Carceri, a che punto è la riforma?

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Fico in visita a Catania per un protocollo coi detenuti minorenni. La Consulta entra nelle carceri. Ma dietro a una rinnovata stagione di buoni propositi, la situazione in Italia sconta ancora sovraffollamento e carenze di ogni genere. Il governo nel frattempo lavora a una riforma.

di Maria Concetta Tringali

L’istituto minorile di Bicocca si trova dentro a un complesso penitenziario più grande, fatto di casermoni grigi, poco fuori dalla città di Catania e accanto alle aule bunker realizzate negli anni dei grandi processi di mafia. Lo si intravede percorrendo in macchina la tangenziale ovest.

Il 25 febbraio scorso, quella struttura è stata teatro di una visita che Roberto Fico ha definito «una pietra miliare della mia esperienza di presidente della Camera». In quel luogo di detenzione per minorenni è stato infatti presentato un protocollo che raccoglie oltre alla firma del presidente anche quella dei ministri alla Giustizia e all’Istruzione. Il progetto si chiama ‘Percorsi di cittadinanza. La Camera incontra i Giovani”. «Oggi le istituzioni sono vicine a questi ragazzi – spiega Fico – L’investimento principale deve essere nell’istruzione, nella scuola, nella formazione, negli educatori, con gli assistenti sociali per cercare di cambiare veramente le cose». La via tracciata dovrebbe coincidere, dunque, con quella della legalità, «fondamentale – continua il parlamentare – perché io qui intravedo tutte le risorse del nostro futuro».

Il tema è dei più delicati, un nodo irrisolto nel nostro paese da decenni. La politica ci consegna una battaglia che è da sempre in cima alle priorità per il partito radicale; poi, fuori dai palazzi, tutte le denunce dell’associazionismo che si fa portavoce della questione, con Antigone e Luca Coscioni in prima linea.

È di qualche settimana fa, ad esempio, l’intervento a favore dei clochard di via della Conciliazione di una serie di detenuti impegnati nella preparazione e nella distribuzione di pasti caldi. In quel caso, il progetto di Isola Solidale provava a incrociare vite difficili e storie di senza fissa dimora.

Ma a fronte dei protocolli d’intesa che lasciano certamente prevedere un lavoro di buone prassi, accanto ai permessi speciali per reclusi prestati ad attività solidali e socialmente utili, la realtà nelle carceri italiane qual è?

Per chi volesse provare a fare il punto oggi c’è uno sguardo in più che apre un nuovo canale di osservazione. È infatti dello scorso autunno un’iniziativa che nasce dalla volontà del presidente della Corte Costituzionale e che si inserisce in quello che è stato definito “Viaggio in Italia”.

Giorgio Lattanzi parla del progetto in una lunga intervista, resa lo scorso 14 febbraio ai microfoni di Radio Radicale: «È la prosecuzione di un’esperienza nata dalla volontà di far uscire la Corte dal palazzo, per incontrare i cittadini e farci conoscere non solo attraverso le sentenze». E nello specifico dà una precisa indicazione, non solo di metodo. La Consulta entra negli istituti di pena perché «bisogna far capire che la Costituzione e la Corte Costituzionale esistono anche per le persone detenute». Come dire, la Carta è di tutti.

Conoscere la realtà carceraria da dentro mi pareva un’esigenza”, nelle parole del suo presidente le premesse sono già chiarissime, rintracciabili tutte nel comunicato della Corte che richiama l’articolo 27 della Costituzione, che finalizza le pene alla "rieducazione" del condannato «“Mai più un carcere cimitero dei vivi", giurarono i padri costituenti».

Cosa emerge sin da subito è l’impossibilità di un resoconto univoco circa lo stato delle case circondariali e dei penitenziari italiani. E questo è un primo dato. Anche nelle dichiarazioni del giudice Lattanzi, pertanto, ogni realtà ha una sua fisionomia che è del tutto diversa dalle altre.

Ma accedere a un quadro di sintesi si può e si deve.

Allo scopo, la relazione annuale del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute e private della libertà personale srotola numeri e dati: nei primi mesi del 2018 erano 58.569 i detenuti delle carceri italiane; siamo arrivati oggi a contarne circa 60.000, a fronte di una capienza effettiva di 45.000.

