Bria: “Non c’è Green New Deal senza democrazia digitale”

Giacomo Russo Spena

“L’emergenza climatica può essere risolta solo con un ambizioso patto sociale verde e digitale, con forti investimenti pubblici per riprendere il controllo democratico di dati e infrastrutture digitali”. Parla Francesca Bria, grande esperta di Rete e tra gli organizzatori di Decode, un evento dedicato ai temi dell’innovazione tecnologica che si terrà a Torino dal 5 al 6 novembre.

intervista a Francesca Bria

“Proponiamo una visione per la società digitale che sia rispettosa dei valori democratici e che favorisca una reale partecipazione dei cittadini. E questa sfida per la sovranità digitale vogliamo metterla al servizio della transizione ecologica e di un ambizioso Green New Deal”. La 39enne Francesca Bria è una delle massime esperte di Rete. Il suo curriculum parla per lei: docente all’Imperial College di Londra, ex assessora nella Barcellona di Ada Colau, consulente della Commissione Europea per lo sviluppo di internet, autrice di un libro sulle smart city, attualmente lavora per le Nazioni Unite e collabora con la nota economista Mariana Mazzucato. Domani e mercoledì (5/6 novembre) sarà a Torino in quanto organizzatrice dell’evento finale di DECODE, un progetto a cui hanno partecipato i più prestigiosi cervelli europei in materia di privacy e sicurezza dei dati. Il tema scelto per il DECODE Symposium – organizzato tra gli altri in collaborazione con la Commissione europea, Nesta Italia, la città di Torino e il Centro Nexa per Internet e Society – sarà proprio I nostri dati, il nostro futuro: tecnologia radicale per una società digitale democratica.

Francesca Bria, quali sono gli obiettivi prefissati per questo evento finale di Torino?

Nei vari panel ci concentreremo sulla costruzione di alternative democratiche ai grandi padroni del digitale (le Big Tech), discutendo di come regolare i nuovi monopoli dei dati e far crescere alternative tecnologiche a interesse pubblico, made in Europe che sviluppano tecnologie open source che tutelano i diritti fondamentali. Negli ultimi tre anni si è sviluppata, ad esempio, con successo un’infrastruttura di dati decentralizzata implementata sia a Barcellona che ad Amsterdam, basata sulla tecnologia blockchain e su avanzati protocolli crittografici per consentire ai cittadini di controllare i propri dati e condividerli a condizioni eque, etiche e trasparenti, con l’obiettivo di usare i dati collettivi per creare valore pubblico e migliorare i servizi per i cittadini.

Innovazione digitale e ambiente sono questi due i temi del futuro per rilanciare in Europa una politica progressista e di “svolta”?

Si tratta di proporre un nuovo e rinvigorito progetto politico che possa indirizzare questa rivoluzione industriale (big data, AI, algoritmi) alla soluzione dei reali problemi ambientali ed economici che abbiamo di fronte: dalla transizione ecologica alla modernizzazione delle infrastrutture fino alla rivitalizzazione della partecipazione. Bisogna usare le tecnologie digitali per ottenere una sostenibilità sia sociale che ambientale. Per fare questo durante il simposio di DECODE discuteremo di come mettere in marcia un Digital Green New Deal, ovvero un patto sociale verde ma anche digitale, che includa un programma politico, economico e tecnologico con forti investimenti pubblici per riprendere il controllo democratico di dati e infrastrutture digitali e metterle al servizio dei cittadini. Il problema del cambiamento climatico può solo essere risolto cosi: con una politica ambiziosa che implica un cambio di paradigma economico, politico e tecnologico. A mio avviso questa trasformazione può solo avvenire dal basso, partendo dalle città e mobilitando le forze sociali come i movimenti, sindacati, partiti progressisti etc. A discutere di questo al simposio ci saranno speakers del calibro di Roberto Mangabeira Unger, professore della Harvard University; Robert Hockett, il principale advisor di Alexandra-Ocasio Cortez sul Green New Deal; Ann Pettifor, filosofa ed autrice di The case for the Green New Deal e l’artista Brian Eno che partecipa alle azioni di Extinction rebellion.

Si è ormai esaurita la fase di esaltazione acritica della Rete come spazio di pluralismo e partecipazione perché internet, col tempo, ha mostrato un altro volto più oscuro. La Rete sta cambiando la sfera pubblica e il concetto stesso di democrazia?

La grande maggioranza delle piattaforme digitali che dominano il mercato (motori di ricerca, social network, e-commerce, 5G etc) sono le GAFA americane – cioè Google, Facebook, Amazon e Apple – e i nuovi colossi cinesi come Alibaba, Tencent e Baidu. Complessivamente queste imprese possiedono un valore di mercato tra i 3 e 5 trilioni di dollari e investono oltre 15 miliardi all’anno in ricerca e sviluppo, rappresentando oggi le imprese più ricche e potenti dell’economia globale e superando gli Stati in capacità di investimento ed influenza sui consumatori e cittadini. Dato che nessuna delle grosse aziende del digitale è europea, l’Europa rischia di perdere la propria competitività nelle industrie chiave del futuro e diventare una specie di colonia digitale. Questa situazione mette a dura prova il ruolo dei nostri governi che fanno fatica a regolare, tassare e controllare questi nuovi poteri. In più il modello di business di queste piattaforme è il “capitalismo della sorveglianza” come lo definisce Shoshana Zuboff, ovvero si basa sulla monetizzazione e manipolazione di una vasta mole di informazioni e dati personali che poi sono utilizzati per profilare i cittadini e creare servizi e algoritmi predittivi sempre più personalizzati e vendere pubblicità. Questo modello economico è alla base dei grossi problemi rispetto alle fake news e messaggi estremisti che girano in maniera virale sulla rete o alla vendita di dati personali per manipolare opinioni e voti durante le elezioni politiche. Questi problemi possono solo aumentare in futuro. Stiamo usando piattaforme commerciali nate per vendere pubblicità, prodotti e dati e che hanno incentivi volti a moltiplicare i profitti aziendali, per organizzare processi fondamentali alla base della nostra società come la partecipazione democratica, le campagne elettorali e i servizi di welfare.

