Chiesa e Rubygate, perché non è ingerenza

Michele Martelli

“Perché i laici ora plaudono all’intervento della Chiesa cattolica contro Berlusconi, mentre in altri casi ne contestano l’ingerenza? La laicità funziona a intermittenza, se, come e quando fa comodo ai suoi presunti custodi?”. Innanzitutto va detto che la domanda (su cui ha discettato, per es., Mario Giordano sul “Giornale” di venerdì 21 gennaio, “I paladini del laicismo fanno a gara a tirare per la tonaca Benedetto XVI”), è viziata in origine, provenendo da servizievoli lacchè (giornalisti, si fa per dire!, e organi di stampa e tv di famiglia, che, per difendere la pagnotta, difendono anche la mignotta: da propagandisti a mignottisti di regime). Tuttavia la questione della presunta incoerenza dei laici merita qualche pacata e meditata risposta.

Come mille volte ribadito (ma è fiato sprecato per chi si fa sordo), la Chiesa cattolica, in quanto organismo della “società civile”, può dire e fare quel che vuole, come chiunque altro. Sempre nell’osservanza delle leggi, si intende. Lo Stato ne rispetta “l’ordine sovrano” (Cost., art. 7) nell’ambito spirituale. Il che vale per ogni chiesa e religione (dai valdesi agli islamici). La cosa però si ingarbuglia se si considera che la Chiesa cattolica è anche e soprattutto una diramazione dello Stato straniero del Vaticano, che risiede nel cuore di Roma capitale d’Italia. Ogni intervento ufficiale della Chiesa gerarchica italiana è dettato e autorizzato dal Vaticano. Nella Cei infatti non si muove foglia che il papa non voglia. Dunque, in questo senso l’ingerenza è strutturale, è nata con lo Stato vaticano (nel 1929) e si elimina solo con la sua scomparsa. Ma c’è un secondo tipo di ingerenza, che si manifesta quando la Chiesa pretende di entrare nella “sfera pubblica”, e di impedire al Parlamento italiano di legiferare in modo autonomo e sovrano. Dettando le leggi da approvare, come per il fine vita, o da impedire, come per i Dico (il Family day ruiniano fece cadere il secondo governo Prodi).

Non è il caso del Rubygate. Qui l’intervento dei vertici della Chiesa riguarda non l’attività legislativa del Parlamento, ma la condotta “immorale” del premier, che contrasta palesemente con i princìpi cattolici. Non intervenire sarebbe doppiezza e ipocrisia, mercificazione dei princìpi in cambio di soldi e privilegi (la cancellazione degli oneri fiscali alle proprietà immobiliari della Chiesa nel decreto governativo sul federalismo comunale appena rinviato non è forse un estremo tentativo di “ingraziarsi” le gerarchie per ottenerne il silenzio sul Rubygate?). Peraltro, le gerarchie cattoliche si appellano a “più moralità, legalità, giustizia”, non fanno nomi e cognomi, non delegittimano il governo in carica. La genericità degli appelli è tale che il governo (il premier, e il gruppo cattolico dei 7 samurai semiciellini dei vari ineffabili Formigoni, Lupi, Quagliarello et alii) interpreta (in malafede!) che siano rivolti a tutti. Tutti colpevoli, nessun colpevole!

Ma per capire che nel caso del Rubygate non c’è ingerenza (del secondo tipo), bisogna andare più a fondo. In che cosa consiste per un laico lo “scandalo” del Sexygate arcoriano? Non nelle scelte sessuali di un vecchio miliardario col viagra in tasca (sarebbe, tutt’al più, oggetto di gossip), ma nella dimensione pubblica, politica, istituzionale di quelle scelte, essendone l’attore non un qualsiasi privato, ma il premier in persona (Ruby può telefonargli al cellulare in ogni momento, anche nel corso di impegni governativi). Il quale premier è tale perché ha giurato sulla Costituzione. Che però calpesta ogni giorno non solo con la sua azione di governo (il forsennato attacco ai magistrati di Milano ne è l’ultima prova), ma, come denunciano gli atti giudiziari, anche con la sua condotta “morale”.

Eh sì! C’è una “moralità” pubblica, istituzionale, prevista dalla Costituzione. Innanzitutto l’art. 54, che richiama i governanti al «dovere di adempiere le funzioni pubbliche con disciplina e onore». E poi gli artt. 3, 32, 36 e 41, incentrati sui princìpi del «rispetto della persona umana» e dell’eguale «dignità» morale, sociale e civile dei cittadini. Cittadini come persone a cui garantire libertà e dignità, soggetti di diritti inalienabili da proteggere e rispettare, e non volgari oggetti da maltrattare e manipolare. Onora la Costituzione e l’Italia il focoso Priapo di Palazzo Chigi e Villa San Martino? Comprando col Potere e con i soldi il corpo delle escort, anche minorenni, ne rispetta la dignità umana? Usandole come cosa, mezzo, oggetto sessuale, le considera persone? Ne valorizza lo status umano e civile (da civis = cittadino)? Allo stato dei fatti, domande puramente retoriche.

Il richiamo delle gerarchie cattoliche all’“immorale” premier-satiro, laddove fosse più preciso e circostanziato, e non ambiguo e generico, sarebbe pienamente conforme alla Costituzione. Perché i laici non dovrebbero approvarlo? Quando Wojtyla condannava la guerra di Bush contro l’Iraq e tuonava contro la mafia a Palermo, forse si ingeriva negli affari interni degli Usa e dell’Italia? No, perché si appellava alla difesa della moralità, della pace e delle legalità interna e internazionale. Quindi al principio del rispetto dei diritti, della persona e della dignità umana (alla base, oltre che della Costituzione italiana, anche della Dichiarazione dell’Onu del 1948, art. 1, e della Carta dei diritti dell’Ue del 2000, art. 1).

I laici sono anticlericali quando il clero propugna e difende pro domo sua leggi e governi antidemocratici (il che, come la storia anche recente dimostra, è purtroppo prassi costante delle gerarchie). Non lo sono in caso contrario. In ambedue i casi si comportano in modo coerente, perché laicità non è pregiudizio anticlericale, ma difesa dell’autonomia della ragione e dello Stato da ogni credo religioso. Solo chi è oggi affetto da berlusconite cronica può dubitarne.

(24 gennaio 2011)

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