Castells, la network society al governo (spagnolo)
Pierfranco Pellizzetti
e Karl Marx perché non funziona. Ora Manuel Castells
riesce a catturare le relazioni economiche e sociali
dell’Età dell’informazione» – The Wall Street Journal
All’uscita della sua celebre trilogia sull’informazionalismo (1996-2000, Blackwell Publishers Ltd, Oxford), il quotidiano britannico the Guardian lo aveva insignito con non poca enfasi del titolo di “Karl Marx e Max Weber del nostro tempo”. Di certo il sociologo poliglotta e cosmopolita Manuel Castells Oliván, neoministro dell’Università nel governo iberico testé nato dall’accordo tra Pedro Sánchez e Pablo Iglesias, sintetizza al meglio filiere intellettuali cresciute in tempi diversi nel suo spazio mentale d’origine: il civismo a scartamento urbano della tradizione catalana e il pensiero delle reti che ha prodotto negli ultimi decenni riflessioni e sperimentazioni di tutto rilievo nella cultura della trasformazione attivata dalla information&communication technology; in Spagna e a Occidente. Con una evoluzione della propria biografia intellettuale: da sociologo della città a studioso delle innovazioni scientifico/tecnologiche nei loro impatti sui mondi della vita, sui processi decisionali e sulle accumulazioni capitalistiche.
Nato nel 1942 a La Mancha e cresciuto a Barcellona, a soli vent’anni Castells fu costretto ad affrontare l’esilio in Francia per sfuggire alla repressione franchista. Laureato e dottorato alla Sorbona, iniziò nel 1967 la carriera di docente prima a Nanterre e poi alla École des Hautes Études di Parigi, dove è cresciuto alla scuola di Alain Touraine. Nel 1979 ottenne la cattedra nell’Università di Berkeley e attualmente insegna comunicazione presso la University of Southern California.
Il contatto con quanto – a partire dai primi anni Settanta – stava avvenendo nella nuova Mecca tecnologica e nei suoi milieux innovativi, con l’improbabile ubicazione dell’industria elettronica americana in un’incantevole area semi-rurale della California settentrionale, tra Stanford e San José (Silicon Valley), portò il giovane sociologo a confrontarsi con le trasformazioni che venivano determinandosi nella nascente società in rete. L’affermarsi del nuovo paradigma tecno/economico modellato da Internet (il Capitalismo dell’informazione) e le relative forme di governance. Come scriverà nel suo saggio Comunicazione e potere del 2009, «il potere è esercitato prevalentemente con la costruzione di significato nella mente umana tramite processi di comunicazione attivati nelle reti multimediali globali/locali della comunicazione di massa»[1]. Questo perché «una rivoluzione tecnologica, incentrata sulle tecnologie dell’informazione, cominciò a ridefinire a rapidi passi, le basi materiali della società. Le economie di tutto il mondo diventarono globalmente interdipendenti, introducendo un nuovo tipo di relazione tra economia, stato e società, in un sistema a geometria variabile»[2].
Lo stravolgimento del Capitalismo dell’informazione e delle sue promesse di grande spazio libertario, approfittando della deregulation neo-Lib e delle paranoie da controllo coercitivo e senza tutele nella nuova Guerra Fredda scatenata dal terrorismo islamico dopo gli attentati dell’11 settembre.
Un esito che Castells aveva prefigurato già vent’anni fa segnalando fenomeni di quella che chiamava già allora “compravendita del comportamento privato”: «utilizzando le conquiste tecnologiche delle imprese commerciali di Internet, i governi hanno portato avanti loro stessi programmi di sorveglianza, combinando i tradizionali metodi con le nuove sofisticate tecnologie»[8]. Ma senza con questo spingersi al punto di condividere l’amara ironia del massmediologo bielorusso Evgeny Morozov; «dopo aver cablato il mondo, la Silicon Valley ci assicura che la magia della tecnologia riempirà ogni angolo delle nostre vite. Secondo questa logica, opporsi all’innovazione tecnologica equivarrebbe a far fallire gli ideali dell’Illuminismo, con Larry Page e Mark Zuckerberg nei panni di novelli Diderot e Voltaire in versione nerd»[9]. Ossia l’azione convergente tra Wall Street e Silicon Valley che ha fatto collassare ciò che rimaneva dello Stato Sociale e mina alle fondamenta lo stesso Stato democratico.
