Caso Castellucci, se la Chiesa benedice gli ultracattolici

Maria Mantello



Si sono concluse le recite dello spettacolo di Romeo Castellucci Sul concetto di volto nel figlio di Dio al teatro Parenti di Milano. Serate intense per la rappresentazione e per l’alto livello del dibattito col pubblico. Un risveglio di partecipazione che non si vedeva da anni. Una lezione di civiltà e democrazia, che probabilmente non ci sarebbe stata senza la rozzezza delle provocazioni degli ultrà cattolici.

La pièce di Castellucci non è stata oscurata grazie alla fermezza della direttrice del teatro, Andrée Ruth Shammah, che è stata anche facile bersaglio, perché ebrea, dei più beceri insulti antisemiti.
Né lei, né l’autore, né gli attori si sono lasciati intimorire. E non sono stati lasciati soli.
La vergogna integralista e la sua incontinenza, denunciata dalle più prestigiose testate giornalistiche, ha trovato potenti argini nella laicità. Bene comune. Valore non negoziabile.

Dileguata la possibilità di far saltare la prima, i “sacri” censori hanno deciso di mettere in scena il 24 a sera, in concomitanza della rappresentazione, un Rosario snocciolato da zelanti dame. Alcune con tanto di velo nero d’ordinanza. Pochi adepti. Come del resto alla Messa-comizio, officiata poco prima sopra un camion, in una piazza limitrofa, da don Floriano Abrahamowicz. Un prete che accorre a celebrare il rito eucaristico sui prati dei raduni padani quando Lega chiama. Uno che nega la Shoah («le camere a gas servivano a disinfettare», una sua perla) e che predica il ritorno ad una società gerarchizzata nel segno di Cristo re. E proprio Christus Rex si titola il Circolo da lui fondato, che pare strizzi l’occhio a eleganti formazioni come Forza Nuova e Militia Christi. Entrambe in prima linea contro lo spettacolo “blasfemo”. E per questo calate su Milano il 24 a sera.

Lo spettacolo c’è stato come da cartellone. Ma l’intera vicenda pesa come un macigno. E non di meno pesano le parole dei più alti organismi vaticani: Segreteria di Stato e Sala Stampa.
Monsignor Peter Wells, assessore agli affari generali vaticani (coordina tutti gli uffici della Santa Sede), ha scritto in una lettera del 16 gennaio, che «Sua Santità […] auspica che ogni mancanza di rispetto verso Dio, i Santi e simboli religiosi incontri la reazione ferma e composta della Comunità cristiana, illuminata e guidata dai suoi Pastori». Una fanfara per i fondamentalisti! Rincuorati anche dalle parole di padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana, che il 19 gennaio, rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano quale fosse la posizione ufficiale della Chiesa, non trovava di meglio che rimproverare Andrée Ruth Shammah, perché «avrebbe potuto farsi carico più attentamente della dimensione sociale della libertà di espressione». Quindi, confermando quanto espresso da monsignor Wells, precisava: «Il senso della lettera proveniente dalla Segreteria di Stato è molto chiaro, prendendo atto del fatto che si rappresenta un’opera che risulta offensiva delle convinzioni religiose dei cristiani». Pertanto è giusta la «preghiera per manifestare il proprio dissenso, evitando gli eccessi di qualunque tipo, anche solo verbali».

Sul concetto di volto nel figlio di Dio si è giocata una partita che ha poco a che fare con la fede. Per il credente questa è un dono di Dio. E non è certo una pièce teatrale a poterla scalfire. Il problema allora è quello della definizione della fede. Dell’interpretazione della fede. È di questa che la Chiesa esige l’appalto. Il Volto da difendere è quello del Vescovo che dice di parlare in nome di Dio. Per conto di Dio. E per questo pretende il controllo del Logos – Verità. Unica – Eterna – Universale. La parrhesia (libertà di parola, di definizione) la vuole tutta per sé.

Allora, quando sull’immagine del volto di Cristo di Antonello da Messina, che troneggia sul fondo scena dello spettacolo di Castellucci implode l’onda d’inchiostro che ne fa una lavagna nera su cui si staglia la scritta “Sei il mio pastore”, che si muta nel suo negativo: “Non sei il mio pastore”, si grida allo scandalo, perché si spezza la catena dell’obbedienza che inchioda al non senso di replicanti di una supposta identità, per assumere il rischio del vivere e con esso l’avventura di essere costruttori di senso della propria vita. Non appaltabile a nessuno. Neppure in nome di Dio.

Pertanto, lo spettacolo di Castellucci che mette in scena il dolore di un padre incontinente, avviato allo stato vegetativo, e di suo figlio che lo accudisce e pulisce, diventa l’emblema di un’incontinenza più vasta che fa della sofferenza il non senso, la lordura che può privare della dignità della vita.
Un tema sensibile, che ha portato a rivendicare in Italia la necessità di una legge laica sul testamento biologico per essere proprietari della vita sempre. Fino in fondo proprietari della propria individuale autodeterminazione!
Autodeterminazione. Una parola che fa venire i brividi ad una Chiesa curiale che oggi sta conducendo la sua astorica lotta per annientarla chiedendo leggi precetto, perché il Volto del Cristo sia quello del Vescovo. E in questo intento le tornano utili anche le milizie degli oltranzisti cattolici.

(30 gennaio 2011)

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