Il caso di Bibbiano e la guerra sporca contro la comunità Lgbt
Simone Alliva
Dalle elezioni del 4 marzo 2018 i casi di aggressioni, minacce, bullismo sono diventati sempre più frequenti, nell’indifferenza generale. Come se il vaso di Pandora fosse stato scoperchiato. Il giornalista Simone Alliva ha condotto la prima inchiesta che indaga la violenza omotransfobica in Italia. Su MicroMega un estratto del libro "Caccia all’Omo. Viaggio nel paese dell’omofobia" (Fandango Libri).
Quello che si consuma sulla pelle degli attivisti Lgbt offre la misura esatta, millimetrica del tempo che viviamo. Tra tutte le vicende che ho attraversato nell’ultimo anno c’è una che illumina particolarmente la scena, per quanto possa essere allo stesso modo silenziosa e buia. Raccontata in parte. Ma che pure si consuma tra le piaghe della più strumentale notizia di cronaca degli ultimi anni: lo scandalo degli affidi di Bibbiano. Facciamo un passo indietro.
In un piccolo centro di provincia dell’Emilia-Romagna nel mese di giugno 2019 le forze dell’ordine danno vita a un’inchiesta dal titolo “Angeli e demoni”. Alcuni bambini sarebbero stati manipolati e sottratti alle famiglie di origine per darli in affido ad altre. L’inchiesta svela un sistema in cui i bambini erano indotti a raccontare violenze subite dai familiari. Il motivo è chiaro: soldi. Ogni famiglia riceveva tra i 600 e 1200 euro al mese; mentre gli psicologi che supportavano i bambini avrebbero preso circa 135 euro a seduta. Questi i fatti. Questa la scena.
Ma come sempre la scena non conta, non interessa. Quello che non si vede affascina, seduce e aumenta il consenso: l’elettroshock somministrato ai bambini per fare il “lavaggio del cervello” (notizia che non ha mai trovato riscontro). L’arresto del sindaco Andrea Carletti del Partito Democratico. Carletti viene arrestato “in merito alla presunta violazione delle normative degli appalti. Non ha accuse in concorso con le violenze ai bambini”.
Non importa, conta solo quello che non c’è: Luigi Di Maio pubblica un post su Facebook che non lascia dubbi: “ARRESTATO”, scrive a caratteri cubitali per il “business orribile sui minori”. Il Partito Democratico viene ribattezzato “Partito di Bibbiano”. L’hashtag che si diffonde è definitivo: #PDofili. E ancora vignette, insulti e anche tentate aggressioni come l’irruzione da parte di due militanti di Forza Nuova nella sede nazionale del PD a Roma. Alle accuse su Moscopoli che travolgono la Lega di Matteo Salvini, i leghisti rispondono: “Parliamo di Bibbiano”.
La difesa somiglia a quei giochini che fanno i bambini in età prescolare: pari e patta, specchio specchio, quei giochi lì. Poi, nella fiaba nera di Bibbiano, entra in scena un altro antagonista: il gender. “Il mostro arcobaleno vuole i vostri figli in pasto”, scrivono i militanti di Forza Nuova mentre ritraggono una signora intenta a mangiare un bambino (ricorda qualcosa?). Perché? Semplice: tra gli affidi manipolati c’è anche il caso di una bambina assegnata a una coppia di due donne, anche loro indagate per maltrattamenti.
Il caso viene gonfiato dai soliti noti: le associazioni omofobe come Pro-Vita, il giornale diretto da Belpietro, per fare qualche esempio. A Ferrara Fratelli d’Italia presenta un’interpellanza per chiedere al comune di entrare nella privacy dei genitori affidatari ferraresi e di quantificarli in base all’orientamento sessuale. Cioè schedare le famiglie arcobaleno. Un altro passo verso il triangolo rosa sul cappotto per gli omosessuali. La cronaca di Bibbiano alimenta quel vento misterioso che gonfia il discorso d’odio, prende a pugni la pancia di un pezzo non minoritario della popolazione e poi incendia i tessuti sociali.
