Cinema italiano: dalla nube alla resistenza

Giona A. Nazzaro

Puntualmente, in prossimità della mostra d’arte cinematografica di Venezia, si riaprono le polemiche stagionali intorno al cinema italiano. Il direttore Müller, che sia detto per inciso quest’anno ha organizzato una mostra quasi perfetta, una mostra la cui qualità da molti anni è ormai irraggiungibile per Cannes, viene accusato di non prestare sufficiente attenzione alla cinematografia nazionale. I casi Olmi e Amelio, e le polemiche per l’avant-première di Greggio, hanno fatto il resto. Fermo restando che mettere insieme una selezione complessa come quella lagunare non è affare da poco, sorprende questo lacerarsi di vesti per il cinema nazionale da parte di organi di stampa che ragionano ancora in termini di “grande cinema”. Al di là, infatti, delle alchimie politiche, basta studiare da vicino il programma per capire che il cinema italiano a Venezia c’è eccome.

E non solo a Venezia. In attesa quindi della nuova stagione cinematografica, che sarà inaugurata dalla fine della mostra e relativa consegna dei leoni, forse occorre fare un breve riepilogo riguardante alcuni titoli italiani che, passati al festival di Locarno, rischiano ovviamente di non vedere mai il buio delle sale nazionali con buona pace dei polemici dell’ultima ora.

Osservato da Locarno, infatti, il cinema italiano gode di ottima salute. Il pardo consegnato ad Alessandro Comodin per il suo incantevole L’estate di Giacomo, l’entusiasmante Tahrir di Stefano Savona, documentario dedicato alla rivoluzione egiziana, Inconscio italiano di Luca Guadagnino che si confronta con straordinaria lucidità con il passato coloniale fascista, Sette opere di misericordia dei fratelli De Serio, Dell’avventura 2.1 di Romano Guelfi dedicato al lavoro sul set di Jean-Marie Straub, senza dimenticare Milano 55.1, il documentario collettivo coordinato da Luca Mosso e Bruno Oliviero incentrato sulla vittoria di Pisapia a Milano raccontano un cinema italiano ben più vivo di come è abitualmente descritto e per fortuna lontano dalle scaramucce di routine.

Il punto, ovviamente, è un altro. Sono in pochi a rendersi conto che questo è un momento di grande fermento e di notevole creatività per il cinema che s’inventa caparbiamente delle strade da percorrere lontane dai sentieri ministeriali più battuti. Raramente negli ultimi anni è stato dato di osservare un coagularsi di tante energie diversificate che hanno a cuore il primato della messinscena e della forma. Purtroppo, terminata l’occasione festivaliera, quando si tifa Italia a prescindere per mero spirito nazionalistico, l’attenzione degli addetti ai lavori poi cala inevitabilmente, diretta altrove da altre urgenze e altre polemiche.

Invece il cinema italiano attuale, documentario e non, richiederebbe ben altre attenzioni. Tanto per fare un esempio. Com’è possibile che il Tony Scott di Franco Maresco risulti virtualmente un oggetto smarrito? Perché la RAI non ha acquistato un lavoro importante che ha ottenuto un eco notevole in Europa come In purgatorio di Giovanni Cioni? Perché Corpo celeste di Alice Rohrwacher non ha ottenuto tutta l’attenzione che meritava? E, soprattutto, in quanti saremo a difendere, una volta distribuito in sala, il film di Comodin?

Troppo facile dire che il pubblico è berlusconizzato. Semmai è la stampa, anche quella di sinistra e democratica, che ha adottato, consapevolmente o meno, le modalità di comunicazione proprie maggioritarie, rinunciando di fatto a svolgere il proprio ruolo. Vabbeh che la società è cambiata ma, tanto per tornare in ambito veneziano, ve l’immaginate oggi una battaglia come quella di Marco Bellocchio per Nel nome del padre? No, vero?

Eppure anche oggi esiste del cinema per cui battersi. Pippo Delbono porta a Venezia Amore carne coprodotto dalla (benemerita) Cineteca di Losanna diretta da Frédéric Maire, grande sostenitore del regista. Eppure chi ha visto, al di fuori dei contesti festivalieri, il precedente lavoro di Delbono, lo sconcertante Paura? Non basta dire che questo paese è sprofondato in un baratro. Bisogna iniziare a rendersi conto che è il caso di rimboccarsi le maniche (quante volte lo abbiamo già scritto?) per un’altra cultura e un altro cinema che non si limiti a volgere banalmente in chiave buonista il discorso dominante.

Il prossimo 27 settembre sarà finalmente distribuito in dvd Lo zio di Brooklyn di Franco Maresco e Daniele Ciprì. Sarebbe davvero il caso di far diventare quella data un momento di riscossa forte per riaffermare la necessità di difendere con ben altra forza quel cinema italiano che continua a essere realizzato nonostante tutti gli ostacoli che il sistema Italia offre al momento alla libertà e alla creatività.

(1 settembre 2011)

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