Chiesa e omosessualità, intervista a Vito Mancuso
Pasquale Quaranta
, da Pride, maggio 2012
Vito Mancuso è docente universitario di teologia moderna e contemporanea ed editorialista del quotidiano la Repubblica. Nel 1986, all’età di 23 anni, è stato ordinato prete dal cardinale Carlo Maria Martini. Un anno dopo ha chiesto di essere dispensato dall’attività pastorale e di dedicarsi solo allo studio della teologia. Ricevuta la dispensa papale dal celibato, si è sposato e ha avuto due figli. I suoi scritti hanno suscitato interesse da parte del pubblico, come L’anima e il suo destino (un caso editoriale: 80 mila copie vendute in pochi mesi) e La vita autentica, editi entrambi da Raffaello Cortina, ma hanno ricevuto anche severe critiche.
Il vasto fronte conservatore interno alla chiesa cattolica attacca la teologia laica di Mancuso, accusandolo più o meno esplicitamente di eresia per l’indipendenza dei suoi ragionamenti dalla dottrina ufficiale e per la sua volontà di dialogare seza tabù con la cultura contemporanea. Di questo dialogo “eretico” fa parte anche il confronto impegnato con il tema dell’omosessualità, che ha portato Vito Mancuso a partecipare lo scorso 31 marzo al Forum dei cristiani omosessuali di Albano Laziale, alle porte di Roma, che si è svolto presso una sala messa a disposizione dalla congregazione dei padri somaschi su richiesta dei volontari del progetto Gionata. È in questa sede che lo abbiamo ascoltato, incontrato e gli abbiamo rivolto alcune domande.
Cosa ha da dire la sua teologia alle persone omosessuali?
Se non si sciolgono le barriere della mente anche quelle del cuore fanno fatica. Per questo la nostra chiesa da secoli fa fatica ad accogliere l’amore omosessuale. Non per cattiveria, ma per alcuni problemi mentali. Senza conoscenza non si può accogliere.
Quali problemi ha dunque la chiesa cattolica con le persone omosessuali?
In particolare due. Ci sono due obiezioni forti in ambito cristiano contro l’amore omosessuale che a mio avviso si devono superare. La prima è l’obiezione nel nome della Natura. La seconda è nel nome della Bibbia. L’obiezione che proviene dalla cosiddetta legge naturale sostiene che esista un imprescindibile dato di fatto naturale che si impone al punto da diventare legge: che il maschio cerchi la femmina e viceversa, e che ogni altra ricerca di affettività sia innaturale e quindi immorale.
Come rispondere a questa obiezione?
C’ho pensato… e ho pensato che stiamo passando dal gelo dell’inverno al tepore della primavera. La legge naturale non va considerata in senso normativo, una legge che ti incatena alla necessità naturale, che ti dice: “È così e devi fare così”, ma va considerata in senso dinamico. In altre parole una legge che ti pone all’interno della processualità della vita, che ti fa fiorire in quanto pezzo di mondo.
Forse l’equivoco di fondo è quello di ridurre una persona omosessuale alla sua sessualità?
Quando parliamo di vita umana sbagliamo se ci limitiamo a pensare che la vita sia solo quella biologica, zoologica. Siamo questo ma anche vita sentimentale, vita della mente, vita progettuale, intelletto, spirito, che è poi la dimensione della libertà. Siamo determinati dalla sessualità ma non dobbiamo esserlo al punto tale da essere necessitati da essa.
Cosa ne pensa della condanna all’omosessualità in nome della Bibbia?
Dicono che la parola di Dio condanni esplicitamente l’omosessualità, non la tendenza, ma la pratica attiva. La Bibbia è esplicita, parla di “abominio”. E non c’è alcuna scappatoia esegetica, non si può negare come i testi contengano una carica anche di aggressività contro l’amore omosessuale. Gesù invece, come sappiamo, non disse nulla. Trovo curioso vedere come a seconda della prospettiva che si vuole affermare ci siano esegeti che sostengono come il silenzio equivalga alla condanna, come se Gesù accettasse l’impostazione tradizionale giudaica. Dicono: “Quando Gesù non era d’accordo, lo diceva”. Non avendo detto nulla, condivide la condanna; chi tace, acconsente. Il testo edito dalla casa editrice san Paolo, L’omosessualità nella Bibbia, sostiene ad esempio questa prospettiva. Di tutt’altro avviso è il moralista Giannino Piana che parla di silenzio eloquente al quale le gerarchie ecclesiastiche dovrebbero attenersi. Come dire: “Gesù non ne parlava, tacete anche voi, vescovi e cardinali”.
Come rapportarsi allora con i versetti biblici sull’omosessualità?
