Caro Dibba, sarà complice il tuo silenzio su Bolsonaro?

Matteo Pucciarelli

La vittoria in Brasile dell’ex militare ha suscitato reazioni da tutto il mondo con Salvini che ha subito twittato parole di amicizia per il nuovo presidente verdeoro. Dal M5S, invece, l’unica reazione è stata di Di Maio: “Se il popolo ha votato, il popolo ha deciso”. Mentre il rivoluzionario Di Battista, amante del giro a la izquierda del Continente, preferisce dedicarsi ad altro. Sarà, forse, in difficoltà.

e Giacomo Russo Spena

L’esercito è in strada per festeggiare la vittoria. La notizia è di rilevanza mondiale: in Brasile ha vinto le elezioni l’ex militare Jair Bolsonaro. Ultra nazionalista e maschilista, favorevole alla pena di morte, uno secondo il quale «l’errore di Pinochet fu torturare e non uccidere i suoi oppositori». Bolsonaro ha trionfato attaccando i giornali, parlando di “legge, ordine e sicurezza” in un Paese con alti tassi di diseguaglianza sociale e con criminalità e corruzione in esponenziale aumento. Parla e pensa “politicamente scorretto”, mal sopporta le minoranze e oggi è una garanzia di successo: si passa così per “antisistema”.

Sulle agenzie stampa e sui profili social si leggono commenti provenienti da tutto il mondo. Il nostro ministro degli Interni, Matteo Salvini, è stato tra i primi a complimentarsi con Bolsonaro, al motto di viva l’onda nera, così nera che perfino Marine Le Pen ha preferito tenersene alla larga. Molti infatti si dicono preoccupati per la svolta reazionaria del Brasile. Di certo, siamo di fronte ad un voto storico e su scala globale. La sua affermazione sancisce un passaggio fondamentale per l’America Latina: la fine del cosiddetto giro a la izquierda del continente. Il termine è stato coniato per descrivere quei laboratori populisti (ma di sinistra) che si erano affermati negli ultimi 15 anni, con tutte le differenze del caso: Lula, Correa, Mujica, Morales, Kirchner, Chavez, Lugo. Ma tutti determinati a riconquistare una propria autonomia dagli Stati Uniti, approntando politiche di redistribuzione della ricchezza. Si chiude un capitolo, se ne apre un altro. In un Paese catalogato come BRICS (acronimo di Russia India Cina Sud Africa) e in ascesa, grazie alle proprie immense ricchezze naturali.

Quelle del giro a la izquierda latinamericane sono esperienze che Alessandro Di Battista conosce bene, il “terzomondista” del M5S, il volto ribelle e no global della Casaleggio associati. Quello che si è preso una lunga pausa in America Latina con compagna e figlio per raccontare i movimenti sociali e le resistenze contadine e dei poveri. È un suo vecchio pallino. Già prima di diventare un influente deputato, era stato in Guatemala per dei progetti di cooperazione allo sviluppo scrivendo finanche un libro pubblicato dalla società di comunicazione milanese allora guidata da Gianroberto. Il suo tour per il Messico ha avuto anche qualche intoppo quando, a settembre, gli amici del movimento zapatista in Italia non avevano gradito la sua visita nella Selva Lacandona. Anche perché nel farlo aveva nascosto la sua reale identità: di “giornalista” e di esponente di spicco del M5S, oggi alleato di governo della Lega salviniana. Su twitter per giorni è andato forte l’hashtag #DiBattistaFueraYa.

Ieri, per Il Fatto, “Dibba” ha scritto un nuovo reportage (perché ora, appunto, è “giornalista”) sul grande successo politico delle chiese evangeliche, «avanzata – come scrive lui – che coincide con una nuova forma di colonizzazione legata alla politica più reazionaria, globalista, privatistica che esista oggi nel continente». Non una parola su Bolsonaro, però.

Ad ora, nel M5S, soltanto il vicepremier Di Maio ha sentito il bisogno di dire qualcosa sulla vittoria dell’ex militare: "Se il popolo ha votato, il popolo ha deciso", ha dichiarato. Nessuno è allarmato, o forse l’ufficio di comunicazione ha diramato l’ordine di non esprimere opinioni più articolate in merito. Non una presa di distanza da Salvini quindi, il quale invece si è affrettato a twittare la stima per Bolsonaro. E come lui anche il ministro (leghista) Fontana. Ma ciò che stupisce è il silenzio di Di Battista, il leader carismatico e libero da ogni vincolo, colui che avrebbe bloccato la Tap in due settimane. Appare in difficoltà. A volte meglio tacere, avrà pensato. Ma il silenzio è complice e i nodi, come sulla Tap, alla lunga vengono al pettine. Nella vita a un certo punto si deve scegliere: difficile stare sia con i movimenti dal basso latinoamericani che con gli amici di Bolsonaro, il quale ha dichiarato guerra proprio a queste esperienze. Si chiamerebbe “coerenza”. Quella coerenza che il M5S ha perso per strada, immolata sull’altare della realpolitik con una facilità che fa invidia alla peggior vecchia politica. Tra condoni e grandi opere, cosa rimane alla fine se non un gigantesco imbroglio?

PS: Quando pubblichiamo questo pezzo ”Dibba” non ha ancora dichiarato nulla, speriamo di essere smentiti con un suo accorato post o dichiarazione.
(29 ottobre 2018)





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