Charlie Hebdo e la schizofrenia della sinistra francese

Valentino Salvatore

Una deputata nera dipinta come una schiava in catene fa scoppiare la polemica in Francia. E riapre la spaccatura tra due anime della sinistra, che ormai si guardano in cagnesco. A separarle, proprio le divergenze su laicità, identitarismo e multiculturalismo.
, da blog.uaar.it
Il settimanale di estrema destra Valeurs Actuelles pubblica una rubrica di “fiction” che ha come protagonisti politici e intellettuali, di volta in volta calati in epoche storiche passate. Stavolta tocca alla deputata di sinistra Danièle Obono, nera originaria del Gabon, che viene rappresentata – guarda caso – come una schiava con tanto di catena al collo. Si scatena il putiferio per una immagine che non è difficile definire razzista. La redazione del settimanale tenta malamente di giustificarsi sostenendo di raccontare il dramma dello schiavismo in polemica con gli «indigenisti», che invece vogliono «scaricare le responsabilità di questa insostenibile tratta solo sugli europei». La parlamentare, giovane e combattiva portavoce del partito di Jean-Luc Mélenchon La France Insoumise, riceve una solidarietà ampia e trasversale, anche dal presidente della Repubblica Emmanuel Macron.

In tutto questo arriva pesantemente proprio Mélenchon, che con un tweet mette nello stesso calderone del «bullismo nauseabondo» contro la deputata, assieme a Valeurs Actuelles, anche il periodico liberale e laico Marianne e la rivista satirica Charlie Hebdo. Il suo intervento scoperchia un certo risentimento, diffuso tra quella sinistra radicale che ha imboccato la strada dell’identitarismo antirazzista, nei confronti della sinistra di ispirazione laica e universalista. Tra le due sinistre c’è ormai una divergenza sempre più netta.

Succede a pochi giorni dall’apertura del processo per la strage islamista del 2015 alla redazione di Charlie Hebdo. Nella risposta di questo settimanale, che ci tiene a esprimere «disgusto» per l’articolo di Valeurs Actuelles, si fa notare che Obono è stata criticata a prescindere dal colore della pelle, «per le sue idee anti-laiche, la sua vicinanza agli Indigènes de la République, la sua indulgenza verso l’islamismo radicale e le sue ossessioni identitarie». Il settimanale si toglie qualche sassolino dalla scarpa, dato che Obono ha polemizzato con Charlie entrando a far parte del coro che l’ha dipinto come islamofobo e razzista, e non ha voluto esprimere sostegno persino a pochi giorni dal massacro. Anche in una recente intervista televisiva, la deputata ha dichiarato che «tutti dobbiamo piangere i morti, ma Charlie è un’altra cosa», lanciandosi contro l’uso talvolta strumentale dello slogan “Je suis Charlie” e lamentando di essere oggetto di razzismo anche da chi si proclamerebbe “Charlie”. Quasi ignorando che i redattori del settimanale erano tra le vittime.

La deputata ha una storia di militanza nell’ultra-sinistra. È vicina agli ambienti degli Indigènes de la République, movimento di matrice antirazzista e “decoloniale” che si presenta come voce dei quartieri popolari con forte concentrazione di minoranze, etniche e religiose. Ma la condivisibile lotta contro il razzismo – particolarmente sentita, data la tragica storia coloniale della Francia – e a sostegno di categorie disagiate può avere lati oscuri. Il movimento infatti si distingue per decise prese di posizione a favore del comunitarismo e delle istanze dei movimenti identitari, spesso islamici conservatori e, di converso, per la manica larga nel dare etichette di “razzista” o “islamofobo”. A farne le spese il concetto di laicità, bistrattato dal movimento perché considerato uno strumento di oppressione usato dal potere e dai privilegiati per assimilare le identità divergenti. Obono si inserisce in questo filone di pensiero radicale che ormai contraddistingue una fetta della sinistra. Quando nel 2017 il ministro dell’Istruzione Jean-Michel Blanquer aveva denunciato il «separatismo islamista», ormai una realtà radicata in certe realtà del paese, l’aveva accusato inopinatamente di razzismo. Che sta ormai tristemente diventando una risposta di default a chiunque voglia contestare fenomeni di integralismo islamico.

Una giornalista schiettamente laica e di sinistra come Caroline Fourest in passato ha criticato Obono, ma le ha espresso solidarietà di fronte all’attacco razzista. Fourest ha pubblicato qualche mese fa Génération offensée, un libro che prende di petto la degenerazione di certi movimenti progressisti, a partire dagli Usa, su temi come appropriazione culturale, identitarismo e tendenza (auto)segregazionista. E che non può non far pensare anche a personalità come Obono. Già nel 2017 Fourest citava le tirate di Obono contro Charlie Hebdo e contro la legge che vietava di ostentare simboli religiosi nelle scuole. Inoltre denunciava la deriva dallo spauracchio “islamofobia” alla (voluta) confusione internettiana tra «fasciosfera» e «laicosfera», per tacitare ogni critica all’integralismo.

