Budapest chiuderà i campi di detenzione dei richiedenti asilo
Massimo Congiu
L’annuncio delle autorità ungheresi sulla chiusura dei campi migranti nelle zone di transito, è giunto una settimana dopo il pronunciamento della Corte di giustizia europea sul caso Ungheria. Esso imponeva la liberazione immediata dei richiedenti asilo trattenuti senza alcuna ragione o in modo illegale nella zona di transito di Röszke, al confine con la Serbia. Il fermo cui erano sottoposti i profughi, rinchiusi in container presenti nei campi alla frontiera col paese balcanico, è stato ritenuto dalla corte di Lussemburgo illegale e incompatibile col diritto europeo. Respinta una prima volta, la sentenza è stata definita “malaugurata” dal vicepremier di Budapest Gergely Gulyás il quale depreca l’obbligo di eliminare la zona di transito che, fa notare, “proteggeva i confini nazionali” e ribadisce il diritto degli ungheresi di decidere con chi convivere.
La legge sulla detenzione preventiva dei richiedenti asilo era entrata in vigore nel marzo del 2017 e disponeva che non solo i richiedenti asilo ma anche i migranti trovati in un punto qualsiasi del territorio ungherese dovessero essere “ospitati” in campi dotati di container capaci di alloggiare dalle 200 alle 300 persone, secondo fonti locali. Va notato che tale pratica era già in uso in Ungheria fino al 2013, anno in cui è stata abbandonata su pressioni dell’Unione europea e dell’ONU. Il suo ripristino ha avuto luogo con l’aumento dei flussi migratori verso l’Europa. “Sappiamo che questa misura è contro gli accordi internazionali già accettati dall’Ungheria” aveva affermato il primo ministro Viktor Orbán tre anni fa, precisando la decisione del governo di reintrodurla ad ogni costo.
Di fatto, secondo il Comitato Helsinki, Organizzazione Non Governativa molto attiva in questo ambito, i detenuti della zona chiusa, 280 persone fra cui molti bambini, erano stati trasferiti in centri di accoglienza aperti, situati sul territorio ungherese, prima ancora dell’annuncio del vicepremier. Il Comitato Helsinki è l’ONG che si è appellata alla Corte europea perché quest’ultima pronunciasse sul tema della detenzione dei richiedenti asilo nei container. Pratica, quest’ultima, definita “inumana” dalle organizzazioni operanti sul fronte dei diritti umani. Le medesime riferiscono che i richiedenti asilo venivano trattenuti in spazi delimitati dal filo spinato e sorvegliati strettamente da guardie armate e che le richieste di asilo venivano generalmente respinte.
Le autorità ungheresi hanno quindi dovuto accettare la decisione della Corte europea ma i toni sono rimasti conflittuali, tanto che Budapest ha ribadito la sua indisponibilità ad accordare facili permessi di asilo anche in futuro.
È dal 2015 che il governo ungherese porta avanti una politica anti-immigrazione con relativa, martellante propaganda interna sui pericoli rappresentati dai flussi incontrollati di migranti musulmani. Flussi che, secondo il premier, mettono a repentaglio la sicurezza dell’Europa e minacciano la sopravvivenza della sua identità culturale che, per l’uomo forte d’Ungheria, è inequivocabilmente cristiana. In più occasioni Orbán ha ribadito il suo punto di vista sul fenomeno dell’immigrazione che ritiene negativo dai punti di vista sociale, economico, culturale e della sicurezza pubblica in quanto potenziale veicolo di terrorismo internazionale. Per lui l’atto del migrare non fa parte dei diritti fondamentali dell’uomo. Affermazione che contrasta col fatto che, secondo l’OCSE, in una decina d’anni, dal 2008, circa un milione di ungheresi si è stabilito all’estero per cercare migliori condizioni di vita e di lavoro, contribuendo a un evidente calo demografico.
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Dal 2015 Orbán veste i panni del leader che si pone il problema della difesa delle frontiere ungheresi e del resto d’Europa, incoraggiando misure severe contro l’immigrazione di massa verso il Vecchio Continente. Ora è probabile che il rispetto da parte del governo danubiano di quanto disposto dalla Corte europea, sia dovuto al timore di perdere i fondi europei che finora hanno concorso in modo determinate alla realizzazione degli investimenti interni. Budapest, però, continua a fare la voce grossa e ad affermare che i migranti non potranno entrare nel paese neanche in futuro e che i confini vanno preservati. Le autorità del paese precisano che, in avvenire, le richieste di asilo potranno essere presentate solo nelle rappresentanze ungheresi all’estero. Da questi proclami non sembra quindi che il governo guidato da Viktor Orbán sia disposto a rivedere la sua politica in ambito migranti come invece auspica il Comitato Helsinki secondo il quale non basterà chiudere i campi per i richiedenti asilo. A fronte di questa speranza il messaggio dell’esecutivo è sempre “l’Ungheria agli ungheresi”. Quelli veri, si potrebbe aggiungere, interpretando la retorica orbaniana.
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