Cinema: “L’età giovane” di Luc e Jean-Pierre Dardenne
Elettra Santori
Le critiche al film che ne hanno rilevato la mancanza di antefatto e di scavo nei motivi e nelle dinamiche di radicalizzazione violenta del giovane Ahmed non colgono il punto: ai Dardenne non interessa situare il passaggio repentino di un tredicenne dalla playstation alla jihad in un contesto socio-familiare, né tantomeno calarlo negli ostinati cliché del jihadista europeo vittima dell’emarginazione e del disagio economico. L’integralismo violento è multifattoriale e come tale, nella sua estrema complessità, a volte è persino insondabile, talmente addentrato nelle circonvoluzioni della mente da rendere impossibile una sua ricostruzione lineare, cosicché da fuori può apparire come una folgorazione senza scampo, che ha l’istantaneità del raptus. Quello che invece preme ai due registi è evidenziare la potenza incontrollabile del fanatismo violento, che una volta ghermita la preda difficilmente la restituisce alla società e alla famiglia. Non bastano le preghiere di una madre, la buona volontà degli educatori, la generosità delle opportunità di recupero, e nemmeno un amore adolescenziale appena accennato a fermare Ahmed.
I Dardenne osservano la sua condotta con il consueto verismo della loro macchina da presa, ma anche con uno sguardo fatalistico che sembra allentarsi solo nel finale. Con altrettanto disincanto osservano i tentativi di recupero posti in atto dalle istituzioni, così premurose nel rispettare i tempi, gli spazi e i riti di preghiera del giovane jihadista, ma incapaci di intuirne la perdurante pericolosità. Viene da pensare che le società multiculturali, proprio a causa della loro indifferenza ai temi religiosi, siano paradossalmente poco attrezzate per comprendere il potenziale antisociale dell’integralismo in senso ampio, e di quello islamico nello specifico, violento o “legale” che sia. E che, come sembrano suggerire i Dardenne, dal terrorismo ci può salvare non tanto e non solo la nostra (in)capacità di controllare appieno il fenomeno, quanto l’intervento dell’imponderabile, dell’accidentale, della casualità che scombina e ricombina i progetti umani.
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