Chiesa, teologia e libertà. Intervista a Vito Mancuso
a cura di Stefania Salomone, da ildialogo.org
Il Vangelo di Giovanni (Gv 1,18) dice che “Dio nessuno l’ha mai visto” ma che è stato rivelato nel figlio. Come dire non occupatevi di ciò che non potete conoscere, ma occupatevi dell’umanità che è sotto i vostri occhi. Perché i teologi continuano a parlare di Dio?”
Vito Mancuso: Perché i teologi continuano a parlare di Dio? Bah, perché la teologia in questo consiste. Consiste proprio nell’esercitare il logos, cioè la ragione, sul grande problema dell’assoluto. Perché la questione non è così semplice come la domanda presuppone. Non è così semplice che quel ‘figlio’, che quel frammento umano, quel singolo evento, quella singola persona sia effettivamente l’immagine eterna, definitiva dell’assoluto. Questo lo crede la fede, ed è giusto che sia così, che la fede creda queste cose. Ma il compito della teologia è esattamente quello di portare i fondamenti di ciò che la fede crede, e cioè, quel singolo evento storico, quel singolo frammento contenga davvero il tutto. La scommessa del cristianesimo consiste in questo. Il frammento umano, il singolo uomo, Gesù di Nazareth, contenga il tutto del divino, dell’eterno. Quindi la teologia questo deve fare e non può non fare questo; quindi è giustissimo che i teologi continuino a parlare di Dio. Lo devono fare; se non ci fosse questo, se semplicemente la teologia si riducesse all’annuncio della Bibbia, a racconto, a narrazione delle parole di Gesù, si toglierebbe al cristianesimo e anche allo stesso Nuovo Testamento la pretesa universale che il Nuovo Testamento e Gesù stesso hanno.
E’ possibile una “teologia dal basso” o bisogna continuare a credere che la teologia sia un affare per studiosi con due o tre lauree e qualche dottorato?
Vito Mancuso: Io penso che ogni mestiere ha bisogno della propria specializzazione. Quindi in un certo senso risponderei sulla base della seconda alternativa, nella luce e nella prospettiva della seconda alternativa. Bisogna continuare a credere che la teologia sia un affare per studiosi, magari non con due o tre lauree, basta quella in teologia, però penso che la teologia, dal punto di vista scientifico, meriti di essere fatta da persone che hanno studi al riguardo, un curriculum adeguato. Questo cosa significa che deve rimanere per pochi, che non è possibile una teologia dal basso? No, certamente il teologo sarà tanto più fedele ai propri studi e alla propria scientificità quanto più sarà in grado di:
1) Ascoltare ciò che, diciamo così, il popolo di Dio manifesta, quali sono le esigenze spirituali del proprio tempo
2) Parlare al popolo di Dio.
Quindi, in un certo senso, il teologo fa parte del popolo di Dio, e quindi ascolta quelle che sono le domande, le esigenze, del popolo di Dio, anche quelle inespresse, studia poi tutto ciò, tenta di fare in modo che tutto ciò possa tradursi in una maggiore, più intensa e più adeguata sistematizzazione a livello scientifico, ragionando e confrontandosi con la tradizione, con una tradizione di 2000 anni, con la storia dei dogmi, e, infine, ritornando, a presentare il senso del suo lavoro al popolo di Dio in un linguaggio adeguato.
Quindi, non c’è alternativa tra “teologia dal basso” e teologia scientifica, anche se, posta in quei termini, e concludo la risposta, certamente io non posso che dire che per la teologia è importante la dimensione scientifica, la dimensione di attrezzatura adeguata, così come è importante per chi fa il dentista, così come è importante per chi fa il medico, ecc. Ogni mestiere presuppone una professionalità .
Cosa significa essere teologo oggi nel tempo caratterizzato da quasi trent’anni di sanzioni inflitte dalla Congregazione per la Dottrina della Fede?
Vito Mancuso: Bah, quasi 30 anni di sanzioni. In realtà se uno pensa alla storia della teologia, si trova con secoli e secoli di sanzioni. Sono abbastanza innocue le sanzioni della Congregazione per la Dottrina della Fede, da 30 anni a questa parte, rispetto a ciò che è avvenuto nella storia della Chiesa, al carcere, alla privazione della libertà personale, alla tortura, talora al rogo, che alcuni teologi hanno dovuto subire per aver espresso dubbi, perplessità, dottrine opposte rispetto a quelle ufficiali. Quindi diciamo che non sono semplicemente 30 anni. Ci sono 20 secoli di controllo istituzionale della dottrina. Allora che cosa bisogna fare, che cosa significa allora essere teologo alla luce di questa storia? Significa: Primo – amare questa storia, amare e conoscere questa storia e non pensare di esercitare la propria ragione teologica senza conoscere questa storia e in diretta e acida contrapposizione con questa storia; quindi occorre conoscere la tradizione e tutto ciò che la tradizione ci consegna, occorre conoscere i documenti della chiesa, occorre anche avere l’anima, come dire, sgombra da ogni senso sia di totale obbedienza, sia di totale disobbedienza. Occorre una libertà rispetto a questa storia. In secondo luogo però occorre esercitare la dimensione della teologia, sapendo ciò che la storia ci consegna, occorre esercitarla con una grande, direi, assoluta onestà intellettuale.
