Cinema: “L’età giovane” di Luc e Jean-Pierre Dardenne

Elettra Santori


La marcia inarrestabile, pervicace, verso la jihad di un tredicenne fulmineamente radicalizzato. L’ultimo film dei fratelli Dardenne – Le jeune Ahmed, spersonalizzato nel generico L’età giovane del titolo italiano – ha ancora una volta per protagonista un individuo che procede a testa bassa lungo il suo asse di realizzazione, solo che qui il fine della quest non è la ricerca di un lavoro e di una “vita normale” (come in Rosetta o in Due giorni, una notte), ma l’aspirazione all’extra-ordinarietà della violenza religiosa. Per raggiungere il suo scopo mortifero, Ahmed si estrania dalla sua famiglia, progetta l’assassinio della maestra Inès che lo ha sempre seguito amorevolmente, giudicandola una musulmana “apostata”, e trasgredisce persino gli ammonimenti dell’imam che lo ha radicalizzato («Non è il momento della jihad, abbiamo subito una sconfitta, dobbiamo aspettare una nuova generazione di combattenti»).
Fallito il suo progetto omicida, Ahmed viene inviato in una struttura che ne curerà la de-radicalizzazione; ma i suoi ostinati propositi, anziché mitigarsi, si accentuano, nascondendosi sotto le apparenze dell’obbedienza e della collaborazione. Gli educatori, la psicologa, il giudice, tutti cadono ingenuamente nella trappola della finta riabilitazione di Ahmed, concedendogli di incontrare la maestra che vorrebbe vederlo per capire cosa lo ha spinto a colpirla («È la prima volta che ti metti nei panni della tua vittima!», esclama trionfante la psicologa quando Ahmed, mentendo, dichiara di volere l’incontro «perché alla maestra Inès farebbe piacere»). Nessuno di loro sembra cogliere l’immane potenza del fanatismo religioso, sottovalutando la presa artigliante che esso può esercitare su un ragazzino tredicenne e, per contro, sovrastimando le proprie capacità di correzione e rieducazione. Ahmed ottiene così una nuova opportunità di riprendere la sua marcia robotica verso l’omicidio, che si arresterà solamente in un finale semi-aperto.

Le critiche al film che ne hanno rilevato la mancanza di antefatto e di scavo nei motivi e nelle dinamiche di radicalizzazione violenta del giovane Ahmed non colgono il punto: ai Dardenne non interessa situare il passaggio repentino di un tredicenne dalla playstation alla jihad in un contesto socio-familiare, né tantomeno calarlo negli ostinati cliché del jihadista europeo vittima dell’emarginazione e del disagio economico. L’integralismo violento è multifattoriale e come tale, nella sua estrema complessità, a volte è persino insondabile, talmente addentrato nelle circonvoluzioni della mente da rendere impossibile una sua ricostruzione lineare, cosicché da fuori può apparire come una folgorazione senza scampo, che ha l’istantaneità del raptus. Quello che invece preme ai due registi è evidenziare la potenza incontrollabile del fanatismo violento, che una volta ghermita la preda difficilmente la restituisce alla società e alla famiglia. Non bastano le preghiere di una madre, la buona volontà degli educatori, la generosità delle opportunità di recupero, e nemmeno un amore adolescenziale appena accennato a fermare Ahmed.

I Dardenne osservano la sua condotta con il consueto verismo della loro macchina da presa, ma anche con uno sguardo fatalistico che sembra allentarsi solo nel finale. Con altrettanto disincanto osservano i tentativi di recupero posti in atto dalle istituzioni, così premurose nel rispettare i tempi, gli spazi e i riti di preghiera del giovane jihadista, ma incapaci di intuirne la perdurante pericolosità. Viene da pensare che le società multiculturali, proprio a causa della loro indifferenza ai temi religiosi, siano paradossalmente poco attrezzate per comprendere il potenziale antisociale dell’integralismo in senso ampio, e di quello islamico nello specifico, violento o “legale” che sia. E che, come sembrano suggerire i Dardenne, dal terrorismo ci può salvare non tanto e non solo la nostra (in)capacità di controllare appieno il fenomeno, quanto l’intervento dell’imponderabile, dell’accidentale, della casualità che scombina e ricombina i progetti umani.

(8 novembre 2019)





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