Chiesa cattolica e gay che credono, la strada del dialogo è ancora in salita

Ilaria Donatio

Parliamo di Chiesa cattolica e di persone omosessuali: non di tutte, naturalmente. Solo di quelle interessate a farne parte.

Sappiamo dal primo Forum dei Cristiani Omosessuali Italiani che si svolse due anni alle porte di Roma, Albano Laziale, che in Italia sono attivi ventotto gruppi di gay e lesbiche cristiani, accanto a persone transgender. A due anni di distanza, si è appena concluso il secondo Forum che ha riunito ventitré gruppi di cristiani omosessuali italiani, i quali a loro volta raccolgono 482 aderenti, in maggioranza uomini (84%). Il meeting, quest’anno, è stato dedicato a un tema preciso e il questionario a risposta multipla, predisposto dal gruppo di lavoro “Dialogo con le chiese” del Forum stesso, è servito a rispondere a una domanda altrettanto puntuale: quale grado di dialogo esiste tra i diversi gruppi e le comunità cristiane in cui essi operano? Vale a dire, dal vescovo in giù: parroci, sacerdoti, pastori e organismi diocesani, ma anche semplici cittadini.

"Il Rapporto 2012 è il primo tentativo in Italia di fornire dati oggettivi che facciano luce sull’accoglienza dei cristiani omosessuali nelle chiese italiane", spiega Innocenzo Pontillo del progetto Gionata (gionata.org), che mette insieme – grazie al lavoro di volontari e volontarie che fanno capo ai diversi gruppi – esperienze, approfondimenti, storie, documenti internazionali tradotti in italiano, interviste, tutti dedicati al rapporto tra omosessualità e fede.

Cosa viene fuori dal Rapporto? Diverse conferme e qualche sorpresa.
Intanto, eccetto tre gruppi che hanno scelto di darsi uno statuto giuridico, scegliendo la forma associativa (Il Guado di Milano, Nuova Proposta di Roma, La Parola di Vicenza), il resto non è così strutturato e la sua connotazione resta informale. Inoltre, la stragrande maggioranza di loro preferisce la denominazione di “gruppo cristiano”, forse per rispettare le diverse sensibilità che animano ciascuna realtà.

La prima sorpresa: veniamo a sapere che luogo di riunione è, nel 52 per cento dei casi, una struttura della Chiesa cattolica, nel 22 per cento la chiesa evangelica valdese, e solo nel 4 per cento è la sede di un’associazione Lgbt. Dunque, la Chiesa cattolica aprirebbe le proprie porte in coerenza con l’indicazione dell’accoglienza evangelica!

Purtroppo, queste cifre vanno però lette accanto ad altre, assai significative, risposte: se nel 60 per cento dei casi, a quanto pare, la maggior parte delle persone appartenenti alla comunità cattolica che accoglie il gruppo lo conosce, è consapevole delle sue finalità e delle sue attività, il 40 per cento delle volte – che non è affatto poco – questa informazione è ristretta solo ad alcuni membri della comunità. Mentre, è interessante notare che quando il gruppo è ospitato dalla chiesa valdese, la percentuale di conoscenza del gruppo da parte delle persone supera il 75 per cento.

Ancora, altri dati ci rivelano che l’ospitalità da parte della Chiesa cattolica avviene, nel 64 per cento delle volte, all’interno delle parrocchie, nel 21 in locali diocesani o di ordini religiosi femminili, mentre presso gli ordini religiosi maschili i gruppi sono accolti solo nel 7 per cento dei casi. E allora ci chiediamo: di cosa mai avranno paura questi ultimi che invece suore e religiose non temono?

