Umberto Bossi (Lega Nord) – Ministro delle Riforme per il Federalismo
Anagrafe Nato a Cassano Magnago (Varese) il 19 settembre 1941.
Curriculum Diplomato per corrispondenza alla scuola Radioelettra, studente di medicina con scarso rendimento, si avvicina alla politica negli anni Settanta, quando risulta iscritto al Pci nella sezione di Samarate; poi scopre l’autonomismo grazie all’incontro con il federalista Bruno Salvadori, capo dell’Union Valdotaine, che cambia la sua vita; nel 1980 Bossi fonda l’Unione Nordoccidentale Lombarda per l’Autonomia; nel 1982, insieme a Maroni e Leoni, la Lega Autonomista Lombarda; nel 1984 la Lega Lombarda, che a fine anni Ottanta si federa con altri movimenti nordisti nella Lega Nord; in Parlamento dal 1987, si batte contro i partiti della Prima Repubblica e di «Roma ladrona»; nel 1994 si allea con Berlusconi, ma a fine anno ne rovescia il governo dopo mesi di durissime polemiche; dal ’96 la Lega corre da sola, sempre con forti accenti antiberlusconiani e antifascisti, fino al 1999, quando firma un accordo con il Cavaliere in vista delle elezioni del 2001; ministro per le Riforme Istituzionali e la Devoluzione nel governo Berlusconi-2, è costretto a dimettersi nel 2004 (rimanendo parlamentare europeo) dopo il grave ictus che l’ha colpito; 5 legislature al Parlamento italiano (1987, 1992, 1994, 1996, 2001) e 4 al Parlamento europeo.
Soprannome Il Senatùr.
Segni particolari Difensore della «famiglia tradizionale», ha avuto due mogli: Gigliola Guidali, che gli ha dato un figlio, Riccardo; e Manuela Marrone, che gli ha dato Eridano Sirio, Roberto Libertà e Renzo. Difensore della religione cattolica, ha attaccato più volte la Chiesa cattolica:
La Pivetti ci serviva per trattare col Vaticano: ora la rimando indietro al Vaticano morta, secca (10 agosto 1996 ).
Il Sud è quello che è grazie all’Atea Romana Chiesa, con i suoi vescovoni falsoni che girano con la croce d’oro nei paesi dove si muore di fame: il principale potere antagonista dei padani (3 agosto 1997 ).
La Chiesa è l’altra bretella del regime del partito-stato, insieme ai sindacati.
La Padania deve combattere contro il nazionalsindacalismo e il nazionalclericalismo. Sono lontani i tempi di Giovanni XXIII, il gran lombardo: ora (sic!) è arrivato il papa polacco, che ha portato la Chiesa a interessarsi molto di più del potere temporale invece che del potere spirituale. I vari casi Ior e Marcinkus sono lì a dimostrarlo (9 agosto 1997 ).
I preti pensino all’anima, lascino stare la politica. Il peggior governo laico è sempre meglio del miglior potere teocratico. Ringrazio Napoleone che ha portato la fine del potere politico della Chiesa; basta con chi vuole controllarci in camera da letto e nel cesso. La Chiesa pensi a imitare Gesù che diceva di andare per il mondo a piedi nudi, invece di stare nei palazzi a mangiare e bere e a fare magari qualcosa altro. Lo dico perché sono un uomo di profonda spiritualità (4 settembre 1997 ).
È da un anno che il potere teocratico dei vescovoni, gli zuccotti rossi, ci martella sistematicamente: pensassero alle anime, piuttosto che agli affari o alla politica (5 settembre 1997 ).
Siamo i più puliti e soprattutto non facciamo accordi con i preti (17 ottobre 1997 ).
