C’è anche l’associazionismo cattolico tra i “facinorosi” che contestano la Gelmini

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di Valerio Gigante, da www.adista.it

Silvio Berlusconi denuncia la presenza di "facinorosi" all’interno di manifestazioni che, a suo giudizio, avrebbero "l’appoggio della sinistra estrema e dei centri sociali". Ma le massicce proteste delle ultime settimane contro il decreto legge 137 del ministro della Pubblica Istruzione Mariastella Gelmini (definitivamente convertito in legge il 29 ottobre scorso) e la legge 133/2008 (che – a sua volta – ha convertito in legge il decreto legge 112, ossia la manovra finanziaria estiva di Tremonti e Brunetta), oltre a veder coinvolti centinaia di migliaia tra studenti, genitori ed insegnanti, hanno ottenuto il sostegno anche di larga parte del mondo cattolico.
A partire da Famiglia Cristiana, ormai da diversi mesi assai critica nei confronti dell’esecutivo, che sul numero del 26 ottobre titola con nettezza: “Non chiamiamo riforma un semplice taglio di spesa”. E spiega: “Studenti e professori hanno seri motivi per protestare. E non per il voto in condotta o il grembiulino (che possono anche andar bene), ma per i tagli indiscriminati che ‘colpiscono il cuore pulsante di una nazione’, come dice il filosofo Dario Antiseri”. “Il bene della scuola (ma anche del Paese) richiede la sospensione o il ritiro del decreto Gelmini. Per senso di responsabilità”. “Un Paese in crisi trova i soldi per Alitalia e banche: perché non per la scuola? Si richiedono sacrifici alle famiglie, ma costi e privilegi di onorevoli e senatori restano intatti. Quando una Finanziaria s’approva in nove minuti e mezzo; quando, furtivamente, si infilano emendamenti rilevanti tra le pieghe di decreti legge, il Parlamento si squalifica”.

Il Meic: “nessuna finalità educativa”
Preoccupazioni simili quelle espresse dal Meic, il Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale dell’Azione Cattolica, riunito per la sua X Assemblea Nazionale a Roma dal 24 al 26 ottobre scorsi (v. notizia su questo stesso numero). Tra le mozioni approvate nell’ultima giornata dei lavori, ce n’è una che boccia senza appello il decreto Gelmini. I suoi contenuti, si legge nel testo approvato, “non sembrano essere il frutto di un chiaro e coerente disegno pedagogico” e “non manifestano alcuna finalità educativa, salvo che si consideri l’educazione come equivalente ad una più dura disciplina, e la valutazione degli studenti come identica ad una semplice assegnazione di voti numerici”. Il Meic chiede quindi il ritiro immediato delle misure varate dal governo e la loro trasformazione “in un disegno di legge da sottoporre alla discussione del Parlamento e ad un ampio dibattito nella scuola e nella società civile”.

Il Mieac: “Didattica seriamente compromessa”
Per Mieac (il Movimento di Impegno Educativo di Azione Cattolica) con la “riforma” Gelmini “la quantità e la qualità della didattica verranno seriamente compromesse”. “L’Università inoltre, con il drastico taglio dei finanziamenti, dovrà limitare l’attività di ricerca e sarà costretta a dipendere dalle risorse erogate da imprese disponibili a finanziarla e ad aumentare necessariamente le tasse per sostenere le attività”. Secondo il Mieac “nella società della conoscenza, globalizzata e multiculturale l’Italia fa un lungo balzo indietro”. Infatti, il mancato investimento sulla formazione “espone le nuove generazioni al rischio dell’incultura, di essere facilmente espulsi dal sistema produttivo e di non avere competenze e strumenti critici sufficienti per esprimere una cittadinanza attiva e una partecipazione responsabile alla vita del Paese”. Il movimento si sofferma anche sulla proposta di percorsi formativi differenziati per i bambini figli di immigrati che non conoscono bene la lingua italiana: il provvedimento sostenuto dalla Lega “assume connotazioni ‘razziste’ e rievoca alcune delle pagine più tristi della storia recente, come quelle dell’apartheid, soprattutto se lo si inquadra nel contesto delle altre proposte avanzate recentemente: le impronte digitali ai rom, il permesso di soggiorno ‘a punti’, le difficoltà poste al ricongiungimento dei familiari. Una serie di atti che suona propaganda politica, volta ad indicare l’immigrazione come la causa principale dell’insicurezza degli ‘italiani’”.

