“Buoni scuola? No grazie!”

Marina Boscaino

Se siete interessati ad avere un’idea chiara di come, durante la monarchia di Formigoni in Lombardia, siano stati violati i principi di laicità e libertà di insegnamento, nonché l’unitarietà del sistema scolastico nazionale, date un’occhiata ad un interessantissimo numero di Vivalascuola dedicato ad alcune riflessioni sul “modello Lombardia”: una deroga intenzionale ed autolegittimata della Riforma del Titolo V della Costituzione in salsa tenacemente ciellina, sulla base di interpretazioni piuttosto discutibili.

Tra le varie forme di devoluzione che la scuola si è auto-affidata in quella Regione c’è stata quella determinata da una norma regionale (legge 2, 3 aprile 2012) che prevedeva la “chiamata diretta” degli insegnanti supplenti da parte del dirigente scolastico, sulla base del progetto ideologico del singolo istituto. Non più – dunque – criteri generali di reclutamento, a tutela delle differenze e delle diversità; ma la necessità di omologazione al pensiero unico o dominante; non più la garanzia rappresentata dalle graduatorie, dalla valutazione uguale per tutti di titoli e servizi con valore predeterminato; ma la discrezionalità ideologica di un portatore attivo di quel pensiero unico o dominante.

In un unico provvedimento sono stati violati alcuni principi fondativi del nostro ordinamento giuridico: soprattutto, essa configura una deriva secessionista. Con una sentenza depositata il 24 aprile la Corte Costituzionale ha accolto il ricorso della Presidenza del Consiglio, intentato sulla spinta delle proteste vibrate che un anno fa accompagnarono l’emanazione della legge, diffidando Profumo dallo stipulare con la Regione Lombardia qualsiasi intesa attuativa di quella norma. La Consulta conferma allo Stato la gestione del reclutamento dei docenti, dichiarando incostituzionali comportamenti che non contemperino tale principio.

Si chiama “Dote per la libertà di scelta” il buono scuola destinato, ancora in Lombardia, esclusivamente agli studenti della scuola privata. Quel sussidio, introdotto da Formigoni nel 2000, che assorbe la gran parte delle risorse regionali destinate alla scuola, erogato direttamente alle famiglie e non agli istituti scolastici, configura una scelta di campo tra priorità dei principi di uguaglianza, laicità della scuola statale, libertà di insegnamento, unitarietà del sistema scolastico nazionale e esigibilità non solo di una legittimamente garantita libertà di scelta, ma di un illegittimo sostegno economico a coloro che – pur avendo accesso alla scuola dello Stato – si rivolgono a quegli enti e privati che possono organizzare scuole, ma “senza oneri per lo Stato”. Salta, con un simile approccio, il principio che – individuato lo Stato come garante di pari opportunità per tutti, nella scuola di e per tutti (inclusiva, laica e pluralista) – sia proprio l’unitarietà e l’omogeneità della scuola statale a concretizzare quanto previsto dall’art. 3 della Costituzione.

Contro il buono scuola l’associazione Nonunodimeno ha organizzato una petizione cui aderiscono vari coordinamenti e associazioni, come Per la scuola della Costituzione. Fino ad oggi sono state raccolte più di 4mila firme: non poche per soggetti privi di finanziamento, che hanno come unico obiettivo la vigilanza intransigente sulla coerenza con il dettato costituzionale.

Al buono-scuola la Lombardia oggi riserva l’80% dei 51 milioni che la Regione eroga: una elargizione alle scuole private in forma di finanziamento pubblico indiretto. Fondi pubblici sottratti a funzioni imprescindibili, come l’integrazione degli alunni migranti, il sostegno del diritto allo studio, il contrasto alla dispersione scolastica, l’inclusione dei disabili. E invece assegnati direttamente a chi – presumibilmente dotato di potere d’acquisto – ritiene che la scuola di tutti e per tutti, la scuola di ogni grado che la Repubblica è tenuta a istituire, non sia uno strumento adeguato per educare i propri figli. Di chi predilige un’educazione confessionale. Di chi ritiene tutele irrinunciabili selezione ed omologazione sociale. Di chi, infine, non crede che la scuola debba essere “aperta a tutti”.

Contrastare sperpero ed iniquità che si configurano attraverso una simile scelta avallata e incoraggiata dalla Regione non è difficile. I minuti spesi per firmare la petizione potrebbero significare un arretramento della logica privatistica, arrembante ed arbitraria che sta cancellando il capolavoro di principi fondativi configurati negli articoli che la Costituzione ha riservato alla scuola della Repubblica.

PER FIRMARE L’APPELLO

(5 maggio 2013)



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