Care Sardine, evitate di suicidarvi
Paolo Flores d'Arcais
Credo siate perfettamente consapevoli che le ondate di speranze che avete suscitato, espresse in partecipazione oltre ogni previsione, possono ancor più rapidamente spegnersi in frustrazione e in più cocente delusione, se le azioni politiche che ogni giorno realizzate (e nella vita pubblica le parole sono azioni, come lo sono gesti, simboli e omissioni) smentissero quella fedeltà implementativa ai valori della Costituzione che, sola, può costituire una buona politica e che nella politica attuale, ufficiale, istituzionale latita più che mai, anche se con carature diverse per ciascun protagonista.
Sabato scorso i protagonisti della politica siete stati voi. Con la vostra lettera all’“Onorevole presidente del Consiglio” pubblicata su “La Repubblica”, e con la visita del giorno precedente a Fabrica, “centro di sovversione culturale, fondata nel 1994 da una visione di Luciano Benetton e Oliviero Toscani”, come recita il sito della stessa. Visita immortalata in una foto festante con i due fondatori, che sabato ha debordato sui social. Questi due atti sono in coerenza con l’esplosione di speranze di cui siete stati nelle recenti settimane detonatori e animatori?
Comincio dall’episodio in apparenza minore. L’invito di Toscani risaliva a dicembre, e Toscani è certamente un creativo di grandissima caratura, effettivamente spesso “sovversivo”, spessissimo nel senso elogiativo che si può attribuire al termine. Ma non siete certo all’oscuro che se “Benetton” fino a qualche tempo fa era sinonimo di maglioni e, appunto, delle campagne pubblicitarie innovative di Toscani (antirazziste, antibigotte …), dalle 11 e36 del 14 agosto 2018 “Benetton” si pronuncia “Atlantia” e vuol dire, nella consapevolezza e nell’immaginario collettivo, il crollo del viadotto Polcevera di Genova, 43 morti, controlli omessi o falsificati, controllori depistati o intimiditi, un pezzo di cloaca del kombinat affaristico politico che è per troppi aspetti da decenni e sempre più il Belpaese delle cartoline d’antan. 43 morti che non avranno giustizia, se dobbiamo stare alle statistiche dei morti per incuria imprenditoriale e latitanza politica, dai tumori di Taranto alle stragi per “morti bianche” sui luoghi di lavoro, ai disastri ferroviari, ai crolli per bulimica ingordigia di profitti.
Per cui, quando Benetton si presenta per una foto ricordo, chi prende sul serio la Costituzione volta le terga e non stringe la mano, e meno che mai sorride in reciproca radiosità, ma se ne va incazzandosi per il tentato (ma sventato) tentativo di strumentalizzazione. Perché saranno i magistrati a stabilire le responsabilità criminali eventuali di manager e proprietari, ma che Benetton/Atlantia con gli articoli 3 e 41 della Costituzione abbiamo parentela e affinità assai minore dei cavoli con le merende deve essere, per una sardina, la scoperta dell’acqua di mare. Per cui gridare alla strumentalizzazione e rivendicare ingenuità non è un bel rispondere alle sacrosante critiche. Evoca sentori di politica stantia.
Una foto parla, in nessun luogo credo lo si impari meglio che a “Fabrica”, ma immagino lo sapeste anche prima. Per la proprietà transitiva dei testimonial e dei selfie, quella foto racconta un imprenditore illuminato, che dà spazio alla creatività, alla speranza, al futuro. Ai valori rappresentati dalle Sardine. E alla Costituzione? Vi siete fatti testimonial di assai peggio che una menzogna, proprio mentre nel governo si cincischia nel braccio di ferro se togliere ai Benetton le concessioni autostradali, che un governo degno del nome (della Costituzione, cioè) avrebbe decretato da tempo.
Quel governo con cui il giorno dopo solennemente invocate il dialogo dalla prima pagina di “La Repubblica”. Perché, in che senso, a quale scopo? Certo, dialogare fa parte delle cose belle per definizione, delle cose buone e giuste per antonomasia, delle cose civili e accattivanti oltre ogni miele. Ecco perché di per sé non vuol dire nulla, anzi costituisce un’azione politica sempre differente, a seconda del contesto, dell’interlocutore, del discorso che gli si rivolge.
A Giuseppe Conte vi rivolgete, a conclusione della vostra perorazione, in questi termini: “Potremmo essere il popolo che avete sempre voluto, se riuscirete a dare corpo alla politica che abbiamo sempre sognato … Smettiamola di considerarci solo come elettori e politici. Iniziamo a onorare i nostri ruoli di cittadini e amministratori.”.
Cosa vuol dire “il popolo che avete sempre voluto”? Intendete il popolo che sogna questo governo? Ognuna delle forze politiche che lo sostengono lo sogna a modo suo e incompatibile con l’altro, e spesso all’interno dello stesso partito, ma in comune c’è che nessuno lo vuole scomodo, che faccia domande scomode, che ponga rivendicazioni scomode, per l’establishment ovviamente, per quello statu quo quasi trentennale che non ha fatto che calpestare la Costituzione, e da Berlusconi a Renzi a Salvini fatto arretrare l’Italia a morta gora.
O vuol dire invece il popolo che sogna l’Onorevole presidente del Consiglio? Vi è sfuggito che è lo stesso “Onorevole” che ha governato per oltre un anno come scendiletto di Salvini, e non ha trovato ancora uno zefiro di flatus vocis per spiegare quali valori non negoziabili siano stati la Beatrice della sua piroetta? Tra lo sforzo per evitare elezioni che potrebbero dare alle destre eversive di Salvini e Meloni il dominio del paese, e l’endorsement impagabile che la vostra lettera costituisce di fatto per Conte, c’era una vasta gamma di possibilità per rapportarsi con il governo.