La Fuci: università a rischio gerontocrazia
Stessi concetti – ma con toni assai più sfumati – quelli espressi dalla Fuci (gli universitari di Azione Cattolica) in un comunicato stilato al termine dell’incontro avuto il 25 ottobre con la Gelmini, nell’ambito delle consultazioni del ministro con le associazioni universitarie. Il decreto, scrivono i fucini, desta, “perplessità e preoccupazione”. E aggiungono: “Pur non partecipando in questi giorni alle proteste in piazza, stile estraneo alla Federazione, nutriamo riserve sul metodo e sui contenuti di tale provvedimento”. Una riforma dell’università, continuano, deve essere “quanto più condivisa: per fare questo necessita la concertazione di tutti i soggetti che gravitano attorno all’università”. “L’Università italiana vive una fase di profonda criticità e necessita quindi di cambiare e regolamentarsi. Eppure crediamo che sia sbagliato farlo attraverso tagli alle risorse in maniera così indiscriminata come prospettato dal decreto 133”. Il pericolo più serio, per la Fuci, “è che ad essere colpiti siano soprattutto i soggetti più deboli: studenti e ricercatori”. Per quanto riguarda la ricerca, “il pericolo principale è che, con la possibilità per gli atenei di trasformarsi in fondazioni private, i progetti possano essere commissionati dai finanziatori di turno, a scapito della ricerca di base”.

Acli e Beati: non si riforma con i tagli
Prendono posizione sulla scuola anche Acli e Beati i Costruttori di Pace che hanno sottoscritto – insieme ad Arci, Tavola della Pace, Legambiente e diverse altre organizzazioni impegnate nel sociale – un appello intitolato “Per una scuola capace di futuro”. “Pensiamo che sia un errore legiferare per decreto su questa materia”, recita il testo dell’appello. In ogni caso, “la scuola non può essere rinnovata guardando al passato, né tanto meno seguendo priorità di cassa. Sappiamo bene che ci sono risparmi possibili, ma sappiamo anche che la scuola ha bisogno di investimenti. I tagli di spesa indiscriminati non sono compatibili con la necessaria opera di riqualificazione”.

La piazza non piace alla Cei
“È una scelta difficile procedere su questi problemi a colpi di decreti legge, ma dall’altra parte mi sembra inutile se non addirittura dannoso intervenire agitando le piazze”, ha invece affermato mons. Diego Coletti , vescovo di Como e presidente della commissione Cei per la scuola, intervistato da Radio Vaticana (27/10). A queste dichiarazioni ha reagito con durezza il presidente delle Acli della provincia di Arezzo Enrico Fiori: “Invece di giudicare inutile o dannosa una protesta bisognerebbe prima di tutto ascoltare e cercare di capire. Stupisce che chi ha portato in piazza, con il Family Day, il cosiddetto popolo cattolico contro i Dico, ora disapprovi chi lotta per difendere il proprio futuro e lo fa in maniera colorita, con fiaccolate, autogestioni e lezioni all’aperto”.

Alcuni numeri sulla “riforma”
Che i provvedimenti del governo non si possano affatto considerare una “riforma” della scuola, quanto piuttosto un taglio indiscriminato delle risorse per tutto il sistema dell’istruzio
ne, dalla scuola primaria all’università, è provato già dal titolo della legge n. 133 del 6 agosto, "Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria". Occorre attendere l’art. 64 (in tutto gli articoli sono 85) per arrivare al capitolo istruzione: "Disposizioni in materia di organizzazione scolastica". E anche lì, al capo II, si parla chiaramente di "Contenimento della spesa per il pubblico impiego". E il decreto Gelmini non fa che riferirsi esplicitamente alle disposizioni di Brunetta e Tremonti in ordine alla necessità dei tagli (all’art. 4 – quello sul maestro unico – il decreto della Gelmini afferma infatti che tale cambiamento avviene “nell’ambito degli obiettivi di contenimento di cui all’articolo 64 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112”).
Del resto, i numeri parlano chiaro: per l’Università, riduzione annuale, fino al 2013, del Fondo di Finanziamento Ordinario (63,5 milioni di euro per l’anno 2009, 190 milioni di euro per l’anno 2010, 316 milioni di euro per l’anno 2011, 417 milioni di euro per l’anno 2012 e 455 milioni di euro a decorrere dall’anno 2013: considerando che l’importo complessivo del Ffo ammonta a circa 7.000 milioni di euro, i tagli vanno da un -1% circa del 2009, fino a un -7% circa del 2013) e riduzione del 46% sulle spese di funzionamento; e trasformazione degli atenei fondazioni di diritto privato. Inoltre, solo il 20 per cento dei professori che andranno in pensione non verrà sostituito. Per le nuove generazioni l’accesso all’insegnamento universitario sarà perciò difficilissimo.
Per quanto riguarda la scuola primaria e secondaria, invece, è prevista una diminuzione dei finanziamenti di circa 8 miliardi di euro (ossia il 20% del bilancio totale della scuola), la riduzione di organico di circa 100mila insegnanti e 45mila dipendenti tra personale tecnico e ausiliario, aumento quindi del rapporto docenti/alunni. Gli enti locali dovranno inoltre provvedere al ridimensionamento della rete scolastica con l’accorpamento delle scuole con meno di 500 alunni e la chiusura dei plessi con meno di 50 alunni.

(6 novembre 2008)



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