Una visione di nuovo oscurantismo incombente che confligge con l’atteggiamento sostanzialmente ottimistico del nostro amico Castells (ricordo ancora come liquidò con una battura sorridente i miei dubbi sul perdurare della fase capitalistica nel sistema-Mondo: “il Capitalismo è eterno!”). Di certo un riformatore ma non un rivoluzionario. Come si descrive lui stesso introducendo la trilogia dell’informazionalismo: «il progetto che pervade questo libro procede contro le correnti di distruzione e si oppone alle varie forme di nichilismo intellettuale, scetticismo sociale e cinismo politico. Io credo nella razionalità e nella possibilità di ricorrere alla ragione, senza adorarla come una dea. Credo nelle possibilità di un’azione sociale che abbia significato e in una politica di trasformazione, senza necessariamente andare alla deriva verso le mortali rapide dell’utopia assoluta»[10].
Dunque, intimamente un ottimista. Come emergeva chiaramente dalle pagine del suo ultimo libro pubblicato in Italia – Reti di indignazione e di speranza – scritto a margine delle grandi mobilitazioni degli indignados, accampati nella primavera del 2011 nei quartieri di mezzo mondo; a partire dalla madrilena Puerta del Sol. Tanto da scrivere che «la battaglia finale per il cambiamento sociale verrà decisa nella testa delle persone, e in questo senso i movimenti sociali hanno compiuto ottimi progressi a livello internazionale»[11].
Forse non è proprio così, visto che il fatidico 2011 delle affollatissime adunanze contro l’orrore finanziario in 950 città di ben 80 Paesi (e il New York Times scriveva del “ritorno sulla scena della seconda superpotenza mondiale: la mobilitazione della società civile su scala planetaria”) si concluse con i governi che correvano in soccorso del sistema bancario internazionale. Forse varrebbe la pena tenere a mente le amare considerazioni di Simone Weil sulla storia come cimitero di movimenti disarmati, finiti senza nome; a partire dalla tragedia dei Catari: «la storia è sede di un conflitto darwiniano anche più spietato di quello che governa la vita animale e vegetale. I vinti spariscono. Non sono»[12].
Eppure, in questa stagione così buia della nostra vita, un ottimismo che ci piacerebbe condividere. A partire dall’augurio che la presenza di un personaggio del livello di Manuel Castells nella compagine governativa spagnola in avvio possa favorire la riconquista della stabilità in un quadro politico affetto da endemica ingovernabilità. Lo stallo che negli ultimi quattro anni aveva imposto a Madrid il ricorso alle urne per ben altrettante volte.
[2] M. Castells, La nascita della società in rete, Università Bocconi Editore, Milano 2002, pag. 1
[3] M. Foucault, Illuminismo e critica, Donzelli, Roma 1997 pag. 40
[4] M. Castells, La nascita della società, cit. pag. 477
[5] M. Castells, Il potere delle identità, Università Bocconi Editore, Milano 2003 pag. 136
[6] S. Zuboff, Il Capitalismo della sorveglianza, il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri, LUISS. Roma 2019 pag. 295
[7] S. Zuboff, ivi pag. 336
[8] M. Castells, Galassia Internet, Feltrinelli, Milano 2002 pag. 167
[9] E. Morozov, Silicon Valley: i signori del silicio Codice, Torino pag. 5
[10] M. Castells, La nascita, cit. pag. 4
[11] M. Castells, Reti di indignazione e speranza, movimenti sociali nell’era di Internet, Unversità Bocconi Editore, Milano 2012 pag. 198
[12] S. Weil, I Catari e la civiltà mediterranea, Marietti, Genova 1996 pag. 77
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