Chiesa e preservativo, tanto rumore per nulla

Raffaele Garofano

, prete

Nelle ultime esternazioni di Benedetto XVI, rilasciate al giornalista tedesco Peter Seewald, il papa si concede confidenze che si prestano ad alcune riflessioni spontanee e doverose. Ad onore di Ratzinger va l’ammissione di aver sbagliato nel togliere la scomunica al vescovo lefebvriano Richard Williamson. Il papa non sarebbe stato a conoscenza del negazionismo professato dal prelato, ha dichiarato.

Maggiore scalpore ha suscitato l’apertura sull’uso del preservativo come “male minore”, una indubbia novità, riservata però alle professioniste del sesso e ai loro clienti, pare. Tuttavia l’attenzione di Ratzinger andrebbe rivolta, anche e soprattutto, verso quel mondo sempre più esposto al devastante pericolo del contagio: la schiera dei singoli e delle popolazioni ove la diffusione dell’AIDS miete un numero di vittime in crescita esponenziale. Appena un anno fa Benedetto proponeva l’astinenza come unica prevenzione contro la malattia e affermava, spingendosi oltre l’ambito delle sue competenze, che il profilattico non avesse alcuna efficacia, fosse addirittura pericoloso.

Ove la Chiesa locale (in alcuni Stati dell’Africa) è stata più possibilista sull’uso del profilattico, il tasso di contagio è sceso del 10%. Il vescovo sudafricano di Rustenberg, Kevin Dowling, sul tema ha dichiarato: “Qui l’astinenza prima del matrimonio e la fedeltà dopo del matrimonio sono oltre il regno delle possibilità. Il problema è difendere la vita” (La Repubblica 22/11/10).

Devono essere liberati dall’imbarazzo morale quei missionari che distribuiscono i profilattici ai malati, memori forse dell’affermazione dello stesso Ratzinger cardinale il quale dichiarava che, al di sopra delle norme della Chiesa e dello stesso papa, in caso di conflitto morale, è chiamata a decidere la coscienza individuale del cristiano.

Andrebbero ascoltati quei teologi che sono favorevoli all’uso del profilattico. Una vera “rivoluzione” cristiana ci sarà quando la Chiesa avrà una visione più ampia di tutta la morale sessuale, campo di battaglia fallimentare del cattolicesimo. “Cattolici in chiesa, protestanti a letto”, sembra sia diventato il motto dei confessori. Una scissione che non va minimizzata né risolta attraverso la pratica ripetitiva, a volte mortificante, di una “Confessione” che rischia di trasformarsi in lavaggio automatico, di creare dipendenza anziché essere occasione di cambiamento e di crescita. L’atto sessuale non è “unicamente” destinato alla procreazione: una coppia deve potersi manifestare l’amore senza sentirsi obbligata ad avere un figlio all’anno. Devono essere liberate le donne, soprattutto le immigrate che spesso ricorrono all’aborto come mezzo di controllo delle nascite. Così riportano le statistiche.

L’atto sessuale è una mutua manifestazione d’amore della coppia e la sessualità non può continuare ad essere “tollerata” solo nel matrimonio come “rimedio alla concupiscenza”. Aver voluto l’intimità sessuale nella coppia non è stato uno sbaglio di cui Dio si sarebbe pentito. A costo di fare i saltimbanchi con la loro coscienza, molti confessori si mostrano disposti alla comprensione con i loro penitenti, ma è dovere della Chiesa fare definitiva chiarezza sul problema. La raccomandazione finale della “Humanae vitae” ad essere “tuttavia” misericordiosi coi penitenti è una chiara ammissione di fuga dalle responsabilità, non rispecchia il linguaggio evangelico del “sì sì, non no”. Dalla teologia di Ratzinger ci si aspetta una riconsiderazione della sessualità nel suo complesso: “nessuno mette una pezza di panno nuovo su un vestito vecchio”( Mt 9,16).

Il compito della Chiesa non è dirigere il traffico in camera da letto, essa è chiamata ad educare all’amore, ai sentimenti, al rispetto e alla premura per l’altro, soprattutto in una società che ha ridotto il sesso ad una merce di scambio svalutata, ad una salsa per ogni pietanza.

Il papa si è anche pronunciato sulla Infallibilità del suo ministero. Ad evitare fraintendimenti sarebbe necessaria una maggiore trasparenza precisando più frequentemente che il papa sarebbe infallibile “solo” quando proclama “ex cathedra” delle verità di fede. La catechesi, a riguardo, sembra piuttosto carente… non se ne parla nelle chiese. Una simile consapevolezza permetterebbe ai fedeli di essere, all’occorrenza, positivamente critici verso quei pronunciamenti papali che non siano rivestiti di ufficialità come verità da credere. Va evitata nei fedeli la convinzione che ogni opinione del papa non sia solo autorevole ma anche infallibile. Tale ambiguità crea torpore nelle coscienze individuali fino a tradursi in comoda “sudditanza”, un atteggiamento estraneo ad ogni civile rapporto, maggiormente biasimevole in una comunità di fede.

Ratzinger ribadisce la sua contrarietà al sacerdozio delle donne, una tradizione che rimane ancorata ad epoche in cui, soprattutto dalla Chiesa, la donna era considerata inferiore all’uomo. “Mas occasionatus”, maschio mal riuscito, sarebbe la donna per la massima autorità teologica di Tommaso D’Aquino. D’altra parte “Le donne nelle assemblee tacciano… è disdicevole per una donna parlare in assemblea” (I Cor, 14,34) L’uomo non deve coprirsi il capo, essendo immagine e gloria di Dio, mentre la donna è gloria dell’uomo perciò “deve portare un segno di dipendenza sul capo” (I Cor, 11,10).

La Chiesa cattolica sembra mantenersi all’avanguardia… nel rimanere fedele a tali principi discriminatori, non calcolando la rivalutazione del mondo femminile operata da Cristo il quale, contro le prescrizioni del tempo, si intratteneva con le donne, le considerava parte del suo seguito. Se il sacerdozio ministeriale è stato istituito nell’Ultima Cena, come suppongono gli studiosi di teologia, Cristo avrebbe invitato Giuda al banchetto del doloroso commiato, ma non la propria madre, le donne che avevano seguito e “accudito” gli Apostoli durante la loro missione? Le donne, all’epoca, non (si) “contavano”. Ma erano presenti.

Secondo Ratzinger nemmeno gli omosessuali possono accedere al sacerdozio. Nascere maschio o femmina non è imputabile a nessuno: è “volontà di Dio”, ma venire al mondo da omosessuale, per la Chiesa ufficiale, sembrerebbe essere una colpa della persona. Se il prete è tenuto alla castità assoluta, cioè a non compiere atti di intimità sessuale, poco importa che egli abbia una tendenza o un’altra, deve comunque reprimere le proprie pulsioni. È il ragionamento di un ragazzino del Catechismo, un “semplice”. A meno che non si confonda un omosessuale con un pederasta!
“Dio rivela le cose ai semplici e le nasconde ai saggi?”.

(4 dicembre 2010)

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