L’italiano medio Buscetta: traditore senza tradimento
Flavio De Bernardinis
Lo schema del film è quello del romanzo poetico/storico. Ovvero, rileggendo la classica tripartizione di Alessandro Manzoni, l’utile per scopo, il vero per soggetto, l’interessante per mezzo. Il vero è la storia di Tommaso Buscetta, collaboratore di giustizia e non pentito, l’interessante è lo scandaglio artistico nella psiche di Buscetta stesso, l’utile è la riflessione impietosa sul carattere italiano, non solo del protagonista ma della nazione intera.
Il coro del “Nabucco”, che sottolinea la lettura delle sentenze del maxiprocesso di Palermo, è infatti emblema nazionale, l’iscrizione dell’evento giudiziario all’interno di una inconclusa parabola “risorgimentale”, ossia l’unità di Italia che si afferma sullo Stato nello Stato indetto da Cosa Nostra. Ma è anche, come sempre in Bellocchio, allucinazione rovesciata del momento storico, il 2019, in cui una musica appartenente all’immaginario della formazione politica della Lega le viene infine sottratta, perché estratta dal “giustizialismo” leghista, e affermata invece come “senso di giustizia” nazionale.
Bellocchio accetta le convenzioni cinematografiche dominanti, ossia un film all’americana, per esempio un bel Michael Mann, e soprattutto l’incredibile inserto conclusivo del Buscetta in carne e ossa che canta, come ci trovassimo in un qualsiasi, e sottolineo qualsiasi, biopic. E’ precisamente la virtù di Marco Bellocchio, artista di cinema e non autore di film, la capacità di assumere i codici universali del linguaggio cinematografico per spostarli sull’orbita gravitazionale di un atterraggio alieno sul pianeta sconosciuto dell’inconscio collettivo. Dell’immaginario. Douglas Sirk, insomma, più Fassbinder, e anche quel Kubrick che lo stesso Bellocchio ci confidò una volta costituire punto imprescindibile di riferimento.
Il traditore è un film sull’Italia. Il maxiprocesso di Palermo, con le lingue sbrigliate, le maschere crude e i dialetti all’impazzata, è qualcosa a metà tra la tradizione della commedia dell’arte e i riti contemporanei del talk-show. Nella chiave di un’educazione cattolica che tutti ci riguarda, gli italiani, quelli veri, si confessano ma non si pentono. L’assoluzione è garantita in assenza di pentimento. Il talk show ormai sostituisce il confessionale, e la colpevolezza è un tesoro da custodire a priori. Come in Shining. Se non sei colpevole, non confessi. Se non confessi, non conti. L’avviso di garanzia è il sigillo del potere di chi lo riceve.
Ma confessa poi veramente, Tommaso Buscetta (un Pierfrancesco Favino sbalorditivo) questa cristallina tipologia di italiano/siciliano? Cosa davvero rivela Buscetta al giudice Falcone (un incredibile Fausto Russo Alesi), che il giudice Falcone non sappia già? L’importante sarebbe riuscire ad arrivare a Roma, ossia all’Italia, dice Falcone. Perché la Cosa/Stato entri in contraddizione con lo Stato della Cosa. Perché lo Stato confessi la Cosa e la Cosa riveli di essere Stato. Un doppio tradimento, come nell’algebra in cui due negazioni affermano, che potrebbe spingere a una qualche forma di superamento, magari politico/dialettico. Figura del doppio tradimento è la straordinaria sequenza in elicottero dove la forma-Stato, qui il Sudamerica, mostra a Buscetta prigioniero il crimine di Stato, la defenestrazione in mare dei dissidenti politici.
Il Tommaso Buscetta, cinematografato da Bellocchio, oscilla all’interno di tale contraddizione, se ne tiene dentro e fuori: non ha il coraggio di ammettere il tradimento, come non teme di rivelare la struttura della Cupola. Non ce la fa, nei suoi semplici sogni, a tirarsi una volta per sempre fuori dalla Cosca, anche se riesce, nella realtà allucinata, a tradire e sbigottire i capi dei capi.
Marco Bellocchio è l’unico cineasta italiano a dotare le sue opere di una struttura di pensiero fondata sul metodo dialettico. Materialismo dialettico? Anche. Quale è la materia di cui è fatta Cosa Nostra? Come si vede nella sequenza iniziale della festa di Santa Rosalia, la materia è la Famiglia. Proprio come ne I pugni in tasca. Una famiglia allargata, una Cosa senza quartiere. Cupola, Stato, Famiglia. Cosa di cose. E quindi, cosa deve fare Tommaso Buscetta, il soldato semplice, che è tutto fuorché semplice? Colui che non vuole comandare, ma obbedire soltanto?
Per obbedire davvero alla Cosa, occorre tradire. Solo il tradimento obbedisce alla logica familistica, dichiara e afferma la Cosa. Come ne I pugni in tasca. Ma il tradimento non può neppure chiamarsi tradimento, pena l’esclusione dalla Cosa. Tommaso Buscetta, così, è un traditore sì, ma senza tradimento. Perfetto tipo di italiano medio: tutti violenti senza violenza, ladri senza furto, assassini senza delitto, bari senza inganno, devoti senza devozione, amorevoli senza amore, caritatevoli senza carità: in una parola, cittadini senza Città.
Come nella criminalità organizzata, dove non c’è onore, ma uomini d’onore, oppure non ci sta rispetto, ma solo gente di rispetto. Autorità familistica, di Stato e di Cupola. Quando Bellocchio, nella scena già rammentata, reale o immaginaria che sia, allucinata certamente, nel testo della canzone di Toto Cotugno sostituisce la parola “italiano” con la parola “siciliano”, rende manifesta la struttura dialettica del pensiero del film. La Sicilia è l’Italia al quadrato, come l’Italia è la Sicilia tra parentesi. Contraddizione dialettica insuperata, e insuperabile, che forma il blocco sociale/antropologico di una “Isola peninsulare”, oppure una “Penisola isolana”. Dove i traditori non tradiscono, e chi non tradisce è l’unico traditore.
Bellocchio mantiene il film tutto all’interno di questo blocco bloccato di interpretazione della realtà, che è tuttavia l’unica e vera interpretazione della realtà. La dialettica tra ribellione e regola, come ne I pugni in tasca, presuppone sempre un tradimento. Che tuttavia può e deve essere motivo di superamento dialettico nell’ambito della contraddizione stessa. Nel blocco sociale/antropologico italiano, storicamente, il superamento purtroppo ancora non si dà. Tommaso Buscetta arriva fino all’orlo del superamento, ma poi l’allucinazione prevale, e la figura che popola i suoi ultimi sogni è pur sempre quella del sicario. Buscetta, tipo del siciliano/italiano medio, è personaggio che confessa per non tradire, e tradisce senza confessare davvero. Arrivare davvero fino a Roma, nella confessione, infatti non si può. Come ammette lo stesso protagonista, sarebbe shock culturale, superamento insostenibile, tanto che il blocco/Paese non sarebbe pronto.
Il romanzo storico di Marco Bellocchio, così, è l’espressione dell’Italia in cui tutti confessano soltanto ciò che tutti già sanno. Le due figure emblematiche sono Falcone e Andreotti. Andreotti, come fosse il Gollum de Il Signore degli anelli, creatura inesprimibile e inespressa, striscia oltre ogni notizia, mentre Falcone, angelo siciliano/italiano, viene fatto esplodere e “volare” in un impeto terribile e osceno, ripetizione allucinata tra grida e brindisi della festa di Santa Rosalia dell’inizio del film. Festa di Famiglia e festa di Stato.
(6 giugno 2019)
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