Città e territori: dalla competitività alla desiderabilità

Fausto Carmelo Nigrelli


A partire dalla fine degli anni 1980 si è progressivamente affermata, fino a diventare dominante, la cultura della città e dei territori come merce che, come tale, devono essere sottoposti alle logiche che sovrintendono alla produzione, promozione e commercializzazione tipiche di ogni bene economico che è, per sua natura, oggetto di contrattazione e di scambio.
Tra queste, quella della progressiva conquista di fette di mercato ha dato origine ad azioni che si sono affermate sotto la definizione di marketing urbano e territoriale. Il termine è stato ed è utilizzato sia per indicare la promozione di città e territori in specifici campi di gioco, sia per finalizzare le politiche territoriali e urbane, sia, infine, per favorire una loro riorganizzazione con lo scopo di attrarre i clienti potenziali.
Molti di coloro che, in quegli anni, hanno cercato di trovare buone motivazioni alla resistibile ascesa della città-merce e del territorio-merce sottolineavano, bontà loro, che la città e il territorio non sono solo spazi su cui localizzare funzioni, ma sono anche luoghi prodotti da comunità e che producono comunità, costituiti da azioni individuali e collettive e che favoriscono o impediscono attività individuali e collettive. Cioè, in ultima analisi, che essi sono più l’esito di relazioni sociali che di fattori spaziali. E che, di conseguenza, la ricerca della competitività avrebbe favorito il miglioramento anche in questi ambiti. Naturalmente non sempre è stato così, anzi.
Il paradigma della città-merce e del territorio-merce è stato vincente perché coerente con le logiche della delocalizzazione, dell’insediamento delle attività produttive solo in funzione dei costi di produzione (da quello delle aree a quello della mano d’opera a quello fiscale) e della delocalizzazione delle decisioni. E, per questo, il must per i territori e le città è diventato la competitività, la capacità di affrontare la concorrenza che, in una logica mercantile, significa abbassare il prezzo della merce a parità di bene.
Il ragionamento non viene inficiato dall’osservazione che in un mondo globalizzato le città (non solo le metropoli, ma anche le piccole e medie città) appartengono a reti globali, o reti sovranazionali o, anche, reti regionali e partecipano alle dinamiche competitive e cooperative delle reti cui appartengono.

Quali sono stati gli effetti dell’adozione di una tale paradigma da un punto di vista territoriale? Esattamente gli stessi che hanno riguardato gli altri campi della società italiana e occidentale in generale: l’abbandono di ogni solidarietà, delle logiche di welfare, delle politiche di riequilibrio che pure nel trentennio 1950-1980 avevano significativamente ridotto il gap tra Mezzogiorno e regioni settentrionali. Le politiche nazionali e la scelta della regionalizzazione di molte azioni fino ad allora competenza dello stato hanno prodotto una crescita del disequilibrio tra aree forti e aree deboli del paese, ma anche all’interno delle tre macro regioni o dei singoli confini regionali. Ne è un esempio il dato più eclatante: la riduzione degli investimenti nel Mezzogiorno al quale negli anni 1960 era destinato lo 0,84% del pil e oggi è destinato lo 0,15% e l’uso dei fondi europei non come aggiuntivi agli investimenti nazionali, ma come sostitutivi.

È perfino ovvio che un meccanismo come quello descritto ha l’inevitabile esito di rendere sempre più profondo il solco tra aree forti e aree fragili, di cui la cosiddetta “fuga dei cervelli”, cioè la ripresa dell’emigrazione di massa soprattutto dal Mezzogiorno e soprattutto di giovani ad alta scolarizzazione, non è che la più recente e la più grave delle conseguenze, poiché si configura come un vero e proprio furto di futuro.


SOSTIENI MICROMEGA

L’informazione e gli approfondimenti di MicroMega sono possibili solo grazie all’aiuto dei nostri lettori. Se vuoi sostenere il nostro lavoro, puoi:
abbonarti alla rivista cartacea

– acquistarla in versione digitale:
| iPad

Le evidenze dei legami tra forme insediative e vulnerabilità a questa e alle prossime pandemie, come quelle dell’insostenibilità ambientale del modello della iperconcentrazione di funzioni, persone, attività possono rimettere in discussione il paradigma della città-merce e dei territori-merce, con il corollario che la ricerca della competitività può non essere più l’obiettivo principale delle politiche pubbliche a livello nazionale e locale.

Partiamo dalla fine. Perché un territorio o una città devono essere valutati in termini di competitività quando sono – come abbiamo detto – luoghi, cioè insieme di spazio fisico, spazio sociale, spazio simbolico?

L’attrattività di un territorio e di una città non può più essere misurata tramite la sua collocabilità in un presunto mercato sulla base di parametri economici, quindi la sua competitività, quanto, piuttosto, sulla sua desiderabilità. In altre parole la capacità di ingenerare negli abitanti, nelle persone, nelle imprese, etc. la voglia di non abbandonare quella città o quel territorio, per i primi, o di insediarvisi per gli altri, grazie alle sue specificità, per le sue qualità nei tre campi (spaziale, sociale e simbolico).
Ora, non c’è dubbio che alcuni di questi aspetti qualificanti sono legati a fatti preesistenti che vanno tutelati, conservati e manutenuti: l’amenità dei luoghi, le caratteristiche climatiche, la socialità, i valori del patrimonio culturale e ambientale, ma non c’è dubbio che sono determinanti altri aspetti: l’accessibilità, la dotazione di infrastrutture nel campo della salute e della formazione, la ricchezza di attività culturali e, soprattutto, l’opportunità di trovarvi occasioni di lavoro adeguate alle proprie aspettative esistenziali ed economiche.

Questo dovrebbe essere l’obiettivo di un Piano nazionale di riequilibrio territoriale che, inglobando il piano per il Sud di Provenzano che intende destinare il 34% degli investimenti alle otto regioni meridionale e utilizzando lo stesso principio ai fondi del MES e del Recovery Fund, potrebbe costituire l’esito positivo della crisi generata dal Covid-19.

(2 luglio 2020)




MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.