Che cos’è la laicità
Nell’odierna Torre di Babele, creata forse ad arte dall’attuale offensiva clericale, che cos’è la laicità? Quasi tutti ne parlano, ma quasi nessuno sa bene di che cosa parla. Un ufo, un oggetto sconosciuto, misterioso! Proviamo a fare un po’ di chiarezza.
Laicità significa almeno tre cose: 1) netta separazione tra Stato e Chiesa; 2) pluralismo democratico; 3) relativismo filosofico.
Lo Stato è laico se la Chiesa non è statale, se non c’è, di fatto o di diritto, una religione di Stato. I precetti di una chiesa valgono per i suoi fedeli, non per i non credenti, o i credenti in altre fedi e in altre chiese. Dunque, non possono diventare leggi dello Stato, obbligatorie e sanzionatorie per tutti. Lo Stato laico consente a tutti la libertà di divorziare, abortire, ricorrere all’eutanasia o alla procreazione assistita, ma non impone a nessuno di farlo. Né punisce chi non lo fa. La Chiesa cattolica, attraverso lo Stato (governo, parlamento, magistratura), vorrebbe invece imporre i suoi precetti religiosi a tutti (cioè non solo ai cittadini cattolici, ma anche a cittadini di altre fedi, o atei e agnostici). Non è assurdo? Ciò si chiama teocrazia, Stato confessionale, o etico. Saremmo ad uno Stato che fa tutto quello che la Chiesa gli detta! Non è questo il progetto tutt’altro che segreto di Benedetto XVI, Ruini e Bagnasco?
Al contrario, democrazia è pluralismo, riconoscimento della libertà e dei diritti di tutti, credenti e non credenti, senza obbligo degli uni a uniformarsi alle scelte etiche degli altri; in conformità al principio che la mia libertà finisce dove comincia la tua. E viceversa. Che cosa implica, infine, il pluralismo se non il relativismo filosofico? E cioè l’idea che verità e valori, mai assoluti, ma relativi e fallibili, sono faticose costruzioni umane, frutto del processo tortuoso e spesso tragico della storia umana?
Se è vero che senza Stato autonomo dalla Chiesa non c’è democrazia, è anche vero che non c’è democrazia senza relativismo.
La laicità è una e trina. Come il Dio di Ratzinger, che però, a suo dire, è «il Grande Sconosciuto». E allora perché volere imporre precetti, leggi e decreti in suo nome?
Michele Martelli
(6 ottobre 2008)
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