CINEMA – “Indivisibili” di Edoardo De Angelis

Giona A. Nazzaro

Senza essere trionfalistici, e senza trascurare il grande lavoro ancora tutto da compiere, è innegabile che il cinema italiano stia offrendo degli interessanti segni non tanto di ripresa, quella è una faccenda dei numeri, quanto di trasformazione e reinvenzione; una cinematografia in grado di offrire nello spazio che intercorre fra i tre maggiori festival europei – Berlino, Cannes e Venezia – notevoli e diversificati segnali di vitalità (al di là dei “gusti” individuali e delle opinioni) e, soprattutto, indicazioni di possibili direzioni future da percorrere.

Lo spettro dei titoli è ampio. Dall’Orso d’oro berlinese Fuocoammare di Gianfranco Rosi, candidato anche all’Oscar, passando per il superbo Fiore di Claudio Giovannesi presentato alla Quinzaine (insieme a Paolo Virzì e allo straordinario Fai bei sogni di Marco Bellocchio). A Venezia erano presenti, fra gli altri, il magnifico Spira mirabilis di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, La ragazza del mondo di Marco Danieli, Vangelo di Pippo Delbono, Liberami di Federica Di Giacomo, Il più grande sogno di Michele Vannucci e Le ultime cose di Irene Dionisio.

Grazie alla benefica onda d’urto del cinema del reale italiano, sul quale abbiamo sovente puntato la nostra attenzione, ormai non si tende (quasi…) più a fare le distinzioni fra “documentario” e “finzione” preferendo, giustamente, concentrarsi sul cinema (ciò non significa, ovviamente, che le polemiche da strapaese siano defunte, anzi, ma nemmeno che si debba perdere tempo per riaffermare l’ovvio…).

Sorprende dunque la vitalità di un cinema, al di là dei singoli esiti dei quali si può e deve discutere, e il desiderio che lo anima. Sia che esso giunga dal basso, dalle fertilissime aree del cosiddetto no budget o quasi (ma ad altissimo tasso di idee e progetti), o da quelle del cinema industriale (basti pensare ai casi di Stefano Sollima e Matteo Roversi).

In questo senso Indivisibili di Edoardo De Angelis si offre come un altro tassello di un cinema che tenta, con grande inventiva e coraggio, di sganciarsi dalle situazioni produttive e narrative più ovvie. Ambientato nella zona di Castel Volturno, nell’area compresa fra il litorale domizio e l’Hinterland casertano, il film tenta ambiziosamente di riscrivere i codici della classica sceneggiata partenopea intrecciandoli sia con il cinema di Marco Ferreri (omaggiato nel personaggio interpretato da Gaetano Bruno) sia le stilizzazioni mélo di Giuseppe De Santis. Di Ferreri (soprattutto quello del periodo spagnolo e de La donna scimmia) il regista riprende lo sguardo velenoso e compassionevole ma senza illusioni; di De Santis l’approccio brechtiano alle strutture del racconto popolare. Scritto fra gli altri da Nicola Guaglianone (Lo chiamavano Jeeg Robot), il film di De Angelis mette in campo un robusto piglio narrativo, frontale ed aggressivo, di grande sensualità. L’utilizzo della lingua partenopea, lontana dalle sue coloriture folcloristiche più ovvie, scura, rabbiosa, minacciosa, è in sé una dichiarazione di una presa di posizione territoriale non banale.

La centralità del corpo, le due protagoniste unite per l’anca, la voce come mezzo di liberazione (la possibilità di essere come Janis Joplin…), sono i segni di un’economia dei beni primari, dopo il crollo dei miti del benessere del primo mondo. Il modo in cui il film lega l’utopia di riscatto di una chiesa povera, pentecostale e cialtrona, che ha assimilato i segni della sopraffazione e disperazione all’economia di una residuale società dello spettacolo, è una delle notevoli intuizioni politiche del film di De Angelis. Rielaborando con intuito strategico i segni del territorio di Castel Volturno, dove la popolazione africana ha trovato rifugio lungo il litorale e in case improvvisate, il film offre l’immagine di un paesaggio e di mondo come sorpreso dalla fine della storia così come questa è stata dettata dall’economia neoliberista.

Il sacerdote interpretato da Gianfranco Gallo, a metà fra il santone e il camorrista, è una delle grandi invenzioni sincretiche del film. Come se il futuro del cosiddetto sud fosse ormai già archiviato e ormai non ci fosse altra scelta che invertire il senso delle migrazioni del Mediterraneo e assumere su di sé, per sopravvivere, i mille segni contraddittori di un’integrazione parziale che purtroppo non fa altro che prestare il fianco a nuove e inedite forme di oppressione e sfruttamento. Un’economia che ha rinunciato a qualunque ripresa e che vagheggia, anzi: s’immagina, come agente di un miracolo da provocare. Un’economia miracolata, del miracolo. Come dire, dopo la storia, alla fine della storia, il miracolo come miraggio per continuare a ingannarsi per andare avanti. In questo senso Indivisibili è un film che per quanto attraversato dai segni del cattolicesimo, risulta assolutamente renitente alla tentazione del sacro preferendo a essa la prospettiva dell’esilio in assenza di una solidarietà che tarda a manifestarsi.

L’intuizione di un’umanità che appare all’alba dal mare (il magnifico incipit) e che vive come dimenticata dal resto del mondo su un lembo di spiaggia, una spiaggia incuneata in un territorio di nessuno, come un delta di un’altra storia, offre il senso di una comunità che di fatto è già migrante; come se non avesse potuto far altro che accogliere e diventare essa stessa il destino di quanti non avrebbe voluto mai accogliere.

Al netto di alcune situazioni che potevano essere calibrate meglio – la permanenza notturna sulla barca di Ferreri, nonostante la fuga delle due sorelle sia splendida, e alcuni omaggi troppo evidenti al Reality di Matteo Garrone – Indivisibili è un film che convince per la sincerità viscerale del suo approccio e, allo stesso tempo, per la grande ricercatezza formale nel mettere in scena un potente melodramma sensuale e politico.

De Angelis ha scelto con audacia di porsi al di fuori delle coordinate dominanti della produzione media italiana, sia quella d’autore che quella più dichiaratamente commerciale, nel tentativo di dare corpo a un film che fosse l’equivalente di quella terra di mezzo – ancora tutta da esplorare – così efficacemente messa in scena nel suo film nei fantasmi di Castel Volturno.

Un film che merita di essere visto e discusso, dunque, se si dichiara di avere a cuore le sorti del cinema italiano. Indivisibili è senz’altro un’ipotesi di futuro molto appassionante cui vale la pensa prestare attenzione.

(29 settembre 2016)



MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.