Cara Silvia, voglio farti conoscere la mia Somalia

Maryan Ismail

"Quale islam ha conosciuto Silvia? Quello pseudo religioso che viene utilizzato per tagliarci la testa? Quello che violenta le nostre donne e bambine? Che obbliga i giovani ad arruolarsi con i jihadisti?". Una accorata lettera aperta a Silvia Romano scritta da una donna somala, da moltissimi anni in Italia e da sempre impegnata a combattere il fondamentalismo islamico.
 
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LETTERA A SILVIA ROMANO

Ho scelto il silenzio per 24 ore prima di scrivere questo post.

Quando si parla del jihadismo islamista somalo mi si riaprono ferite profonde che da sempre cerco di rendere una cicatrice positiva. L’aver perso mio fratello in un attentato e sapere quanto è stata crudele e disumana la sua agonia durata ore in mano agli Al Shabab mi rende ancora furiosa, ma allo stesso tempo calma e decisa.

Perché? Perché noi somali ne conosciamo il modus operandi spietato e soprattutto la parte del cosidetto volto "perbene" . Gente capace di trattare, investire, fare lobbing, presentarsi e vincere qualsiasi tipo di elezione nei loro territori e ovunque nel mondo.

Insomma sappiamo di essere di fronte a avversari pericolosissimi e con mandanti ancor più pericolosi.

Ora la giovane cooperante Silvia Romano, che è bene ricordare NON ha mai scelto di lavorare in Somalia, ma si è trovata suo malgrado in una situazione terribile, è tornata a casa.

Non è un caso che per mesi ho tenuto la foto di Silvia Romano nel mio profilo fb. Sapevo a cosa stava andando incontro.

Si riesce soltanto ad immaginare lo spavento, la paura , l’impotenza, la fragilità e il terrore in cui ci si viene a trovare?

Certamente no, ma bastava leggere i racconti delle sorelle yazide, curde, afgane, somale, irachene, libiche , yemenite per capire il dolore in cui si sprofonda.

Comprendo tutto di Silvia.

Al suo posto mi sarei convertita a qualsiasi cosa pur di resistere, per non morire. Mi sarei immediatamente adeguata a qualsiasi cosa mi avessero proposto, pur di sopravvivere.

E in un nano secondo.

Attraversare la savana dal Kenya e fin quasi alle porte di Mogadiscio in quelle condizioni non è un safari da Club Mediterranee… Nossignore è un incubo infernale, che lascia disturbi post traumatici non indifferenti.

Non mi piacciono per nulla le discussioni sul suo abito ( che per cortesia non ha nulla di SOMALO, bensì è una divisa islamista che ci hanno fatto ingoiare a forza), né la felicità per la sua conversione da parte di fazioni islamiche italiane o ideologizzati di varia natura.

La sua non è una scelta di LIBERTA’, non può esserlo stata in quella situazione.

Scegliere una fede è un percorso così intimo e bello, con una sua sacralità intangibile.

E poi quale Islam ha conosciuto Silvia ?

Quello pseudo religioso che viene utilizzato per tagliarci la testa? Quello dell’attentato di Mogadiscio che ha provocato 600 morti innocenti? Quello che violenta le nostre donne e bambine? Che obbliga i giovani ad arruolarsi con i jihadisti? Quello che ha provocato a Garissa 148 morti di giovani studenti kenioti solo perché cristiani? Quello che provoca da anni esodi di un’intera generazione che preferisce morire nel deserto, nelle carceri libiche o nel Mediterraneo pur di sfuggire a quell’orrore? Quello che ha decimato politici, intellettuali, dirigenti, diplomatici e giornalisti?

No non è Islam questa cosa.

E’ NAZI FASCISMO, adorazione del MALE.

E’ puro abominio.

E’ bestemmia verso Allah e tutte le vittime.

I simboli, sopratutto quelle sul corpo delle donne hanno un grande valore. E quella tenda verde NON ci rappresenta.

Quando e se sarà possibile , se la giovane Silvia vorrà , mi piacerebbe raccontarle la cultura della mia Somalia. La nostra preziosa cultura matriarcale, fatta di colori, profumi, suoni, canti, cibo, fogge, monili e abiti.

Le nostre vesti e gioielli si chiamano guntino, dirac, shash, garbasar, gareys, Kuul, faranti, dheego,macawis, kooffi.

I nostri profumi si chiamano cuud, catar e persino barfuum (che deriva dall’italiano).

Ho l’armadio pieno delle stoffe, collane e profumi della mia mamma. Alcuni di essi sono il mio corredo nuziale che lei volle portarsi dietro durante la nostra fuga dalla Somalia.

Adoriamo i colori della terra e del cielo.

Abbiamo una lingua madre pieni di suoni dolci , di poesie, di ninne nanne, di amore verso i bimbi, le madri, i nostri uomini e i nonni.

Abbiamo anche parti terribili come l’infibulazione (che non è mai religiosa, ma tradizionale), ma le racconterei come siamo state capaci di fermare un rito disumano.

Come e perché abbiamo deciso di non toccare le nostre figlie, senza aiuti, fondi e campagne di sostegno.

Ma soprattutto le racconterei di come siamo stati, prima della devastazione che abbiamo subito, mussulmani sufi e pacifici, mostrandole il Corano di mio padre scritto in arabo e tradotto in somalo…

Di quanti Imam e Donne Sapienti ci hanno guidato.

Della fierezza e gentilezza del popolo somalo.

E infine ho trovato immorale e devastante l’esibizione dell’arrivo di Silvia data in pasto all’opinione pubblica senza alcun pudore o filtro.

In Italia nessun politico al tempo del terrorismo avrebbe agito in tal modo nei confronti degli ostaggi liberati dalle Br o da altre sigle del terrore.

Ti abbraccio fortissimo cara Silvia, il mio cuore e la mia cultura sono a tua disposizione…

Soo dhowaw, gadadheyda macaan.
* da facebook.com/maryan.ismail.524
(12 maggio 2020)

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