Tra le tante voci intervenute nel dibattito esploso dal frullato anti-laico di Mélenchon, è interessante citare Henri Peña-Ruiz, autorevole filosofo della laicità e storico intellettuale di riferimento per la sinistra francese. Proprio su Marianne ha ricordato l’importanza dell’universalismo laico per le lotte della sinistra. E messo in guardia dalla logica degli opposti estremismi, che porta parte della sinistra a svilire la laicità perché la ritiene ormai di destra. Per meglio dire «usurpata», ricorda Peña-Ruiz, da formazioni come il Rassemblement National (la nuova etichetta del Front National capeggiato da Marine Le Pen), con campagne anti-islam e pro-cattoliche. Così per reazione gruppi come gli Indigènes vedono la laicità come una sorta di «razzismo di stato legato al colonialismo». Non può mancare il rimando alla Lettera ai truffatori dell’islamofobia che fanno il gioco dei razzisti, pamphlet uscito postumo di Charb, ex direttore di Charlie Hebdo tra le vittime del massacro. In cui il compianto vignettista insisteva sulla differenza, da ribadire, tra la legittima critica a una religione e l’odiosa intolleranza verso le persone provenienti da altri contesti culturali.

Negli stessi giorni Charlie Hebdo ha deciso di pubblicare le vignette di satira verso l’islam e Maometto che avevano scatenato i terroristi. Non in maniera gratuita, ma alla vigilia del processo per il massacro alla redazione. Per ricordare, ha scritto nell’editoriale il direttore Riss, che «non ci nasconderemo». Per solidarietà rappresentanti dell’unione degli studenti ebrei di Francia hanno tappezzato Parigi di manifesti con le vignette del settimanale. Che non è mai stato tenero neanche con i fondamentalisti ebraici. Il presidente Macron, durante la recente visita in Libano, non solo ha difeso la libertà di stampa ma ha ricordato che in Francia «la libertà di blasfemia» è legata alla libertà di coscienza e che lui si impegna a tutelarle. Parole – inconcepibili in Italia – che hanno dato vita a un caso diplomatico con alcuni paesi musulmani, in particolare la Turchia che ormai aspira, sotto il regime di Erdogan, a diventare portabandiera dell’islam conservatore.

Che ne pensano i francesi di queste vignette? La maggioranza dell’opinione pubblica, stando ai sondaggi, è d’accordo con la pubblicazione dei disegni “blasfemi”. Nel 2006, quando uscirono per la prima volta, la reazione fu opposta. L’antipatia espressa dai musulmani è prevedibile e preoccupante la “zona grigia” che non condanna gli attacchi al settimanale satirico. La vera doccia fredda arriva soprattutto dalle giovani generazioni. Quasi la metà degli under 25 si è detta contraria alla pubblicazione di certi contenuti da parte della stampa. Secondo gli autori delle ricerche, qui entrano in gioco le idee di rispetto e tolleranza declinate in senso contemporaneo verso minoranze percepite come «dominate». Segno che le retoriche del “privilegio” (“non puoi parlare di certe cose perché sei…”) e dell’ipersensibilità a tutti i costi (“questa cosa mi urta quindi va censurata”), ormai abitudine in certi contesti di sinistra, hanno fatto breccia tra i giovani. E torniamo ai temi sollevati proprio da Fourest nel suo ultimo libro.

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Lo spettacolo della gauche che rinnega le radici illuministe e le baratta con l’indulgenza verso islamismo e comunitarismo porta diverse personalità a prenderne le distanze. Emblematica la sterzata di Michel Onfray, intellettuale che ha rilanciato il pensiero ateo, cresciuto negli ambienti della sinistra libertaria. Ora è direttore del nuovo trimestrale Front Populaire, che aspira a riunire le voci del “sovranismo”. Anche quelle che potremmo definire “rossobrune”: tra umori anticapitalisti e antieuropeisti, critica all’immigrazione (e paura dell’islamizzazione), polemiche dei transfughi da partiti di sinistra.

La variegata compagine progressista affronta oggi una delle tante spaccature della sua storia. Tramontate le ideologie, la parte più giovane e dinamica dei militanti rischia di abbandonare la concezione universalista – bollata come privilegiata, bianca e borghese – per ripiegarsi nelle identità di nicchia. Lasciando così davvero il campo aperto alla destra e togliendo spazio a coloro che osano dichiararsi laici. Perché la laicità è uno dei presupposti per avanzamento sociale, pluralismo e concreta uguaglianza, a prescindere da pelle e religione. Forse c’è bisogno di una nuova generazione meno attenta all’etichetta, alle etichette e alle diatribe social, che faccia evolvere la grande tradizione (e le grandi speranze) dell’illuminismo. Che può essere un patrimonio di tutti e per tutti.





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