È un tema di prossimità. Il vicino di casa legge dell’ex psicologa lesbica che “strappava i figli ai genitori per darli in pasto al gender” e reagisce in un unico modo: prendendo di mira chi trova assimilabile alla notizia, a prescindere dalla responsabilità personale.
L’Italia, come sempre avviene quando si tratta di questioni delicate, con il caso Bibbiano decide di sedersi comodamente su una bomba mentre la morbosità e lo squilibrio tra informazione e disinformazione portano la conflittualità su un altro livello. Se anziché urlare nel mucchio ci fossimo occupati di capire, avremmo evitato tutto questo. Basta fare domande semplici, quelle che fanno i bambini. Tipo: se la psicologa lesbica fosse stata eterosessuale e avesse dato la bambina in affido a una coppia etero, l’abuso d’ufficio sarebbe meno grave? Ribaltare quel dettaglio su un altro piano ridimensiona la colpevolezza? Il fatto che la madre affidataria sia l’ex compagna dell’assistente sociale incide sul piano penale? Aggiungere particolari voyeuristici non cambia il rilievo penale della vicenda e neanche la responsabilità individuale.
Eppure qualcuno ha inventato “il movente ideologico Lgbt dietro il complesso sistema degli affidi” – le parole sono di Federico Soffritti, capogruppo di Fratelli d’Italia al comune di Ferrara ed ex attivista del M5s. Un movente che oscura l’intera vicenda solo perché una delle sette coppie è una coppia lesbica. Un dettaglio che diventa così la storia, la fiaba nera mentre il resto è contorno. Siamo tutti dentro, attori e spettatori, vittime di un sortilegio che ci intrattiene e ci avvelena, incapaci di fare silenzio e in attesa del primo tragico finale.
“Cosa state coprendo a Bibbiano? Ti taglio la gola.”
Il primo a subire gli effetti di questa storia surreale, sconclusionata, volgare, è un attivista Lgbt. Non uno qualsiasi. Vincenzo Branà, classe ’77, presidente del Cassero di Bologna negli anni più intensi per la comunità Lgbt dell’ultimo decennio: quelli della legge contro l’omotransfobia naufragata in Parlamento, quelli delle unioni civili e della legge regionale approvata in Emilia-Romagna. Vive a Bologna, fa il giornalista, appassionato di cultura, teatro, libri. La pelle scritta da tatuaggi sotto le camicie da professore universitario. Sono le undici di sera quando il telefono squilla e dall’altro capo una persona chiede con un tono freddo e il buio nella voce: “Dimmi dove sei che ti taglio la gola”. Una frase così. Non si scompone Vincenzo, o almeno tenta di celarlo: “Chi sei?”. La voce continua: “Cosa state coprendo a Reggio Emilia, brutte merde? Togliete i figli per darli ai gay. Dimmi dove sei frocio bastardo che vengo a tagliarti la gola. Ti ammazzo frocio di merda”. E avanti così per due minuti esatti, come racconta lui stesso: “Centoventi secondi di odio urlato, con la bava alla bocca”.
“È la prima volta che il mio cellulare personale squilla e ricevo delle minacce. Prima ricevevo lettere anonime al circolo legate a fatti specifici. Ma questa persona mi ha cercato, sapeva chi ero e al mio ‘guardi che sono un giornalista’ ha fornito elementi che facevano ben capire che sapeva bene di me e delle mie attività.” Non è un numero anonimo. Branà lo registra, capisce dalla foto profilo su whatsapp che questa persona era chiaramente connotata ideologicamente: il profilo di Benito Mussolini. Prova che le campagne ideologiche creano effetti domino e chi non riesce a fare filtro viene travolto.
“Ci sono degli elementi di contorno che vanno messi in conto”, mi racconta con la lucidità di chi su questo episodio ha passato notti intere a sc
omporre, ricomporre, rileggere ogni singolo momento. “Pochi mesi prima c’era stato il Congresso della Famiglia di Verona, in una situazione di governo che vedeva i ministri partecipare a quell’evento insieme a parlamentari che depositavano Ddl in difesa della famiglia. Pensiamo al Ddl Pillon, la proposta di legge avanzata dal leghista della Lega Simone Pillon che secondo i centri antiviolenza, qualora venisse approvata, metterebbe in serio pericolo donne e minori che si trovano in situazioni di abuso, e renderebbe più difficile e onerosa la separazione, anche in casi di violenza domestica. Queste sono cose che in comune hanno la sacralizzazione della famiglia tradizionale e come contrappeso il totale depotenziamento del tema della violenza domestica.”