C’è un’esilarante lettera inviata da un ascoltatore alla conduttrice radiofonica conservatrice americana Laura Schlessinger. L’ascoltatore chiede consigli su come vendere sua figlia come schiava, come prevede Esodo 21:7. La domanda che pone è: “Quale pensa sia un buon prezzo di vendita?”. E continua scrivendo che suo zio è andato contro Levitico 19:19 perché ha piantato due diversi tipi di ortaggi nello stesso campo, e così anche la moglie ha violato lo stesso passo perché indossa vesti di due tipi diversi di tessuto. E ancora chiede: “È proprio necessario che mi prenda la briga di radunare tutti gli abitanti della città per lapidarli come prescrivono le scritture? Non potrei, più semplicemente, dargli fuoco mentre dormono, come consiglia Levitico 20.14 per le persone che giacciono con consanguinei?”. Occorre superare l’interpretazione della scrittura alla lettera. Ed è lo stesso san Paolo, sui cui testi possono sorgere problemi analoghi, che dice “la lettera uccide”. E che la lettera biblica abbia ucciso e continui a uccidere, moralmente e fisicamente, è un dato di fatto. La Bibbia non è parola di Dio. La Bibbia contiene la parola di Dio. ogni credente dovrebbe far scaturire da alcuni passi della Bibbia – non da tutti perché alcuni sono irrecuperabili, sono impresentabili oggi – la relazione armoniosa, la primavera che fa fiorire la vita, l’energia che ci accompagna. Se questo non avviene, la lettera è solo una gabbia dentro cui la mente, il cuore e la vita delle persone sono rinchiuse. Siamo cattolici per far parte di un club o perché l’appartenere a questa istituzione ci permette di amare di più, ci rende più capaci di produrre energia positiva per il mondo? I cattolici del club diranno che interpretano tutto in funzione della conservazione dell’istituzione.
Il cardinale Martini nel suo ultimo libro con Ignazio Marino, Credere e conoscere (Einaudi), ha affermato che “non è male, in luogo di rapporti omosessuali occasionali, che due persone abbiano una certa stabilità e quindi in questo senso lo stato potrebbe anche favorirli. Non condivido le posizioni di chi, nella chiesa, se la prende con le unioni civili”. Cosa ne pensa?
Personalmente non ho dubbi che la relazione fisiologicamente corretta sia quella della complementarità dei sessi, che esista una logica all’interno della natura. Non ci sono neppure dubbi però che il fenomeno omosessualità si è sempre dato, si dà, avviene e sempre si darà, sia negli esseri umani che negli altri esseri viventi. Esiste dunque una fisiologia di fondo e una variante. Sono contrario alla prospettiva che vuole definire questa variante come malattia o peccato. Ma come definire questa variante? Forse l’ultima parola spetta a chi vive questo stato di fatto che si
impone al soggetto. Perché non c’è una scelta, è una natura che esibisce dentro di noi questa attrazione di cui noi siamo a volte persino vittime. Se penso alle prime manifestazioni della mia sessualità nei confronti del sesso femminile, ricordo quanto fossero dolorose perché c’è qualcosa che si impone, siamo necessitati. L’omosessualità quindi non deve in nessun modo essere negata, repressa, messa a tacere. Mi limito a dire questo. Il cardinale Martini nel dialogo con Ignazio Marino sostiene che la forza della sessualità possa essere sublimata. Anche l’omosessualità può esserlo, perché a differenza delle altre specie animali siamo dotati di libera creatività spirituale. Ma la sublimazione non può essere imposta come vuole il magistero della chiesa. Perché noi ci compiamo nell’amore, e se si spegne la passione, si spegne la vita. A volte sento più consonanza da credente con molti non credenti. Mi trovo più vicino a Corrado Augias o Eugenio Scalfari che non ai vescovi cattolici. Sono sicuro che anche per il cardinale Martini sia così, non a caso i suoi dialoghi più importanti sono con intellettuali laici come Ignazio Marino, Massimo Cacciari, Giulio Giorello.
Molti omosessuali cattolici sognano una chiesa in cammino e testimoniano che vivere nelle parrocchie le proprie relazioni alla luce del sole è impossibile…
A volte ci possono essere delle parrocchie dalle quali se ci si allontana è persino meglio. Essere cristiani non coincide con la pratica della vita parrocchiale. Anch’io mi sento in qualche modo nella posizione di chi è messo a tacere per alcune posizioni. Questo rientra nella dialettica tra libertà e istituzione. È necessaria l’istituzione? Sì. Perché vi battete per il riconoscimento delle coppie gay? Perché è importante l’istituzione, la dimensione sociale, il profilo politico del nostro essere. Ma l’istituzione è tale da dover definire completamente gli esseri umani? Ogni vita matura è una vita che sta con un piede nell’istituzione e con un piede fuori, ed è grazie a queste vite che l’istituzione cresce e cammina, altrimenti le sovrasta soltanto. Le persone omosessuali cattoliche pongono un reale problema alla chiesa. Secondo me è molto importante far maturare se stessi. Come fare? Mettendo in pratica la prima virtù cardinale: la prudenza, che non ha nulla a che fare con il non dire fino in fondo quello che pensi, perché quella è la prudenza ecclesiastica. Bisogna piuttosto tradurre prudenza come discernimento, la virtù dell’intelligenza che capisce i contesti e soppesa le decisioni.
(8 maggio 2012)
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