Una buona fetta dei gruppi di cristiani omosessuali (pari al 39 per cento), poi, non organizza attività pubbliche: accanto all’ipotesi che non nutra interesse in tal senso, possiamo immaginare che non voglia essere visibile, o ne abbia paura, per non ricevere rimostranze e dover rinunciare a ricevere ospitalità. Tuttavia, è anche vero che circa la metà dei gruppi accolti in realtà cattoliche (43 per cento) ha organizzato veglie di preghiera per le vittime dell’omofobia in chiese cattoliche. In generale, la maggioranza dei gruppi ha collaborato o è stata invitata a partecipare ad iniziative con parrocchie o altri gruppi ecclesiali. Ma è opportuno ricordare, in questa sede, la coraggiosa e trasparente presa di posizione del gruppo Ali d’Aquila di Palermo che a lungo ha chiesto di incontrare il proprio vescovo, monsignor Romeo, ma questi, dopo aver finalmente concesso udienza ai giovani, ha comunque posto il veto all’organizzazione di un incontro di preghiera – sì, non un gay pride, non un sit-in di protesta, non una carnevalata – in chiesa.
Insomma, un unico incontro formale, potremmo dire burocratico, cui non ha fatto seguito un dialogo reale, anche come segno della famigerata accoglienza, che si conferma essere un termine fin troppo abusato sugli altari, e assai poco "frequentato" nella realtà.

Tirando le somme, dunque, se è vero che la Chiesa cattolica degli ultimi anni, soprattutto nell’ambito delle realtà parrocchiali, si è distinta per una maggiore disponibilità – ma ancor più quella Valdese che, in Italia, è una realtà numericamente molto ridotta ma animata da un forte spirito di accoglienza – è altrettanto evidente che spesso il dialogo funziona solo dal basso e che nella gran parte dei casi, è del tutto assente con le gerarchie: il 68% dei gruppi di cristiani omosessuali italiani ha provato a dialogare col proprio vescovo, il 65% lo ha incontrato (undici gruppi), ma a conti fatti la pastorale per le persone omosessuali è attualmente presente ufficialmente solo in tre diocesi (Parma, Cremona e Torino). Ricordiamo a chi non lo sapesse, che proprio la pastorale dedicata alle persone omosessuali (il documento "De pastorali personarum homosexualium cura" – Cura pastorale delle persone omosessuali – è stato emanato dalla Congregazione per la dottrina della fede nel 1986, a firma dell’allora cardinale Joseph Ratzinger), è lo strumento indicato dal magistero della Chiesa per affiancare e assistere i gay e le lesbiche che credono nel loro percorso di fede.

Quanto al dialogo con le realtà esterne, dal Rapporto emerge una buona disponibilità di alcune associazioni laicali (Noi siamo chiesa, Pax Christi, Azione Cattolica) mentre sono totalmente assenti, e non ce ne stupiamo affatto, altre sigle importanti del laicato cattolico come Comunione e Liberazione, focolarini e neo-catecumenali.

Per concludere, il Rapporto 2012 fotografa la ben nota dicotomia che esiste tra Magistero cattolico ufficiale – che definisce "peccaminosi" gli atti omosessuali ma invita ad accogliere e rispettare le singole persone – e le realtà sul territorio, che sono poi le diverse articolazioni con cui la Chiesa cattolica è presente nel Paese (parrocchie, comunità religiose e così via).

Una divaricazione su cui, a livello ufficiale, la Chiesa delle gerarchie non accenna minimamente ad avviare una riflessione in chiave autocritica: a quanto pare, questo doppio, ipocrita registro sta bene a tutti. Da un lato, c’è il Magistero che prevede per la persona omosessuale solo una vita di continenza e un’affettività incompleta, dall’altro ci sono i tanti sacerdoti che vivono vicini a queste persone, nelle parrocchie e nelle comunità religiose, le accolgono e incoraggiano nel loro cammino di fede. Non di rado, insieme al rispettivo compagno/a di vita.

A conti fatti una divaricazione ben più pesante, perché a farne le spese sono persone in carne ed ossa. Un vero paradosso per un’istituzione che lamenta chiese sempre più vuote e desolate, e che però ancora nega ad alcuni dei suoi fedeli il diritto di appartenere
alla propria comunità, a prescindere dalla relativa identità sessuale.

Una contraddizione assurda che passa tra precetti scritti da uomini e che restano lettera inascoltata e inosservata e la realtà viva, di tutti giorni, animata da ministri di buona volontà, che operano, spesso, in modo da fare il meno rumore possibile. Per permettere a uomini e donne come loro di trovare un posto nella Chiesa di Dio. Quella che dovrebbe essere aperta a tutti. E non solo ai "tesserati".

(3 aprile 2012)



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