È ora di mandare la Guardia di finanza da certi vescovoni per sapere dove vanno i soldi che hanno raccolto per i poveri. I veri razzisti sono i buonisti, associazioni caritatevoli, tipo Caritas. Agiscono per un solo scopo: riempirsi il portafogli. Come il caporalato delle parrocchie: miliardi di euro in nero gestendo badanti, cameriere eccetera. Sappiamo chi c’è dietro, quali associazioni hanno perso il Dio che sta nei cieli, sostituendolo col dio denaro (9 settembre 2002).
Oggi è l’alleato più fedele di Berlusconi, ma negli anni passati lo chiamava con epiteti piuttosto pittoreschi e inquietanti. Breve antologia.
Una volpe infida pronta a fare razzia nel mio pollaio (7 marzo 1994 ).
Berluskaz è un impomatato fra le nuvole azzurre (9 marzo 1994 ).
Fa il lavaggio del cervello alla gente (10 marzo 1994 ).
È il riciclatore più efficace dei calcinacci del regime del pentapartito (13 marzo 1994 ).
Berlusconi presidente del Consiglio? Non se ne parla nemmeno. Dalla Prima alla Seconda Repubblica si passa con uomini nuovi, il nuovo premier dev’essere un leghista: Maroni (29 marzo 1994 ).
Berlusconi non potrà mai fare il presidente del Consiglio (5 aprile 1994 ).
Lui pensa che il Paese sia il suo scranno o il suo regno, ma ha sbagliato pagina. L’Italia non è il regno di Berluskaiser. Un affarista piduista non può diventare presidente del Consiglio (5 aprile 1994 ).
Siamo in una situazione pericolosa per la democrazia. Se quello va a Palazzo Chigi vince un partito che non esiste, vince un uomo solo, il Tecnocrate Autocrate («La Stampa», 5 aprile 1994).
Ma chi si crede di essere, Nembo Kid? Tratta lo Stato come una società per azioni (4 maggio 1994 ).
Attenti, quello ci vuole regalare un altro Ventennio (9 maggio 1994 ).
Berlusconi è la bistecca e la Lega il pestacarne (11 maggio 1994 ).
Un tubo vuoto qualunquista (1° giugno 1994 ).
È un kaiser in doppiopetto (12 giugno 1994 ).
Non siamo noi che litighiamo con Berlusconi, è la Storia che litiga con lui (17 giugno 1994 ).
Mentre lui era nel Mulino Bianco, noi facevamo cadere il regime (6 agosto 1994 ).
Ha il parrucchino e la plastica facciale (8 agosto 1994 ).
Ma vi pare che uno che possiede 140 aziende possa fare gli interessi dei cittadini? Quando lui piange, fatevi una risata: vuol dire che va tutto bene, che non ha ancora trovato la combinazione della cassaforte.
Ogni tanto io a questo Berluscosa gli afferro il polso: pum, fermo lì!, perché sta per mettere le mani sulla cassaforte. Ci prova in continuazione: la Rai, la magistratura, il condono per i suoi amici palazzinari, le pensioni… Altolà, dove vuoi andare, Berluscosa? (8 agosto 1994 ).
Io dico quel che penso, lui fa quel che incassa (13 agosto 1994 ).
Bisogna che si mettano in testa tutti, anche il Berlusconi-Berluskaz, che con i bergamaschi io ho fatto un patto di sangue: gli ho giurato che avrei fatto di tutto per avere il cambiamento. E non c’è villa, non c’è regalo, non c’è ammiccamento che mi possa far cambiare strada. Berlusconi deve sapere che c’è gente che ne ha piene le tasche e che è pronta a fare il culo anche a lui. Bastano due secondi e dovrà scappare di notte. Se vedono che sono stati imbrogliati, gli arrotolano su le belle ville e i prati all’inglese e scaraventano tutto nel Lambro (1° settembre 1994 ).
Quello ormai è un pollo bollito, lo lessiamo a Natale (6 dicembre 1994 ).
Un piccolo tiranno, un dittatore (20 dicembre 1994 ).
Un Peròn della mutua (23 dicembre 1994 ).
