Un prete risponde al quotidiano di Feltri

MicroMega

di don Raffaele Garofalo

Al signor Luigi Santambrogio,

Mi è stato segnalato un Suo pezzo su Libero dal titolo: “La sinistra lancia i preti anti-papa. Sulla rivista Micromega i ribelli degli anni Sessanta. Per dare l’estrema unzione a Eluana”. Nell’articolo Lei fa riferimento anche alla mia persona. Le Sue “opinioni” si “intuiscono”, più che altro, dagli epiteti offensivi: lo scritto risulta piuttosto vuoto di contenuti e difficilmente Le si potrebbe dar ragione, anche con ogni sforzo di buona volontà. Si legge per “arricchirsi” delle idee altrui. Oltre che un seguace di Cristo, doverosamente lontano dal Vaticano, sono anche un ammiratore di Voltaire, soprattutto del suo Trattato sulla Tolleranza ma non posso sentirmi “disposto a dare anche la vita” perché Lei possa esprimere le Sue “idee” se prima non impara a comunicarle in modo articolato, convincente e non certo con invettive scontate ed evidenti falsità. Le idee degli altri si controbattono con altre idee più valide, se se ne è portatori, come si conviene tra persone civili, non con affermazioni inesatte, processando le intenzioni. Innanzitutto Lei mi annovera tra i no-global (che ama confondere forse coi black-block e con provocatori travestiti) di cui non faccio parte ma dei quali certamente apprezzo e condivido molte tesi. Sinceramente poi, ora che anche il ministro Tremonti ha percorso la via di Damasco (folgorato forse dal risorto Maestro Agnoletto) sono tentato seriamente di provare fastidio nel trovarmi in compagnia del personaggio: di un ministro creativo che, da grande prestigiatore, manovra fondi ballerini che, all’occorrenza, si spostano dove servono, come i famosi aerei di mussoliniana memoria; di un Robin Hood alla rovescia che regala l’ICI a chi la può pagare ed elargisce un’elemosina (a volte nemmeno disponibile) ai poveri, mentre aumenta del 2% le tasse che aveva promesso di diminuire. Per rimettere su le finanze della casa il fenomeno nazionale della scienza economica non ha altra idea che sfasciare il salvadanaio di famiglia. Tornando al mio caso, La ringrazio perché mi riconosce il merito di essere “espressione esemplare di vocazione sacerdotale senza scopo di lucro”. Ho la soddisfazione di trovarmi d’accordo con Lei: in questo non posso smentirLa. Ci sono preti che non hanno preso una lira, né un centesimo dalla Chiesa, nemmeno le “offerte” stabilite dai… “tariffari” diocesani. Per sostenersi alcuni hanno “lavorato” per anni anche all’estero durante le “vacanze”, per assicurarsi un anno di pane e frittata, i libri e le tasse da pagare all’Università. Personalmente ho sottoscritto l’invito a versare l’otto per mille alla Chiesa valdese perché quella Chiesa rispetta totalmente lo spirito della legge. Col denaro dello Stato i Valdesi non costruiscono chiese, non fondano banche (almeno non come il famigerato Ior) e, soprattutto, rendono conto delle spese fatte per finanziare opere sociali e NON di culto. Sarà, questa, una eresia per il Vaticano ma, come Lei stesso riconosce, rispondente almeno ad una “vocazione sacerdotale senza scopo di lucro”. Non godo di alcun privilegio dell’otto per mille per cui non mi spetta la Sua gratificazione… di “faccia di tolla”. Come vede, possiamo avere un punto di incontro se ritira l’ultimo, immotivato complimento… che mi fa. Il rifiuto da parte di Wojtyla di un accanimento terapeutico è documentato dai comunicati stampa e dai mezzi di informazione internazionali: NON è una bufala. Lei mi fa affermare, virgolettandolo, che la Chiesa “tace sui massacri in Iraq e Gaza”: un chiaro travisamento di quanto testualmente ho scritto: “In molte nazioni dove esiste la pena capitale, la Chiesa NON E’ ALTRETTANTO DRASTICA NEL CONDANNARLA, né zelante nel difendere la vita umana. Non si è parlato di ‘mani assassine’ per i massacri di civili in Iraq o a Gaza: di fronte alle vere ‘potenze’ del male il Vaticano ABBASSA I TONI DELL’ACCUSA e si rifugia nella preghiera”. Ritengo che il Suo “virgolettato” sia frutto di una lettura veloce e superficiale e della “Sua” viscerale vis polemica non sostenuta da validi argomenti. Non si pensa male del prossimo, come suggerisce il Vangelo, per cui, a differenza del sen. Andreotti, credo nella sua “buona fede” e sono convinto che, per difetto di informazione, Lei sia costretto ad esprimersi di “istinto”, togliendo le briglie alla fantasia, ricorrendo al solo armamentario di cui sembra disporre. Andreotti afferma che a pensar male si fa peccato però si indovina. Il senatore si ritiene autorizzato a rivedere frequentemente gli insegnamenti di Cristo, forse perché habitué della messa mattutina delle 6. L’arguto politico non si accorge di essere vittima di una grossolana superficialità. L’affermazione, apparentemente spiritosa, è un boomerang che ritorna, pesantemente, sul suo capo. Molti come me infatti hanno sempre peccato, dovendosi poi confessare, per aver “pensato male” di lui e una sentenza del tribunale, pur “assolvendolo per prescrizione”, ci ha dato ragione nell’accusare