Chiesa e Berlusconi, una risposta alle bassezze del vescovo Negri

Enzo Mazzi

, da il manifesto, 1 marzo 2011

Al peggio non c’è mai fine: questa è la reazione immediata che ho avuto di fronte alle incredibili affermazioni di mons. Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro, esponente di primo piano della Cei, pubblicate da La Stampa di ieri in una intervista di Giacomo Galeazzi.

Merita leggerne qualche brano per rendersi conto della bassezza etica a cui è giunta tutta una parte della gerarchia cattolica italiana e vaticana, forse quella che conta e in ogni caso quella che parla, a parte qualche eccezione. «Ci sono le condizioni per orientare cattolicamente la restante parte della legislatura verso i principi non negoziabili: vita, famiglia, libertà di istruzione – dice il prelato, non a caso ciellino, e rincara la dose – Le incoerenze etiche di un governante non distruggono il benessere e la libertà del popolo, gli attacchi alla famiglia e alla sacralità della vita devastano la vita sociale … Un politico è più o meno apprezzabile moralmente in base a quanto si impegna a vantaggio del bene comune, cioè di un popolo che viva bene e di una Chiesa che operi in piena libertà.

Non è edificante sentir evocare anche in ambienti cattolici l’indignazione, il disprezzo, l’odio verso l’avversario politico. A far male alla società sono i Dico, la legislazione laicista, la moralità teorizzata e praticata da quanti ci inondano di chiacchiere sulla rilevanza pubblica di taluni comportamenti privati … La moralità personale è importante e Berlusconi va richiamato come tutti, ma nella sua storia la Chiesa interviene sulla promozione del bene comune e su ciò valuta un’autorità pubblica. In due anni e mezzo i cattolici potranno incidere di più sulla vita politica e sociale, per esempio contro i registri delle coppie di fatto e il sì al farmaco abortivo Ru486».

C’è chi evoca la simonia e il mercato delle indulgenze. «La Chiesa simoniaca di Ratzinger Bertone e Bagnasco sabato ha riscosso il suo prezzo – su Micromega – siamo tornati, cioè, alla vendita delle indulgenze, un regresso di alcuni secoli».
Non mi piacciono le denuncie enfatiche e le sparate mediatiche oggi tanto di moda. Mi costa anche rimestare continuamente in questa melma maleodorante e pestifera che sa di putrefazione, mentre tanto sangue corre nei paesi del Nord Africa nel doloroso parto di un mondo nuovo. Ma come non dare ragione a D’Arcais?

Questa la prima reazione che ho provato. Poi però ho volto lo sguardo al positivo crescere continuo di prese di posizioni pubbliche di cattolici, non solo laici ma anche pastori. E mi son detto: non tutto il male vien per nuocere. Certo è un po’ frustrante che si debba sempre toccare il fondo per aprire gli occhi e trovare la forza della denuncia profetica. Di fatto però è quello che sta accadendo.

Sono consapevole dei rischi di prendere la parola in un mondo, quello ecclesiastico, dove la parola è prima di tutto rivelazione, Verbo incarnato. Non credo però che la Parola di Dio annulli le parole umane. Ritengo anzi che le valorizzi e le ispiri, non soltanto quelle dei pastori e non solo dall’esterno ma anche dall’interno delle coscienze dei credenti. «Il Signore Dio ha parlato: chi può non profetare?» dice il profeta Amos che era un povero pecoraio di Tekoa.

Penso che siano considerazioni come queste a indurre parroci, religiosi e suore a rompere il silenzio. Non vanno lasciati soli. Meritano rispetto e solidarietà. La scelta di parlare non deve essere stata facile. Se lo hanno fatto è perché hanno avvertito e sofferto il montare di un grande disagio fino al disgusto e alla perdita di fede nelle comunità in mezzo a cui vivono e che animano. Nella Chiesa si stanno moltiplicando i segni e i semi di una nuova stagione di profetismo rinnovatore. E si sta rompendo quella specie di omertà da paura di vescovi, teologi, preti e laici muti e immobili di fronte a un ciclone che scuote le fondamenta dell’istituzione ecclesiastica.

Qualcuno invoca un nuovo Concilio aperto a tutto il Popolo di Dio e non solo ai vescovi. Fermarsi tutti, ascoltare lo Spirito che preme anche oggi per «fare nuove tutte le cose» e discutere insieme dell’assetto istituzionale ecclesiastico che dimostra di non reggere più di fronte alle sfide di un mondo nuovo che sta nascendo.

(1 marzo 2011)

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