È una persona incapace. Hanno cercato di fare un po’ il mercato delle vacche. Berlusconi non nasconde la sua tendenza alla vaccaggine («Corriere della Sera», 13 gennaio 1995).
Nazista, nazistoide, paranazistoide («Corriere della Sera», 14 gennaio 1995).
Bisognerebbe far scattare la legge per il ricostituito Partito fascista. Questi sono quella cosa lì. E si può dimostrare facilmente. Al loro interno non hanno nessun meccanismo elettivo. Questo partito è messo in piedi da una banda di dieci persone che lo controllano nascosti dietro paraventi, non rispettano le regole della Costituzione, chiamano golpista il presidente della Repubblica, svuotano di potere il Parlamento e vogliono fare un esecutivo senza nessun controllo superiore.
Inoltre usano le televisioni, che sono strumenti politici messi insieme da Berlusconi quando era nella P2, secondo il progetto Gelli: dove il Paese dal punto di vista politico doveva essere costituito da uno schieramento destra contro sinistra dopo la rottura del meccanismo consociativo che faceva da ammortizzatore. Hanno usato le televisioni come un randello per fare e disfare. Si tratta di una banda antidemocratica su cui è bene che ci sia qualche magistrato che indaghi se viene commesso il reato di ricostituzione del Partito fascista (Ansa, 19 gennaio 1995).
È un mostro antidemocratico (Radio radicale, 11 febbraio 1995).
Richiamo le istituzioni a verificare se nei confronti della Fininvest non esistano gli estremi per configurare in quelle televisioni lo strumento per la ricostituzione del Partito fascista. Se così fosse, si proceda a oscurare quelle televisioni (Ansa, 12 febbraio 1995).
È una febbre malarica che viene dal Sud America (Radio radicale, 16 marzo 1995).
Il grande fascista di Arcore («la Repubblica», 10 aprile 1995 ).
Ha qualcosa di nazistoide, di mafioso (13 aprile 1995 ).
Quel cornuto («Il Messaggero», 19 aprile 1995 ).
Un fante, anzi un lesto-fante («Corriere della Sera», 20 aprile 1995 ).
Il bandito («Panorama», 2 giugno 1995 ).
Quel delinquente («Corriere della Sera», 12 giugno 1995 ).
Il suino Napoleon («La Stampa», 4 luglio 1995 ).
Quel brutto mafioso che guadagna i soldi con l’eroina e la cocaina
(«Corriere della Sera», 15 settembre 1995).
È un morto che parla («la Repubblica», 5 marzo 1998).
Berlusconi è un mafioso, lo dichiaro ufficialmente… Berlus-Cosa nostra («la Repubblica», 16 giugno 1998).
Berlusconi è peggio di Mussolini («la Repubblica», 16 giugno 1998).
La Padania, con quel titolo che diceva «Berlusconi, sei un mafioso? Rispondi!», è andata fin troppo leggera. Doveva andare più a fondo con quelle carogne legate a Craxi (Ansa, 21 agosto 1998).
«La Fininvest è nata da Cosa nostra» («La Padania», 27 ottobre 1998).
Berlusconi è un palermitano che parla meneghino. Bisognerebbe sapere le radici, la sua storia. Gelli fece il progetto Italia e c’era il buon Berlusconi nella P2. Poi nacquero le holding italiane di Berlusconi, di cui parte sembrano addirittura occulte. Come potrà mai la magistratura fare il suo dovere e andare a vedere da dove vengono quei quattrini, ricordando che la mafia quei quattrini li fa con la droga e che di droga al Nord sono morti decine di migliaia di ragazzi che ora gridano da sottoterra. Berlusconi è molto peggio di Pinochet (TelePadania, 11 novembre 1998).
Peccato che lui sia un mafioso. Il problema è che al Nord la gente è ancora divisa tra chi sa che Berlusconi è un mafioso e chi non lo sa ancora… Il Nord lo caccerà via. Di Berlusconi non ce ne fotte niente.