il devoto senatore di aver fatto e ricevuto favori da mafiosi fino all’anno 1980. I giudici che lo hanno dichiarato non passibile di condanna penale, aggiungevano una postilla illuminante in cui si affermava che il grande Giulio, tuttavia, deve rispondere moralmente davanti alla propria coscienza e a quella dei cittadini italiani. Quanto ai miei “studi di medicina” mi sono arreso al primo esame di Biologia, dopo averlo superato, non avendo tempo sufficiente da dedicare a quella Facoltà, ripiegando su altri indirizzi universitari. Quando scrivo delle discipline di cui non ho esperienza diretta, faccio riferimento ad esperti, cosa che consiglio di fare anche a Lei, se vuol diventare un giornalista convincente. Sulle condizioni di Eluana mi sono basato sulle dichiarazioni dei medici che l’hanno seguita per anni e sul senatore Ignazio Marino il quale magari non sarà, per Lei, politicamente affidabile come “comunista” ma pare sia una riconosciuta autorità internazionale nel suo campo. Se non si può attribuire certezza assoluta alla scienza medica, che normalmente fonda le sue affermazioni su basi empiriche, statistiche, lo stesso ragionamento, a maggior ragione, deve valere per chi, contro ogni verifica sperimentale, crede in ciò che non è mai avvenuto. La maggioranza degli scienziati affermano che, dopo un anno di coma, lo stato vegetativo può definirsi irreversibile. Se si vuole definire incerta e non definitiva questa affermazione (perché nulla è mai “assolutamente” definitivo) bisognerebbe allora rimettere in discussione tutte le conquiste della scienza medica, e non solo, basate sull’osservazione costante dei fenomeni. Anche un’aspirina non sarà mai del tutto sicura e, in teoria, potrebbe risultare ogni volta fatale per chi la prende. In base a quale particolare ragionamento si dovrebbe, invece, ritenere CERTA solo la tesi di chi sostiene che un risveglio dal coma possa avvenire anche dopo 17 anni? Il problema rivela tutta la sua complessità e, oltre alla scienza medica che se ne fa carico per il compito che le compete, la Chiesa è chiamata ad affrontarlo, sul piano morale, senza tabù né astratti massimalismi. Lo Stato laico, da parte sua, è tenuto a garantire al cittadino l’opportunità di fare il testamento biologico, non di offrirgli la disdicevole farsa di un presidente del Consiglio che, indifferente al caso Eluana fino ad una settimana prima, si precipita p
oi ad allestire il colpo di mano di un decreto strumentale che stava creando una crisi istituzionale nell’intento di ingraziarsi il Vaticano e il mondo cattolico.
Lei ci ha definiti preti di sinistra al capezzale di Eluana per amministrarle l’Estrema Unzione. Saprà che l’“Olio degli infermi” si dà a chi ne fa richiesta ed è una invocazione di guarigione. Non è una stregoneria. Ma anche la “medicina” che si amministra a nome di Dio spesso non sortisce l’effetto desiderato: ciò che un prete può dare certamente ai malati è la vicinanza assidua al loro destino, fino all’ultimo. Si vive la malattia assieme a chi ne soffre e una parte di sé muore con le persone che vengono a mancare. Nel caso di Eluana lo hanno sperimentato la famiglia e le suore che l’hanno accudita, non ha potuto provarlo chi ha speculato sul caso. La ringrazio di avermi fatto fare il “prete” in questa lettera, soprattutto di avermi annoverato tra persone di grande rilevanza nel campo religioso e sociale come Dom Franzoni, Don Mazzi dell’Isolotto, Don Barbero, mons. Casale, mentre trascurava, nel pezzo, Mons. Bregantini. E’ gente che ha il merito di aver pagato un prezzo molto alto per le proprie idee, per l’onestà intellettuale e il coraggio di proclamarle in pubblico. Un po’ come se Lei un giorno provasse a criticare il direttore del Suo giornale, il Presidente del Consiglio, il fratello Paolo o la signora Veronica, gente di famiglia, e lo facesse con lo stesso “calore” con cui ha criticato altri e me. Immagino che Lei sia un “ragazzo” alle prime armi, poco documentato sui personaggi di cui sopra e ignori che il “nemico” va conosciuto bene se lo si vuole attaccare in maniera efficace.
MI CONSENTA un ultimo consiglio: argomentare senza offendere può trascinare più facilmente il lettore dalla parte di chi scrive; offendere gratuitamente dimostra il vuoto di idee forti, rivela unicamente convinzioni preconcette, pregiudizi che allontanano e distolgono chi legge. E’ un elementare problema di comunicazione di cui è consapevole chi fa giornalismo di qualità. I Suoi lettori di Libero sono già convinti e a loro possono bastare i Suoi improperi contro gli “avversari”, Lei deve mirare invece a convincere persone come coloro che attacca nel suo articolo. Allo scopo dovrà equipaggiarsi… Auguri per l’impresa! Non è necessario che risponda a questa mia, mi basta che faccia tesoro dell’ultimo consiglio. La saluto con sincero rispetto per la Sua persona non condividendo, ovviamente, “ciò che” scrive né “come” lo scrive. La critica è un diritto di tutti: Suo e “anche” mio!

(18 febbraio 2009)



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