Questa è la questione decisiva. Per fortuna i tempi sonno cambiati; non si rischia più l’incolumità fisica, si rischia forse qualcosa a livello di carriera, anzi, sicuramente all’interno delle facoltà pontificie, controllate dal vaticano. Si rischia la carriera, ciononostante il teologo deve amare la verità più della carriera, più della propria sicurezza, più dei propri onori. E deve quindi far sì di servire, che cosa? Quanto si diceva prima, cioè il logos, cioè l’esigenza del popolo di Dio, insomma, due cose che vanno unite. Capire lo spirito dei tempi e capire il senso preciso della rivelazione, unendo le due questioni. Quindi, non si può essere teologi senza una grande attenzione alla storia, al contempo però non bisogna farsi schiacciare dal peso della storia.
Se la chiesa istituzionale è di fatto un centro di potere, come possiamo attribuire a Gesù una precisa volontà di creare una chiesa di questo tipo? Davvero possiamo ancora basarci su una mala traduzione e/o interpretazione della frase “Tu sei Pietro e su questa pietra …, ecc”?
Vito Mancuso: La chiesa istituzionale è di fatto un centro di potere, dice la prima parte della domanda, è vero, ma per fortuna non è solo questo. La chiesa non è solo un centro di potere, è anche comunità, e anche universalità, è anche cura della solidarietà. C’è bisogno dell’istituzione, questo è quello che voglio dire. Noi non possiamo pensare di fare a meno della dimensione istituzionale della Chiesa. Tutto ciò che non ha una dimensione istituzionale in questo mondo prima o poi viene meno. La storia è un posto difficile in cui vivere, ha una regola precisa, che è la regola della forza. E per esserci, per consistere in questa storia, la dimensione istituzionale è decisiva, la storia della chiesa ce lo insegna. Tutti quei movimenti che all’inizio non avevano una dimensione istituzionale, poi, o sono scomparsi o si sono dati loro stessi una forma istituzionale. La Riforma Protestante è nata contro l’istituzione della Chiesa, poi è diventata a sua volta una Chiesa istituzionale; e ha avu
to la sua dogmatica, ha avuto i suoi tribunali, ha avuto i suoi roghi, e così via. Quindi questa è una dinamica, questa della dimensione Spirito/istituzione, che fa parte costitutiva della dialettica della storia. Non bisogna soffocare lo Spirito, facendo sì che l’istituzione lo schiacci, al contempo però non bisogna essere ingenui da pensare che si possa fare a meno di una dimensione istituzionale. Occorre che la dimensione istituzionale sia sempre più fecondata dalla dimensione spirituale. Nella dialettica fra questi due aspetti Spirito/istituzione, nell’armonia tra questi due aspetti, consiste il vero volto della Chiesa.
Quanto alla volontà di Gesù chi la può dire? Ci sono studiosi, ci sono biblisti che dicono che Gesù non voleva fondare una Chiesa, ci sono altri biblisti che invece dicono che la voleva fondare. E’ una questione esegetica a cui, secondo me, non possiamo dare una risposta scientifica, per così dire, certa. E’ guidata subito dalle pre-comprensioni: coloro che vogliono difendere a spada tratta la dimensione istituzionale della chiesa andranno a leggere quei brani della Bibbia, quei brani evangelici nei quali emerge la volontà da parte di Gesù di fondare la Chiesa. Viceversa, coloro che vogliono combattere contro la dimensione istituzionale, andranno a leggere altri passi dove emerge l’aspetto contrario.
Quello che posso dire è che noi, adesso, qui, dico noi cattolici, noi cristiani, non possiamo fare a meno della Chiesa per le ragioni dette. Si tratta di far sì che la Chiesa sia sempre più, come dire, leggera, sia sempre più un luogo dello Spirito, sia sempre più una fraternità all’insegna della verità e sia sempre più degna di essere veramente la Chiesa di Gesù.
(5 maggio 2009)
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