È un palermitano nato nella terra sbagliata. È un palermitano che parla meneghino, è il meno adatto a parlare di riforme. L’unica riforma che veramente sta a cuore a Berlusconi è che non vengano toccate le sue televisioni. Invece io dico che bisogna portargliele via, perché le sue televisioni sono contro la Costituzione. La prima riforma da attuare è quella di mettere in circolazione l’informazione. Berlusconi è tutto tranne che un democratico… Ci risponda: da dove vengono i suoi soldi? Ce lo spieghi, il Cavaliere. Dalle finanziarie della mafia? Ci sono centomila giovani al Nord che sono morti a causa della droga… Bisognerebbe sapere le radici, la sua storia. Gelli fece il progetto Italia e c’era il buon Berlusconi nella P2. Poi nacquero le holding italiane di Berlusconi, di cui parte sembrano addirittura occulte.
Come potrà mai la magistratura fare il suo dovere e andare a vedere da dove vengono quei quattrini, ricordando che la mafia quei quattrini li fa con la droga e che di droga al Nord sono morti decine di migliaia di ragazzi che ora gridano da sottoterra… Berlusconi è molto peggio di Pinochet («La Padania» e Telepadania, 11 novembre 1998)
Anche sul suo alleato Gianfranco Fini, in un passato non troppo remoto, aveva idee piuttosto chiare.
Mai al governo con la porcilaia fascista (1° febbraio 1994 ).
Noi della Lega siamo la continuazione dei partigiani che hanno combattuto per la libertà: la Lega non farà mai un accordo politico con i fascisti, o come cavolo si chiamano adesso (6 febbraio 1994 ).
Fini è un fascista, un segretario malriuscito, l’uomo del trapassato remoto (28 febbraio 1994 ).
Non mi occupo di una nullità come lui, anzi voglio uno scontro baionetta contro baionetta. An è un porcile puzzolente (28 febbraio 1994 ).
Chi vota Fini vota il manganello, un manganello inesistente, roba da vergognarsi, come il voto ai neonazisti in Germania (28 febbraio1994 ).
Come fa Fini, con quel cognome, a fare concorrenza a noi della Lega che ce l’abbiamo sempre duro? (4 maggio 1994 ).
La Mussolini è una pescivendola (29 maggio 1994 ).
Sappiamo bene da dove viene. Se agli italiani i fascisti piacciono, se li tengano, ma a me stanno sui coglioni (12 giugno 1994 ).
Il balilla Fini è un servo di Berlusconi, un doppiopettista dell’ultima ora con quel doppiopetto che gli straballa da tutte le parti (11 agosto 1994 ).
Fini è di quelli che vincono al Totocalcio e poi si ritrovano con le pezze al culo (16 gennaio 1995).
Fedina penale Condannato in via definitiva a 8 mesi di reclusione per 200 milioni di finanziamento illecito dalla maxitangente Enimont; condannato in via definitiva per istigazione a delinquere e per oltraggio alla bandiera; indagato e imputato in altri procedimenti penali. I fatti legati alla mazzetta del gruppo Ferruzzi risalgono al marzo 1992, cioè pochi giorni dopo l’arresto di Mario Chiesa e un mese prima delle elezioni che assestano la prima grande spallata al vecchio sistema dei partiti. In quei giorni Alessandro Patelli, allora segretario amministrativo della Lega, riceve dal responsabile delle relazioni istituzionali del gruppo Ferruzzi-Montedison, Marcello Portesi, un pacchetto contenente 200 milioni in contanti. La consegna avviene in un luogo simbolo di «Roma ladrona»: il Bar Doney di via Veneto, strada di lusso, divertimenti e donnine allegre.