C’è infatti un filo nero che lega il Ddl Pillon alla vicenda di Bibbiano, fa il nodo su una frase: la famiglia non si tocca e di conseguenza, questo, ridimensiona la questione della violenza domestica che potrebbe essere risolta con l’intervento dei servizi sociali. Un altro elemento di minaccia è la presenza delle famiglie dello stesso sesso: la prima narrazione su Bibbiano è “guarda questi gay che tolgono i bambini alle famiglie tradizionali”. La famiglia omogenitoriale nella vicenda di Bibbiano è una sola mentre l’affido a coppie dello stesso sesso è un istituto che esiste da sempre perché l’affido è un istituto indirizzato anche ai single.
Però la vicenda di Bibbiano costruisce una sorta di stupore rispetto alla vicenda della genitorialità, cioè fa sembrare che gli enti, nel prendere in affido un bambino, abbiano fatto quello che la legge non consente loro di fare: dare dei bambini a due madri. Tuttavia questa possibilità è consentita per legge, dimostrata da innumerevoli casi. “La persona che mi minaccia”, riflette Branà, “potrebbe essere una persona coinvolta direttamente.
Del resto si tratta di una persona che minaccia di uccidermi perché siamo stati noi a guastare le loro famiglie.” Sui fatti di Bibbiano è stata istituita una commissione d’inchiesta che ha affermato una verità nascosta: il padre può benissimo andare dai giornalisti, denunciare il fatto che gli abbiano tolto il figlio. I magistrati non potranno intervenire in quel dibattito spiegando cosa ha fatto il padre a quel figlio ma questo non vuol dire che non lo sappiano. Insomma la vicenda di Bibbiano soffre anche di una profonda asimmetria comunicativa, quello che il padre può denunciare rispetto alla propria vicenda, non può denunciarlo il magistrato come stato di tutela del minore.
Ascoltando Branà penso: bisogna averci pensato molto per raccontare così, con capacità critica e distacco un episodio che riguarda la propria vita. Se lo sentiva? “Era nell’aria. La mia prima reazione fu di non rendere pubblica quella minaccia. La ritenevo l’esito misero di un dibattito che speravo si sarebbe consumato nell’arco di pochi giorni. In realtà è stato cavalcato dalle destre in maniera fortissima e dopo quell’episodio molte persone, attivisti e politici, sono diventate bersaglio, la situazione è così degenerata che ho deciso di rendere tutto pubblico, cercando di costituire un deterrente.”
Il disegno che emerge è quello di un’azione studiata, mirata. “Come se facesse parte di una strategia complessiva. Il punto vero non era che avevano minacciato me ma che cercavano in questo modo di creare un vuoto intorno ai temi Lgbt nel paese. E c’è ancora una strategia molto chiara evidentemente.” Succede, confessa. Succede che nell’ultimo anno gli attivisti vengano presi sempre più direttamente di mira. Come se le persone Lgbt fossero nemici del popolo.
“Non si tratta più di essere contrari al matrimonio per esempio, ma è l’individuazione della persona come bersaglio anche con intento diffamatorio. Il bersaglio non è più l’istanza che porti ma la persona, indebolire te per indebolire la causa.”
“Questo intimorisce molto. Quando come attivista di prima linea ti rendi conto che tutto il personale è a disposizione per colpirti e danneggiarti, puoi dire: ‘Allora sto in seconda linea’. C’è una privazione di libertà. Il Cassero non è nuovo alle minacce e alle intimidazioni, ma la forma è cambiata e dice qualcosa: un tempo si ricevevano lettere, telefonate, si attaccavano striscioni vergognosi, oggi si cerca il numero del presidente. “La politica ha alimentato la voglia di leadership non solo dentro i partiti, anche fuori e questa personalizzazione è diventata il canale in cui si è infilata la persona malintenzionata.”
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(12 agosto 2020)
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