Caso Eluana, dico alla mia Chiesa: non chiudiamo le porte

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di don Ferdinando Sudati, da “l’Unità”, 18 luglio 2008

Non conosco i particolari della vicenda di Eluana Englaro, contenuti nelle 62 pagine della sentenza della Corte d’appello di Milano che la riguarda e conosco solo per sommi capi i commenti di parte ecclesiastica. Mi sembra, del resto, che non dicano nulla di nuovo e siano riconducibili all’insegnamento contenuto nei documenti ufficiali degli ultimi decenni. Essendo però interessato da molto tempo al problema dell’eutanasia sul versante religioso o teologico, vorrei offrire qualche riflessione, in modo schematico e senza entrare qui nel merito di rigorose distinzioni fra accanimento terapeutico ed eutanasia.
1) La chiesa cattolica, la stessa a cui appartengo, attraverso la voce dei suoi più alti rappresentanti, si sta impegnando a bloccare qualsiasi progetto e, prima ancora, qualsiasi lecita e libera discussione che riguardi l’eutanasia. Ritiene di aver detto l’ultima parola, ma questo non è un bene, non lo è particolarmente in tale materia. Rischia, oltretutto, di aumentare la sofferenza che già c’è nel mondo, ampiamente collegata alla malattia, alla morte e alla stessa scelta eutanasica.
2) Solo una teologia arretrata – cioè ingabbiata in un paradigma arcaico – può ancora far leva sull’equazione eutanasia = rifiuto del dono della vita, quindi offesa al Creatore. Questo, unito al concetto di "natura" e di "legge naturale" immutabile e interpretabile al meglio, per non dire esclusivamente, dalla gerarchia della chiesa cattolica, costituisce il punto nodale di tutta la questione, quello che blocca la riflessione che potrebbe sfociare in un punto di vista nuovo.
3) La teologia curiale, compresa quella accademica, sembra non sospettare ancora quanto sia diventato problematico parlare di "legge naturale" e quindi darne una definizione univoca, cioè valida per sempre e per tutti. Lo stesso dicasi a riguardo di "legge di Dio", "parola di Dio" e "tradizione della Chiesa". La Bibbia e la tradizione della Chiesa non forniscono risposte – men che meno ricette – per situazioni radicalmente nuove che l’umanità sta sperimentando. Molti temi, fra i quali l’eutanasia per come la intendiamo oggi, sono specifici del nostro contesto culturale e non hanno corrispondenti nel mondo della Bibbia e nella storia del cristianesimo. Ciò non toglie che teologi di corte e interessati alla carriera sarebbero in grado con i loro funambolismi di trovare ottime argomentazioni a favore dell’eutanasia e di fondarle anche biblicamente, qualora chi comanda glielo chiedesse, o nel caso perdessero improvvisamente la paura di ammettere limiti di prospettiva ed errori del passato.
4) La chiesa, nei suoi leaders e col supporto di teologi cortigiani, dà tutta l’impressione di voler andare incontro a una specie di nuovo caso Galileo – avendone già diversi al suo attivo -, le cui premesse sono state poste dall’enciclica Evangelium vitae, del 1995, laddove si afferma che "l’eutanasia è una grave violazione della Legge di Dio", che "comporta, a seconda delle circostanze, la malizia propria del suicidio o dell’omicidio" (n. 65). "Tale dottrina – viene precisato – è fondata sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta, è trasmessa dalla Tradizione della Chiesa ed è insegnata dal Magistero ordinario e universale" (ivi). Nel "motu proprio" Ad tuendam fidem, del 30-6-1998, viene ribadita l’illiceità dell’eutanasia, in quanto insegnata come definitiva, appunto, nell’enciclica Evangelium vitae. Il cerchio così sembra perfettamente chiuso. Lo sarà realmente?
5) Oggi un credente potrebbe desiderare – ed effettivamente ottenere – di uscire dalla vita in un momento definito, se è diventata per lui "insopportabile", con un senso di gratitudine verso Dio per il dono dell’esistenza, con grande pace con se stesso e viva riconoscenza per coloro che gli venissero in aiuto. Sono consapevole che in cose di questo genere non mancherà mai l’aspetto problematico, la quota di errore e persino il rischio di abuso, che però sono presenti in tutti i momenti e in tutti i settori della nostra vita privata e associata. Tuttavia, gli aspetti negativi, che una prudente normativa avrebbe il compito di neutralizzare, per quanto possibile, ritengo siano compensati e superati dai vantaggi, primo fra tutti, la consapevolezza che c’è una via d’uscita alla sofferenza e al degrado qualora raggiungessero determinate soglie.
6) Chi ritiene che sofferenza, degrado e tedio del vivere siano comunque superabili con le cure palliative e un clima affettuoso, sposta semplicemente il problema o, piuttosto, cambia le carte in tavola. Posso concedergli la "buona fede", ma dubito che sia totalmente sincero se ha percepito qualcosa del dolore e del degrado di cui sopra; in particolare, sono sicuro che sta godendo di discreta salute.
7) Vorrei che la mia chiesa tenesse aperta la questione teorica e intanto lasciasse aperto, per la libera decisione della coscienza di ognuno e nell’ambito di una saggia legislazione, quello spiraglio misericordioso rappresentato dall’eutanasia, che costituirebbe per molti una importante riserva di serenità, quasi un’assicurazione, di cui magari rinunciare ad avvalersi, contro l’aggressione dell’infermità e della stessa morte.

*Ferdinando Sudati è dal 1972 presbitero in una diocesi del nord Italia. Ha dedicato una particolare attenzione al sacramento della Penitenza e un suo contributo è presente in AA.VV., Confessione addio? Crisi della Penitenza e celebrazione comunitaria, La Meridiana, Molfetta 2005. È anche autore di un saggio in argomento: Le chiavi del paradiso e dell’inferno. Materiale per una riforma della confessione, Marna, Barzago (Lc) 2007. Ha proposto e curato la traduzione di saggi teologici innovativi di area ispanica presso le edizioni Queriniana, Marna, La Meridiana, Dehoniane e Borla.

(22 luglio 2008)



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