Circo Massimo, i troppi non-detto di Walter Veltroni
di Giovanni Perazzoli
Che bella manifestazione! La grande partecipazione al Circo Massimo è stata una specie di ricapitalizzazione emotiva per il Partito democratico appena sulla soglia della bancarotta. Il solito “nuovo inizio” a cui siamo abituati ormai da anni? Se non ricordo male, la proposta di una grande manifestazione era partita proprio da MicroMega. Idea provvidenziale, più ancora che lungimirante.
Sui contenuti della manifestazione, il fatto veramente importate sono state le tante persone che hanno partecipato. Meno significativo invece il discorso di Veltroni. I discorsi politici si giudicano per quello che dicono, ma anche per quello che non dicono: il non detto è significativo quanto il detto.
Che cosa non è stato detto?
1) Non è stato fatto alcun riferimento al referendum di Di Pietro.
2) Non è stato fatto alcun riferimento al cosiddetto “Lodo Alfano”.
3) Non è stato fatto alcun riferimento alla trasformazione delle università in fondazioni. Forse anche perché questa proposta era partita da Nicola Rossi nel 2006 quando era senatore Ds (il Sole 24 ore, 24 giugno 2008).
4) Sono stati genericamente ringraziati i magistrati (come, del resto, tutto l’universo), ma non si è detto niente nello specifico degli attacchi berlusconiani alla magistratura.
5) Non è stato detto nulla sul caso Alitalia e della posizione della Ue.
6) Non è stato detto nulla sulla questione di Rete4 e della condanna da parte dell’Ue.
7) Non è stato detto nulla sul monopolio dell’informazione di Berlusconi, a parte cavarsela con un attacco all’incultura della televisione (che però non esiste per caso).
5) Al di là delle solite dichiarazioni di principio, non si è detto nulla di impegnativo sulla scuola o sull’università, cosa che invece sarebbe stata dovuta, visto il disastro dalla riforma di Luigi Berlinguer. Veltroni ha detto che gli studenti lottano accanto ai rettori, ma questo “accanto” è in realtà da specificare, perché le ragioni per le quali protestano i rettori non sono quelle degli studenti. Sappiamo, però, che il Partito democratico è perplesso sul voto in condotta, ma più risolutamente contrario ai grembiulini (ma anche su questo le interpretazioni non sono univoche). Giustamente, è ostile alle classi per gli stranieri.
La manifestazione di ieri doveva chiedere delle soluzioni rispetto al disagio economico delle famiglie, ma non si è detto niente di concreto, a parte un ovvio riferimento all’opportunità di politiche redistributive sul modello keynesiano. Prendendo le distanze dalla manifestazione di Piazza Navona, D’Alema aveva osservato che un grande partito non scende in piazza senza una piattaforma rivendicativa. Quale? A parte l’ovvio, ieri non lo si è capito. Eppure le cose da dire non mancano. Lo stesso giorno guardo distrattamente una trasmissione tedesca: un parlamentare, non della sinistra, ma della CDU, osserva timidamente che il reddito di un disoccupato tedesco, grazie al sussidio di disoccupazione, è solo di 87 euro inferiore a quello di una cassiera di supermercato che lavora a tempo pieno (circa 1500 euro). In Italia non solo non esiste un sussidio di disoccupazione di tipo europeo, ma neanche si è consapevoli di questa nostra eccezionalità.
Il messaggio della manifestazione è stato: “Noi siamo sereni, mentre Berlusconi non lo è. Vedete come siamo pacati nell’uso delle parole? Loro, invece, straparlano: usano le parole senza attenzione”. Ma questo format comunicativo, importato dagli Stati Uniti, è vecchio. Sappiamo già che non funziona. I Democratici americani hanno pagato a lungo e a caro prezzo le scelte comunicative dei loro esperti, che per fortuna Obama ha mandato a casa. Il messaggio “siamo sereni”, mentre intorno c’è la disperazione, peggiora le cose e non dà la misura dell’importanza e dell’urgenza delle cose che si chiedono. Il sondaggio di Mannheimer dopo la prima manifestazione di Piazza Navona ha dimostrato che il messaggio più diretto (e moderato) di quella piazza ha fatto breccia anche nell’elettorato di centro destra. Un analogo sondaggio sulla penetrazione del messaggio della manifestazione di ieri, non so se darebbe gli stessi risultati. Naturalmente, me lo auguro di tutto cuore. Ma i sondaggi dicono che il Pd rischia di scendere sotto il 30%, ovvero che rischia di ridursi ai numeri del Pds di Occhetto! Mentre Di Pietro, che scuote l’albero, sale. Le manifestazioni come quella di ieri servono per fidelizzare chi è già convinto. Il loro scopo è far ritrovare, come si legge sui giornali, l”orgoglio” del centrosinistra. Insomma: servono per compattare i ranghi, per ritrovare unità nell’area di centrosinistra. Non danno però un orientamento incisivo sul piano politico nazionale.
Naturalmente, questo serrare i ranghi ha senz’altro un’importanza, ma l’invito alla “serenità”, alla “tranquillità”, sembra in realtà rivolto agli elettori del centrosinistra, con l’implicita giustificazione del (futuro) “non fare opposizione”. È come dire: “Non ci interessa la polemica, perché noi siamo sereni”. Il problema è che se l’opposizione considera il fatto di fare opposizione come “non essere sereni”, è l’opposizione stessa a delegittimarsi, semplificando il lavoro della destra al governo. Se il messaggio è “non facciamo polemica”, questo messaggio diventa “fare opposizione significa essere polemici”. Del resto, che l’opposizione sia “timida” non è un’invenzione dei radicali, perché è anche la tesi del liberale Economist.
Il non detto di ieri è troppo ampio per sperare bene. Restano le cose importanti, che sono state dette. Ovvie per un verso, ma drammaticamente sempre meno ovvie per un altro. L’aver ribadito l’antifascismo, il no al razzismo, il no alle discriminazioni sessuali… Resta la grande partecipazione di persone. Ma per quanto può continuare la formula del “nuovo inizio”? Per quanto tempo si può continuare a deluderle?
(29 ottobre 2008)
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