In una fase della storia italiana contrassegnata da fake grossolane e anche da mistificazioni in chiave antisemita, come quella che ha portato il senatore a 5 stelle Lannutti a riesumare i falsi Protocolli dei Savi anziani di Sion, senza sentire il dovere di dimettersi o essere accompagnato sull’uscio dal suo partito, non sorprende, ma è al contempo intollerabile, che la drammatica questione dei migranti e la vicenda umana di pochi disperati, della Diciotti e ora della Sea Watch sia stata ridotta a una sceneggiata molto sgradevole con figuranti uomini politici e di governo che ballano macabramente su un palcoscenico fatto di miserie politiche e umane e anche dei tanti morti in quello che era il mare nostrum.
Nel 1547 il cardinale Carlo Caraffa, legato pontificio alla Corte di Francia, espresse questo motto: "Vulgus vult decipi, deinde decipiatur", chi vuole essere ingannato lo sia.
È il caso della nave Diciotti, nave della marina italiana e dell’autorizzazione a procedere penalmente contro il ministro dell’Interno Salvini, per il reato di sequestro di persona aggravato.
Su cui si è innestato un balletto politico mediatico risolto ad ingannare chi non aspetta altro che di esserlo. Nella voluta confusione mediatica dell’oggetto e dei soggetti e delle finalità di un processo penale.
Per trovare una via di uscita all’ altrimenti ovvio e addirittura obbligato sì al processo penale, in base agli orientamenti di sempre dei 5 Stelle, a distanza di alcuni mesi dai fatti, solo in questi giorni e non prima, è stata estratta dal cilindro del mago di turno, e addirittura del presidente Conte, una semipubblica o quasi pubblica, non si sa mai, assunzione collettiva di responsabilità di quanto occorso che ricadrebbe sullo stesso Conte e su tutto il Governo.
Si tratta con evidenza dell’adesione alla linea, che costituisce un dietro front, dei legali di Salvini, che ha improvvisamente deciso che è meglio evitare il processo, prima su Twitter e Facebook era disposto a farsi condannare a qualsiasi pena pur di tenere "duro", ma dopo tutto, devono avergli fatto notare i suoi avvocati o lui stesso, il processo è sempre una brutta bestia, non si sa mai come finisce.
Così facendo, salvando i cavoli con le capre, potrebbero sostenere, vulgus vult decipi diceva il cardinale, che si tratta di un caso diverso dai precedenti che riguardavano singoli illeciti commessi dal ministro indagato e non di atti collegiali, fantomatici nella specie e che trattandosi di atto collegiale si tratterebbe di atto politico, per cui processare un ministro, lesa maestà, sarebbe persecutorio, segno di "fumus persecutionis" nel latinorum che fa fine, che fa capolino in alcune esternazioni degli interessati, tutti rigorosamente ignari peraltro del latino.
Ma non è così, carta canta, gli atti del Tribunale di Catania vanno ripercorsi brevemente per comprendere di che si tratta, e di chi, Salvini e il suo processo e non altri.
Gli altri, Conte e i ministri (ma sono davvero tutti d’accordo nell’incolparsi?), potrebbero essere incolpati e incriminati solo nel caso in cui verrà concessa l’autorizzazione a processare Salvini, unico indagato, almeno per sentirli in sede giudiziaria e ricostruire in tal modo la genesi della decisione ( di sequestrare i 177 della Diciotto, secondo l’atto d’accusa di Catania).
Senza l’azione di un PM il Tributale deli Ministri non può indagare Conte, Di Maio, Toninelli e company.
Accusando se stessi, fermo restando il significato sostanziale della loro responsabilità nell’avere provocato tanta inutile sofferenza ai malcapitati ospiti della nave Diciotti, è come se chiedessero un colpo di spugna, in nome della insindacabilità di loro scelte del tutto contrarie al senso di umanità, oltre che alle leggi.
Tutti colpevoli nessun colpevole, esattamente come Craxi negli anni di tangentopoli, ma lo chiamano cambiamento.
Mentre pesa come un macigno che ostacola le verità sostanziale e il principio della eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, la deroga ancora prevista dalla legge costituzionale 1/1989, sul Tribunale dei ministri per reati ministeriali, del foro speciale domestico privilegiato che i 5 stelle dovrebbero guardare con sfavore, e addirittura con disgusto.
E di cui viceversa si stanno capziosamente impossessando con argomenti da azzeccagarbugli.
L’art. 9 della legge del 1989, anni pre tangentopoli del si salvi chi può, dispone che l’assemblea può "a maggioranza assoluta dei suoi componenti, negare l’autorizzazione a procedere, ove reputi con valutazione insindacabile, che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello stato costituzionalmente rilevante, ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico, nell’esercizio della funzione di governo".
Espressioni di una latitudine e vaghezza estrema che rischia di affogare nell’arbitrio dell’alfieriano volli fortissimamente volli, o non volli (farmi processare).
