Caro Roberto, quei giovani sono esasperati
Caro Roberto,
mi ricordo di te durante gli anni delle occupazioni dei No Global tra il 2000 e il 2001, eri spesso presente alle assemblee e alle occupazioni e le tue posizioni erano molto diverse. Anche io sono cambiato, ho moderato i toni, mi sono alleggerito di alcune "false" idee di rottura sociale e penso di aver cresciuto una consapevolezza maggiore del vivere democratico.
La faccenda, caro Roberto, questa volta è molto più complessa. Gli anni della contestazione al processo di globalizzazione sono lontani, erano diverse le motivazioni, le idee, i valori miei e tuoi. A distanza di anni gli effetti e le distorsioni di quel processo che denunciavamo con rabbia sono diventati reali. Crisi finanziaria mondiale, rafforzamento degli organismi sovranazionali a scapito dei diritti di cittadinanza, processi di rafforzamento dei territori che hanno scatenato nuove forme di razzismo, l’imminente "scontro tra le civiltà".
Ancora oggi denuncio quelle distorsioni e mi faccio carico delle responsabilità politiche che tale posizione comporta. Anche noi avevamo i colori, la creatività alla quale fai riferimento ed eravamo molti di più.
Quindi per noi è stata di fatto una sconfitta politica.
Io non mi vergogno di quei giorni e non mi vergogno di aver contestato nelle forme e nella dialettica che assunse toni tanto drammatici da avere come epilogo la morte di Carlo Giuliani a Genova.
I ragazzi, gli studenti di ieri, sono ovviamente differenti da noi, ma a te sicuramente non sfugge che la complessità sociale che li caratterizza è diversa dal nostro movimento. Ieri c?erano migliaia di persone che da mesi manifestano e per diverse ragioni. Ovviamente mi trovi d?accordo quando parliamo di forme pacifiche di dissenso, ma bollare i contestatori più radicali usando il vecchio gioco linguistico della derisione e demitizzandoli additandoli come incompetenti lo trovo reazionario quasi quanto un sanpietrino lanciato verso una camionetta.
I movimenti sono altamente differenziati e centinaia di ricerche hanno evidenziato che la violenza sociale e politica ha origini multiforme. La rappresentazioni del conflitto sociale attraverso i media sono storicamente una semplificazione arbitraria e rincarare, riducendo parti di quel movimento a ragazzini che piagnucolano dopo aver preso le manganellate, è una interpretazione oltremodo banale.
L’elenco delle persone arrestate ieri durante gli scontri contempla ricercatori, precari, terremotati dell?Aquila, operai, studenti universitari che sono nello stesso tempo padri di famiglia, fratelli, sorelle, figli. Sarà la magistratura a capire le colpe, ad indicare quali sono stati i danni e i reati da perseguire, ma sarebbe opportuno chiedersi se realmente queste persone hanno razionalmente scelto di partecipare nelle forme viste ieri e il grado di responsabilità giuridica, morale e politica che sono disposti ad accollarsi pur di difendere i propri diritti di lavoratore, di studente, di operaio, di pensionato.
La volontà di contrapporsi alla grave crisi sociale nelle forme e nei modi visti ieri non è la risposta, ma una delle tante risposte ad una esasperazione che ha raggiunto livelli che forse da te non vengono più percepiti, come ti capitava ai tempi delle occupazioni della Federico II.
I compagni che sbagliano, la strategia della tensione, gli infiltrati sono solo un contorno che assume i toni di un chiacchiericcio giornalistico e di un racconto che esula dalla comprensione sociologica e politica del movimento.
Sicuramente chi leggerà questo scritto penserà che sono un radicale, uno che spinge alla violenza politica, un irresponsabile e paradossalmente mi trova d’accordo perché questa lettera potrebbe apparire tale.
Ma quando la società chiama la politica deve rispondere e a quanto pare tra i due sembra che attualmente ci sia in atto un lungo dialogo tra sordi.
Con affetto
Tommaso Ederoclite
(16 dicembre 2010)
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