A cui oltretutto non chiedete nulla. Nulla di scomodo, intendo, quello scomodo che è doveroso, elementare, se si vuole davvero segnare “un punto di svolta nel panorama immobile della politica italiana”. Cosa chiedete per il Sud? Non pronunciate neppure la parola “mafie”, eppure senza una guerra alle mafie, come priorità non negoziabile (l’opposto del “con la mafia bisogna convivere” che costituisce la Costituzione materiale della nostra classe politica), “eclissi della ragione e sonni della civiltà” continueranno a tracimare.
“Sicurezza di assistenza sanitaria, sicurezza di accesso ad un’istruzione di qualità”, ovvio, quale governo ha mancato di prometterlo? Ha sempre promesso anche di sradicare l’evasione fiscale, quanto più grande tanto più da colpire. Da noi continua allegramente (per i grandi evasori) ad essere un multiplo di quanto avviene in Francia, Germania, Stati Uniti … Lo smantellamento della sanità pubblica è l’unica grande opera il cui stato di avanzamento non conosca da anni ritardi, se non lo si denuncia la richiesta di “sicurezza di assistenza sanitaria” è aria fritta. Idem per la “istruzione di qualità”.
Questo governo potrebbe cadere sulla giustizia, non a caso, perché la lotta tra il partito dell’impunità e il partito della legge eguale per tutti è almeno dai tempi di Mani pulite LA questione cruciale che sovradetermina ogni altra partita politica. Il vero scontro di civiltà. Su cui si devono constatare gli arretramenti più spaventosi, per chi abbia orecchie da intendere e occhi per piangere. Gli avvocati del foro di Milano, che ventotto anni fa facevano la fila nelle anticamere del pool per far confessare i loro ricchiepotenti clienti di Tangentopoli, sperando in sconti di pena, oggi si permettono di insolentire
Piercamillo Davigo che la logica di Mani Pulite contro Tangentopoli continua a sostenere. E una men che mezza riformetta della prescrizione (che in chiave occidentale dovrebbe venir meno dopo il rinvio a giudizio), viene ormai satanizzata. Su tutto ciò non una parola, eppure “le parole sono importanti”, scrivete a Conte.
Cari Andrea Garreffa, Roberto Morotti, Mattia Santori, e Giulia Trappoloni (rigorosamente in ordine alfabetico), a metà marzo organizzerete l’incontro tra tutti i referenti delle oltre cento manifestazioni che avete realizzato in poche settimane. Non potrete limitarvi a invocazioni generiche, dovrete dire in modo impegnativo cosa significa realizzare la Costituzione, almeno nelle sue più urgenti priorità. E su questa base scegliere come comportarvi nelle prossime scadenze elettorali regionali. Il no a Salvini può bastare una volta, poi diventa necessario dire dei “sì” a misure che tolgano al prefascismo (che voi preferite chiamare populismo, il che “pone un problema d’interpretazione”, visto che il pensiero d’establishment internazionale vi mette come in un sacco unico esperienze opposte, Farange e Podemos, per dire) il suo brodo di coltura.
In Emilia-Romagna avete fatto vincere Bonaccini, inutile fare i modesti. In quanto sconfitta di Salvini è una lieta novella, anzi lietissima. Ma non appena insediato il Bonaccini medesimo, di fronte a (la politica edilizia di scempio e lo scempio dell’autonomia regionale differenziata, cavallo di battaglia di Salvini) è tornato all’arroganza di nomenklatura: “Perché non si candida lui? Nel frattempo, mentre lui commentava, io ho battuto Salvini. Nelle urne, non abbaiando alla luna”. Prosit (alla salute del dialogo e dell’ascolto della società civile, che in campagna elettorale i politici millantano ad ogni dichiarazione).
E in Toscana il candidato del Pd è il peggio che si possa avanzare, e se le forze che appoggiano il governo andranno in ordine sparso regaleranno alla Lega ciò che gli avete impedito in EmiliaRomagna. Perché la Lega imparerà, e sceglierà un candidato il più possibile “allettante”. E se la vostra “Street suasion” non saprà imporre a Pd e M5S un candidato comune della società civile, uno della categoria dei Rodotà, per capirsi, potrebbe davvero prodursi “un punto di svolta”. Ma tragico.
Sono tante altre le cose di cui dovremmo parlare. Avete scritto che “l’incontro fra generazioni, così come lo stabilire un nesso comunicativo fra di loro, è un fatto importantissimo, impensabile fino a qualche tempo fa”, e in effetti nella gigantesca manifestazione di Roma e in tutte le altre piazze si sono ritrovati con voi tutte le generazioni delle lotte scorse, dai Girotondi al Sessantotto e anche risalendo più indietro (a Roma si è presentato da me un genovese orgoglioso di aver partecipato, da giovanissimo “camallo”, ai moti contro Tambroni e il suo tentativo di governo aperto al Msi). Ma questo incontro in piazza non ha avuto modo di diventare confronto e approfondimento. Anche di questo dovrete parlare a Scampia.
Perché a Scampia deciderete se diventare una forza espansiva (quale che sia la forma organizzativa che vi darete), il “partito” di giustizia-e-libertà che manca ai milioni di cittadini che voi stessi definite “orfani di rappresentanza”, o se in nome di un essere “non divisivi” che assomiglia troppo al non dispiacere a nessuno, rischierete di cominciare ad estinguervi.
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