La storia di questa bustarella, che Patelli (poi passato a FI) ammette di avere ricevuto, è riassunta con dovizia di particolari nella sentenza del Tribunale di Milano. Una storia imbarazzante, perché secondo i giudici Bossi ha mentito quando ha detto di non aver mai saputo nulla di quei soldi. Infatti la Lega, come gli altri partiti, creava improbabili centri studi e associazioni culturali, in modo da poter ricevere denaro dalle imprese, mascherando da consulenze i finanziamenti illeciti. È Carlo Sama a mettere i magistrati sulla pista del Carroccio. Un giorno – racconta – Portesi gli segnala «la richiesta avanzata da Patelli affinché Montedison acquisti pubblicità sul network Italia Radio». «Sama – si legge nella sentenza – ha dichiarato di aver deciso insieme a Giuseppe Garofano e a Sergio Cusani di versare a Patelli, senza osservazione delle regole sul finanziamento dei partiti, 200 milioni.» La decisione viene presa dopo due incontri con Bossi, durante i quali, rispettando il gioco delle parti, non si parla esplicitamente di «contribuzioni elettorali». A organizzare i rendez-vous è Portesi, il quale
ha dichiarato di aver avuto occasione di conoscere l’onorevole Bossi nel 1991 (…) e di aver ricevuto la richiesta che Montedison s’impegnasse per un aiuto economico alla Lega, che poteva essere erogato nella forma della pubblicità di prodotti delle società del gruppo su emittenti radiotelevisive collegate alla Lega.
Bossi dice a Portesi che l’uomo con cui trattare l’affare è Patelli. Infatti Portesi ricorda
di essere stato più volte contattato, nel 1991, da Patelli che aveva proposto varie formule per giustificare il finanziamento, attraverso la pubblicità (…), e attraverso l’affidamento d’incarichi di studi a un nuovo centro studi sulla cooperazione che la Lega stava realizzando.
Nel febbraio del ’92 Patelli, Bossi, Portesi e Sama s’incontrano. Secondo Portesi, nella riunione si discute di «massimi sistemi», ma il meeting costituisce «in concreto l’occasione dell’accreditamento da parte di Bossi della persona di Patelli nei confronti di Montedison ». Cusani consegna a Portesi 200 milioni prelevati dalle riserve non contabilizzate del gruppo. Il manager Montedison telefona a Patelli e gli consegna il denaro. In Tribunale – ricordano i giudici – Portesi «ha precisato che Patelli, informato che Montedison, per evitare di essere etichettata politicamente, non era disponibile alle forme di finanziamento da lui precedentemente proposte», di fronte ai soldi non ha battuto ciglio. I rapporti fra gruppo Montedison e Lega Nord diventano eccellenti. Tanto che, dopo qualche mese, Bossi incontra di nuovo Sama per lamentarsi di come «Il Messaggero », in quel momento di proprietà del gruppo Ferruzzi, tratta il suo movimento. Anche Patelli conferma questa ricostruzione, come si legge nella sentenza:
Patelli ha dichiarato che verso la fine del 1991 aveva trovato sulla scrivania un appunto di Bossi che lo invitava a prendere contatto con Portesi – col quale Bossi aveva già avuto un incontro – al fine di proporgli l’acquisto di servizi che la Lega era in grado di erogare, attraverso strutture organizzative ancora in fase di avviamento.
Insomma, le soluzioni proposte da Bossi e Patelli erano solo una trovata per mascherare con fatture i finanziamenti fuorilegge. A dare il colpo di grazia a Bossi sono poi le deposizioni di due ex leghisti, come Gianfranco Miglio e Piergianni Prosperini, che testimoniano come fosse il Senatùr, nella Lega, che teneva i cordoni della borsa. Di qui la condanna non solo per Patelli, ma anche per lui.