Il sovraffollamento è perciò, innegabilmente, il primo dei problemi. Tocca picchi del 200% a Como, e del 190,5% a Taranto. A cominciare dalla insufficienza di spazio, fino alle gravi carenze igienico-sanitarie, sono fatti obiettivamente riscontrabili in molta parte delle strutture di detenzione del nostro paese.

Quello che attiene alle condizioni di chi sconta una pena è chiaramente un tema che parla della dignità di uomini e donne, che pone sul tavolo la questione dei diritti umani.

Ma il Parlamento cosa fa?

Era in Senato da marzo dello scorso anno, uno Schema di decreto legislativo recante riforma dell’ordinamento penitenziario in materia di vita detentiva e lavoro penitenziario.

Presentato dal Ministro per i rapporti con il Parlamento dell’allora Governo Gentiloni, appena l’ultimo giorno della diciassettesima legislatura, il disegno di legge prendeva le mosse da una legge delega del 23 giugno 2017 n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario) che demandava al Governo il compito di adottare i decreti necessari per novellare l’ordinamento penitenziario.

Siamo ancora nella fase di scrittura di questa riforma.

Cerchiamo intanto di capire dove stiamo andando o dove dovremmo andare, partendo dalla legge delega. Quella mette in fila una serie di criteri e principi direttivi a cui l’esecutivo dovrebbe attenersi nella scrittura del decreto legislativo. Sono paletti che disegnano il contorno del futuro provvedimento normativo. Tra questi spiccano l’ampliamento dell’ambito di operatività delle misure alternative alla detenzione. Sul punto il nuovo esecutivo non si trova d’accordo tanto che ha eliminato quelle previsioni dal nuovo testo, licenziato da Conte ai primi di agosto, sul filo di lana, nell’ultimo giorno utile per l’esercizio della delega.

Tra quelli disegnati dal Parlamento c’è poi tutta una serie di interventi volti a novellare l’esecuzione della pena detentiva. La delega prevede che si viaggi verso obiettivi di incremento delle opportunità di lavoro retribuito, sia intramurario che esterno; di valorizzazione del volontariato; che si affermi il diritto all’affettività per i reclusi e che si potenzino le necessarie forme di assistenza sanitaria, inclusa quella psichiatrica, negli istituti di pena. Capitolo a parte è dedicato alla esigenza che si prevedano interventi specifici per favorire l’integrazione dei detenuti stranieri. Chiara la necessità di una produzione normativa volta al rispetto della dignità umana attraverso la responsabilizzazione dei detenuti e la massima conformità della vita penitenziaria a quella esterna, ad esempio attraverso la sorveglianza dinamica. Previsioni specifiche la legge delega le impone anche nell’ottica di una efficace tutela delle donne recluse e delle detenute madri. La rimozione degli ostacoli al reinserimento sociale del condannato conclude i punti principali.

Fin qui il Parlamento. Il governo in carica dà una attuazione alla delega che in definitiva è meno rigorosa, discostandosene in una buona parte, come abbiamo visto.

Sul testo originario ci sono tuttavia una serie di indicazioni che bisognerebbe tenere in debita considerazione.

L’analisi d’impatto, formulata dall’ufficio legislativo del Ministero della Giustizia, reca ad esempio priorità quali la valorizzazione del detenuto come persona; il contrasto alle discriminazioni legate alla identità di genere e pone una attenzione particolare a evitare che la detenzione si trasformi in una sorta di “moltiplicatore delle vulnerabilità dei soggetti”, come di fatto accade.

Si guardi poi alle sollecitazioni che giungono dal Garante nazionale che su quello schema di decreto sollevava alcune criticità.

Tra queste, un’osservazione che può dirsi perlopiù recepita nel testo scritto dal governo gialloverde, è il rilievo circa la visita da eseguirsi sul detenuto all’atto dell’ingresso nell’istituto di pena. Occorre che quella sia compiuta in maniera accuratissima, in modo che possano emergere eventuali maltrattamenti subiti nelle fasi precedenti a quell’ingresso. Il pensiero corre a Stefano Cucchi, pestato a morte mentre era sotto la custodia dello Stato.

Per essere chiari, le raccomandazioni richiamano gli standards europei e l’auspicio è che la norma prodotta possa rispettarli.


(26 febbraio 2019)






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