Valutazioni che riguarderebbero in concreto attribuzioni di un organo giurisdizionale e non assorbite da una pseudo giurisdizione, domestica e addomesticata, che dopo il cane non mangia cane, scopra ora in tempi di tirannide della maggioranza in parlamento, l’arroccamento della maggioranza a difesa di sé stessa, da tutto e contro rutto.
Con una norma del genere qualsiasi detentore del potere titolare di una maggioranza parlamentare scamperebbe a qualunque processo, anche per i fatti più turpi e indecenti.
Legibus soluti.
Viene allora in mente il delitto Matteotti e l’eco malsano e gravido di sventure del discorso alla Camera di Mussolini, 3 gennaio 2015 che assumendosi la responsabilità di tutto inaugurò il periodo delle leggi fascistissime:
Anche allora si ventilava una autorizzazione a procedere.
La parola a Mussolini, 3 gennaio 1925 “…L’articolo 47 dello Statuto dice: «La Camera dei deputati ha il diritto di accusare i ministri del re e di tradurli dinanzi all’Alta corte di giustizia.» Domando formalmente se in questa Camera, o fuori di questa Camera, c’è qualcuno che si voglia valere dell’articolo 47. Il mio discorso sarà quindi chiarissimo, e tale da determinare una chiarificazione assoluta. Voi intendete che dopo aver lungamente camminato insieme con dei compagni di viaggio ai quali del resto andrebbe sempre la nostra gratitudine per quello che hanno fatto, è necessaria una sosta per vedere se la stessa strada con gli stessi compagni può essere ancora percorsa nell’avvenire. Sono io, o signori, che levo in quest’Aula l’accusa contro me stesso. Si è detto che io avrei fondato una Ceka…(omissis)…"
“…Ebbene, io dichiaro qui al cospetto di questa assemblea ed al cospetto di tutto il popolo italiano che assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il Fascismo non è stato che olio di ricino e manganello e non invece una superba passione della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il Fascismo è stato un’associazione a delinquere, se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico, morale, a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato con una propaganda che va dall’intervento fino ad oggi…”.
Interesse dello stato costituzionalmente rilevante?
La sorte di poche persone in balia del mare e in fuga dalla disperazione?
Preminente interesse pubblico? C’e’ bisogno di sequestrare, se così è stato, un pugno di disperati, tra cui donne e bambini? Sarebbe di pubblico interesse che questo sia avvenuto?
Le carte di Catania sono chiare nella specificazione di fatti e responsabilità di condotte specifiche e personali di Salvini e non altri, salvo che non emergano nel dibattimento altre concorrenti responsabilità penalmente rilevanti, le sole che interessano il giudice. E cittadini che non vogliano essere ingannati.
I fatti:
Il 14 agosto 2018 veniva segnalata un’imbarcazione con a bordo diverse decine di soggetti naufraghi di varie nazionalità (in prevalenza eritrea e somala), proveniente dalla Libia, che versava in una situazione molto precaria.
Successivamente, risultando controversa tra le autorità italiane e maltesi la responsabilità per il soccorso dei naufraghi, le motovedette della Guardia costiera italiana intervennero trasferendo i 177 stranieri soccorsi sulla motonave Diciotti.
Dopo tre giorni di stazionamento nelle acque di Lampedusa, dovuto al contrasto tra le autorità italiane e maltesi circa l’individuazione del Paese responsabile dell’indicazione del Pos (place of safety), il 20 agosto la Diciotti riceveva l’autorizzazione ad entrare nel porto di Catania, ma non a sbarcare i migranti della nave. Il Ministro degli interni Salvini (persona fisica) rifiutava, infatti, il rilascio del Pos (e quindi l’autorizzazione allo sbarco), sino a che non fosse sbloccata la trattativa a livello europeo su quali Paesi fossero disponibili ad accogliere i migranti presenti sulla nave.
In considerazione delle difficili condizioni in cui i migranti versavano, costretti a vivere da diversi giorni su un’imbarcazione inadatta ad accogliere un numero così elevato di ospiti, il 22 agosto, a seguito di esplicita richiesta del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minori di Catania, venne autorizzato lo sbarco dei minori non accompagnati, mentre solo il 25 agosto venivano sbarcati tutti gli altri.
Il Tribunale di Catania nelle 650 pagine della sua richiesta di procedere distingue due fasi.
Dal 15 al 16 agosto i migranti vennero tratti a bordo dalla Diciotti, sino all’ingresso nel porto di Catania del 20 agosto; mentre da tale data e sino al 25 agosto i migranti venivano trattenuti sulla Diciotti senza poter sbarcare.
Circa la prima fase, il Tribunale esclude la sussistenza di condotte costituenti reato da parte del Ministro, richiamandosi integralmente alle motivazioni sul punto del Tribunale dei ministri di Palermo(la Procura di Agrigento aveva aperto il procedimento a carico del Ministro, trasferendo gli atti al competente Tribunale dei ministri di Palermo, sul presupposto che fosse penalmente rilevante già lo stazionamento forzato nelle acque di Lampedusa, ma una diversa valutazione di questa prima fase della vicenda aveva indotto i giudici palermitani a trasferire gli atti ai colleghi catanesi, reputando che solo in relazione al trattenimento nel porto di Catania si potesse configurare un fatto penalmente illecito).
