle contraddizioni fino a farne un mosaico surreale, utilissimo per fare incetta di like sui social network: ma il risultato finale, e l’unica interpretazione possibile, sarebbe sempre la stessa.
Ecco perché, con ogni evidenza, il testamento biologico non è soltanto una “conquista di civiltà”: ma anche, e soprattutto, un presidio di libertà che può estendersi, e immancabilmente si estenderà, anche ad àmbiti del tutto diversi da quello di partenza. Come del resto avviene, e storicamente è avvenuto, ogni qual volta si è riusciti nell’impresa – in questo paese spesso fin troppo ardua – di dare valore e dignità giuridica alle scelte degli individui.

Siamo ancora lontani, troppo, dal riconoscimento pieno della dignità delle scelte individuali che sarebbe necessario a introdurre nel nostro ordinamento la legalizzazione dell’eutanasia: a dispetto del fatto che si tratti di un tema ormai maggioritario, dati alla mano, nella cosiddetta opinione pubblica, la stessa che gran parte della politica evoca in modo surrettizio solo quando torna utile a legittimare se stessa.

Né si può tacere il fatto che la vera sfida, a questo punto, sarebbe porre riparo in questa legislatura anche a un’altra odiosa discriminazione, approvando le norme sullo ius soli senza le quali quasi un milione di minori, nella sostanza nostri concittadini, sono costretti a vivere una situazione di vera e propria sospensione dalla realtà.

Ma al di là di tutto il resto, questa mi pare la chiave di lettura più significativa della storica mattinata di oggi: è stata approvata una legge che tutela e promuove la libertà di scelta dei malati, ma anche di tutti gli altri, e non solo in relazione all’àmbito medico e sanitario.
Una legge, se si può perdonare la sintesi, non solo per tutti.
Ma anche, auspicabilmente, per tutto.

* Alessandro Capriccioli è segretario di Radicali Roma e consigliere generale dell’associazione Luca Coscioni

(14 dicembre 2017)



MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.