Che fine ha fatto l’opinione pubblica italiana?
Cosa rende un Paese democratico? Anzi, “realmente democratico”, visto che le parole sono importanti?
Le sue leggi, forse. La sua cultura, la sua storia. Certamente la comune identificazione in un insieme di ideali onesti, di principi equi.
Forse per questo il nostro Paese stenta ad avere un sentire comune. Non c’è coesione, ma smarrimento. Anzi, una rabbia profonda tra due rive opposte e lontane. Chi è con LUI e chi no.
Certo, la nostra non è una situazione disperata, bensì odiosa, perché resa tale da una metodica azione di disfacimento del sapere.
Mancano informazioni. Manca quella conoscenza che è vitale se si ambisce a costruire un progresso libero, oggettivo, endemico. Anzi, si tagliano gli investimenti pubblici in Ricerca, si indebolisce la spina dorsale del futuro prossimo, si progetta la creazione di una platea superficiale e sorda, si inibisce la comunicazione di massa verso un pensiero unico. Si premia chi contribuisce ad evitare il pluralismo.
Ecco, questa Italia, che addita gli impiegati della Pubblica Amministrazione come male da curare e lascia stare chi froda il fisco, chi corrompe, chi commette azioni illecite come il falso in bilancio o lo sfruttamento del lavoro in nero, quindi l’aggiramento delle leggi sulla sicurezza nella costruzione di case come nei cantieri e non tocca con un dito personaggi che guidano il sistema creditizio con carichi pendenti per usura e frode, anzi arriva ad affidare a imprenditori con la fedina penale sporca la compagnia di bandiera facendo pagare i debiti agli italiani, non è un Paese civile. Non lo è quando nasconde l’immondizia sotto il tappeto. Non lo è quando respinge extracomunitari disperati, vittime di sistemi illeciti assolutamente noti, voluti da chi da un lato guadagna denaro insanguinato e dall’altro arma la pubblica opinione, svendendo alla massa terrore a buon mercato. Questa Italia è, semplicemente, corrotta.
E tutto pare ormai “normale”. Il revisionismo si mischia al particolarismo, con ampi sorrisi di circostanza.
Così, si creano eventi ad hoc per distrarre l’attenzione, per sviare il problema. Tutto viene calmierato dal giorno per giorno, con prodigiose opere di vuoto comunicativo. Basta che la gente senta parlare d’altro, venga ammaliata da palloni, gossip, chiappe e lustrini, come si dà mangime alle vacche chiuse in stalla e non più condotte libere sui campi.
Non è forse l’ignoranza il sale di questa finta democrazia?
Quello che si vede è un paese in mano a pochi trafficanti di interessi, usurpatori della storia recente e remota, avvelenatori per mestiere del progresso diffuso, piazzisti di finte ideologie, animatori di villaggi catodici, politicanti avversari davanti alle telecamere e conviviali dietro le quinte.
Dov’è in tutto questo la pubblica opinione? Esiste più una pubblica opinione? Esiste anche la sola possibilità di confrontarsi su temi reali da parte di questa partitocrazia di cartone? Perché dobbiamo rassegnarci a questo odore stantio di regressione e far finta che la convenienza di pochi sia il bene del Paese? Dove sono gli italiani? Sono questo gli italiani?
Giuseppe Anelli, Viterbo
(21 maggio 2009)
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