Ma i guai di Bossi con la giustizia non finiscono con la mazzetta Enimont. Il 16 dicembre 1999 la Cassazione l’ha condannato a 1 anno per istigazione a delinquere, per aver incitato i suoi, in due comizi a Bergamo nel 1995, a «individuare i fascisti casa per casa per cacciarli dal Nord anche con la violenza». Tremaglia, suo futuro collega ministro, l’aveva denunciato. Altra condanna definitiva nel 2007 a 1 anno e 4 mesi (poi commutati in 3.000 euro di multa, interamente coperti da indulto) per vilipendio alla bandiera italiana, per aver dichiarato nel 1997: «Quando vedo il tricolore mi incazzo. Il tricolore lo uso per pulirmi il culo». Niente sospensione condizionale della pena, che però è coperta da indulto (che cancella anche quelle pecunarie fino a 10mila euro): insomma, Bossi non pagherà nemmeno un euro. Inoltre ha un altro processo in corso per lo stesso reato, per aver detto, sempre nel 1997, durante un comizio: «Il tricolore lo metta al cesso, signora… Ho ordinato un camion di carta igienica tricolore personalmente, visto che è un magistrato che dice che non posso avere la carta igienica tricolore».
Nel 2002 la Camera ha negato ai giudici l’autorizzazione a procedere, ritenendo le espressioni rientranti nella libera attività parlamentare e dunque coperte da insindacabilità; ma nel 2006 la Consulta ha annullato la delibera di Montecitorio, disponendo che Bossi sia processato come un comune cittadino.
Il Senatùr è invece uscito indenne dal lungo processo per resistenza a pubblico ufficiale, in seguito agli scontri con la polizia che perquisiva, il 18 settembre ’96, la sede leghista di via Bellerio a Milano: condannato a 7 mesi in primo grado e a 4 in appello, Bossi s’è visto annullare con rinvio la seconda condanna dalla Cassazione, che ha disposto un nuovo processo d’appello. E qui, nel 2007, è stato assolto. Ancora aperto, invece, il processo di Verona per le camicie verdi della cosiddetta Guardia nazionale padana costituita nel 1996: Bossi, con altri quarantaquattro dirigenti leghisti, deve rispondere in udienza preliminare di attentato alla Costituzione e all’unità dello Stato, nonché di aver costituito una struttura paramilitare fuorilegge. Ma, almeno in questo caso, rischia poco o nulla: allo scadere dell’ultima legislatura, la maggioranza di centrodestra ha riformato i primi due reati (punibili ora solo in presenza di atti violenti), in modo da assicurarne la decadenza al processo di Verona. L’ennesima legge ad personam. Una volta tanto non per il Cavaliere, ma per il Senatùr. Il procuratore di Verona Guido Papalia, però, tiene duro sull’accusa residua di associazione paramilitare.
Allora, nel 2007 la Camera regala l’insindacabilità ai deputati imputati, tra i quali Bossi, Calderoli e Maroni, quasi che la Guardia Padana fosse un’«opinione». A quel punto Papalia ricorre nuovamente alla Consulta con un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, come ha già fatto contro un analogo provvedimento impunitario adottato dal Senato per salvare Gnutti e Speroni.
Frase celebre «Un governo Marini? È meglio stare lontano dai morti, i cadaveri portano a fondo» (Ansa, 3 settembre 2007 ).
«A Roma pensano: al Nord sono un po’ pirla. Parlano ma poi pagano, quindi non diamogli niente. E finora gli è andata bene.
Noi padani pagavamo e non abbiamo mai tirato fuori il fucile, ma c’è sempre una prima volta» (Ansa, 26 settembre 2007 ).
«Lombardi e veneti sono pronti: la libertà va conquistata, anche con il fucile» («la Repubblica», 26 settembre 2007 ).
«La libertà non si può più conquistare in Parlamento, ma con uomini lanciati in una lotta di liberazione. Senza la devoluzione, da qui possono partire ordini di attacco dal Nord. Io sono certo di avere dieci milioni di lombardi e veneti pronti a lottare per la libertà » (al «parlamento padano», presente Silvio Berlusconi, Ansa, 29 settembre 2007).
MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.