Nell’era del dominio delle piattaforme digitali e degli Zuckerberg di turno, come si costruisce la sovranità tecnologica? Ed è possibile, secondo lei, arrivare ad un controllo democratico dei dati?

L’Europa per recuperare la propria sovranità tecnologica e un controllo democratico su piattaforme, dati e intelligenza artificiale, può intervenire solo con un grande sforzo pubblico e con investimenti coordinati. La geopolitica qui ha un forte peso. Ormai si tratta di una battaglia dell’Europa vs Cina e Stati Uniti. Bisogna tracciare un programma politico ma anche avere la capacità per lanciare sperimentazioni tecniche che ci permettano di riconquistare la sovranità digitale dei cittadini, partendo appunto dal controllo democratico sulle infrastrutture di dati e intelligenza artificiale che sono la vera materia grezza dell’economia del futuro. I dati sono una vera e propria infrastruttura urbana: come l’elettricità, l’acqua, le strade e quindi possono essere gestiti come un bene comune.

Insieme a Morozov, ha scritto un libro che ribalta il concetto di smart city nel quale teorizza
che la tecnologia debba essere al servizio della cittadinanza. Al di là delle belle parole, ciò come avviene? Che significa, in pratica, "mettere il cittadino al centro dell’agenda tecnologica”?

Significa che la digitalizzazione non può partire dalla mera tecnologia (sensori, big data connettività), ma deve partire dai problemi reali delle persone: il diritto alla casa, una mobilità sostenibile ed efficiente, la lotta al cambiamento climatico, più diritti per i lavoratori precari della gig economy e la rivitalizzazione delle forme di partecipazione democratica. Solo dopo bisogna chiederci come la tecnologia, se governata in maniera democratica, può aiutarci a raggiungere questi obiettivi. Una parte fondamentale del lavoro avviene partendo proprio dalle municipalità che possono riformare la politica pubblica per iniziare a dare delle risposte concrete su questi temi, seguendo appunto il “modello Barcellona”, che ha creato una città digitale ed efficiente, ma anche democratica e inclusiva.

Tornando al festival DECODE, un altro dialogo interessante è sulla tecnologia finanziaria: veramente la privatizzazione delle monete digitali rappresenta una sfida alla sovranità monetaria dei governi?

Sì, credo sia una minaccia alla sovranità delle banche centrali verso un monopolio dei pagamenti globali privati. In atto c’è una battaglia per la supremazia su chi controllerà il network e le infrastrutture di pagamento digitali, che è chiaramente legato al ruolo del dollaro e alla sua centralità nell’economia globale. Il rischio potrebbe essere quello di avere un sistema bancario ancora più instabile e sregolato. L’efficacia della politica fiscale risentirebbe della riduzione della base imponibile, con il trasferimento dei pagamenti a un sistema di pagamenti globale gestito da Facebook. Inoltre la Libra Association – tra cui ci sono Visa, Mastercard, PayPal, Stripe, Uber ed eBay – è estremamente frammentata e senza una governance trasparente. In Cina oggi molte poche transazioni avvengono con il denaro contante, è tutto automatizzato e i pagamenti avvengono attraverso applicazioni digitali come WeChat o Alipay che tracciano le transazioni finanziarie, collegandole all’identità dei cittadini (a volte anche con tecnologie di riconoscimento facciale) e che poi creano un sistema di credito sociale controllato dal governo cinese che permette di classificare i comportamenti dei cittadini in base alla reputazione. È proprio per questo che Zuckerberg vuole accelerare la moneta digitale di Facebook, per poter competere con i sistemi cinesi che a questo punto avanzano più velocemente. Questa situazione ha bisogno di un robusto dibattito democratico, per capire come utilizzare le monete e i sistemi di pagamento digitali come un bene pubblico.

Qualche mese fa era ad Ivrea, invitata dalla Casaleggio Associati, in quanto assessore di Barcellona e massima esperta di smart city. Qual è il suo rapporto con il M5S?

Fa parte del mio lavoro confrontarmi con i movimenti politici e rappresentanti istituzionali per discutere di proposte politiche e soluzioni concrete da sperimentare. Ci sono temi come la democrazia digitale, la transizione energetica e il reddito di cittadinanza su cui lavoro da anni e che sono estremamente strategici per tracciare un programma futuro per l’Italia.

Al festival ci saranno anche esponenti del governo come la grillina Paola Pisano, ministra per l’Innovazione tecnologica e la Digitalizzazione. Cosa chiedete alla politica italiana?

Una delle missioni di DECODE è creare consapevolezza nella politica rispetto alla necessità che l’Europa riesca a riconquistare la propria sovranità digitale, che oggi è anche economica e politica. Questo non vuol dire solo migliori regolazioni, come la GDPR e le leggi per la concorrenza e contro i monopoli o la webtax, ma significa soprattutto forti investimenti nelle nuove infrastrutture critiche tecnologiche (dati, intelligenza artificiale, supercalcolatori etc) sviluppate con standard etici e democratici “made in Europe”, in linea con i nostri principi, valori e diritti fondamentali.
(4 novembre 2019)





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