Nei cinque giorni (dal 20 al 25 agosto) in cui gli stranieri sono stati bloccati sulla Diciotti nel porto di Catania, il Tribunale di Catania ritiene sussistenti gli estremi della fattispecie di cui all’art. 605, comma 3 (sequestro di persona aggravato dall’abuso della qualità di pubblico ufficiale e della minore età di alcune delle vittime).
Il quadro probatorio usato è ampio, in particolare nella fase istruttoria esperita dallo stesso Tribunale che ha assunto la testimonianza di tutti i membri apicali della catena decisionale che ha condotto alla chiusura per 5 giorni del porto di Catania ai migranti della Diciotti: il Questore, il Prefetto e il Comandante della Capitaneria di porto di Catania, e il capo di gabinetto del Ministero dell’interno e il suo vice.
Né va trascurato il quotidiano esibizionismo solipsistico del Ministro sui social e in Tv di quei giorni, sempre preceduto da un io, io.
Fermo restando al tempo, il silenzio glaciale di Conte, e di Toninelli responsabile dei porti.
Che fece illudere molti seguaci dei 5 stelle circa una diversa linea politico umanitaria sulla immigrazione, anche a fronte di qualche sporadica mezza esternazione dell’ineffabile presidente Fico.
Senonché, la riprova che la condotta di Salvini si è posta contro la legge interna e internazionale e senza che nessuna scriminante politicista possa evitare, così come dovrebbe essere secondo giustizia, il processo, quale mezzo per verificare se l’indagato è colpevole, sta in quanto afferma il Tribunale nella sua analisi del quadro sopranazionale e interno.
Osserva il Tribunale che «l’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso dovere degli Stati e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare. Le Convenzione internazionali in materia, cui l’Italia ha aderito, costituiscono un limite alla potestà legislativa dello Stato e, in base agli artt. 10, 11 e 117 Cost., non possono costituire oggetto di deroga da parte di valutazioni discrezionali dell’autorità politica, assumendo un rango gerarchico superiore rispetto alla disciplina interna» (p. 7).
L’analisi del concreto piano operativo predisposto dalle autorità italiane, in conformità agli obblighi internazionali in materia di soccorso in mare, e disatteso per decisione del ministro indagato, mostra secondo il Tribunale come «ove l’attività di soccorso in mare sia stata effettuata materialmente da unità navali della Guardia costiere italiana, la richiesta di assegnazione del POS debba essere presentata da MRCC Roma (Maritime Rescue Coordination Center) al Centro nazionale di coordinamento (NCC), che poi provvederà all’inoltro della stessa al competente Dipartimento per le libertà civili e per l’immigrazione del Ministero dell’interno, competente all’indicazione del POS ove operare lo sbarco» (p. 12).
Constatata l’indisponibilità di Malta ad indicare un Pos per i migranti, ed una volta autorizzata la Diciotti a dirigersi verso le coste siciliane, le autorità italiane avevano assunto di fatto e di diritto la gestione dei soccorsi, e avevano secondo la normativa internazionale il dovere di indicare nel più breve tempo possibile un Pos ove i naufraghi potessero sbarcare.
Pertanto, afferma il Tribunale, «l’omessa indicazione del POS da parte del Dipartimento per le libertà civili e per l’immigrazione, dietro precise direttive del MdI, ha determinato, dopo che alle ore 23.49 del 20 agosto l’unità navale Diciotti raggiungeva l’ormeggio presso il porto di Catania (così creando le condizioni oggettive per operare lo sbarco), una situazione di costrizione a bordo delle persone soccorse fino alle prime ore del 26 agosto (quando veniva avviata la procedura di sbarco a seguito dell’indicazione del POS nella tarda serata del 25 agosto dal competente Dipartimento, dietro nulla osta del Ministro), con conseguente apprezzabile limitazione della libertà di movimento dei migranti, integrante l’elemento oggettivo del reato contestato. Non vi è dubbio, invero, che la protratta presenza dei migranti per cinque giorni a bordo di una nave ormeggiata sotto il sole in piena estate dopo avere già affrontato un estenuante viaggio durato diversi giorni, la necessità di dormire sul ponte della nave, le condizioni di salute precaria di numerosi migranti, la presenza a bordo di donne e bambini, costituiscono circostanze che manifestano le condizioni di assoluto disagio psico-fisico sofferte dai migranti a causa di una situazione di "costrizione" a bordo non voluta e subita, sì da potersi qualificare come "apprezzabile", e dunque, penalmente rilevante, l’arco temporale di privazione della libertà personale sofferto» (p. 24).
Questi i fatti, bando alle fake!
Una condotta penalmente illecita consistente in un sequestro, nei termini affermati dal giudice, in danno di 177 persone, non può essere un atto politico in democrazia.
(1 febbraio 2019)
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