Come la Lega ci porterebbe fuori dall’euro e con quali conseguenze
Guglielmo Forges Davanzati
“E’ una falsa astrazione considerare una nazione, il cui modo di produzione è fondato sul valore, e per di più organizzata capitalisticamente, come un corpo collettivo che lavora unicamente per i bisogni nazionali.” (Marx, Il Capitale, libro III).
Il ruolo degli economisti nella campagna elettorale conclusasi il 4 marzo e, ancor più, nella lunga fase di formazione del nuovo Governo è stato ampiamente sovrastimato. L’Economia – ovvio sottolinearlo – non è una scienza; non dispone di modelli previsionali sufficientemente attendibili; propone strumenti di politica economica molto spesso del tutto inefficaci per gli obiettivi che ci si pone. Spesso tende a provare ad appropriarsi di campi di indagine che sarebbero più adeguatamente coltivati da altre discipline.
Non si sottrae a questi rilievi il c.d. Piano B, elaborato nel 2015 dal prof. Paolo Savona, che prevede con estremo dettaglio la procedura tecnica da seguire per il ritorno alla lira (https://scenarieconomici.it/il-piano-b-per-litalia-nella-sua-interezza/). Il documento – al di là della desiderabilità dell’exit italiano – propone uno scenario sulla cui fattibilità è quanto meno lecito avere seri dubbi.
Ci si riferisce, in particolare, al punto di inizio del processo – il periodo di transizione dall’euro alla nuova lira – che il prof. Savona denomina D-Day. Il Piano B parte da un presupposto inoppugnabile: la procedura di uscita deve essere mantenuta segreta, per evitare attacchi speculativi e corsa agli sportelli.
Come fare? Nel documento si immagina che nel primo mese “i funzionari chiave pianificano l’uscita in segreto”, attuando “immediatamente controlli sui capitali e piano accelerato se la notizia trapela” (slide n.66). Non è chiaro chi potrebbero essere i “funzionari chiave”, per quale ragione dovrebbero custodire il segreto, né è chiaro come verrebbero selezionati. Sembrerebbe trattarsi di una sorta di tecnocrazia illuminata, il cui obiettivo – diversamente dalla tecnocrazia europea, e davvero non si capisce perché – è fare gli interessi dei cittadini italiani, e l’interesse dei cittadini italiani coinciderebbe con l’exit. Nel Documento si fa riferimento a un “gruppo di esperti indipendenti (un’autorità comunque italiana)”.
Il Piano B prosegue suggerendo, nei successivi tre giorni dalla decisione di uscita, di chiudere le banche e i mercati finanziari (slide n. 66). Si immagina implicitamente che questa scelta sia percepita come una condizione normale.
Seguirebbero: nazionalizzazione della Banca d’Italia, ricapitalizzazione delle banche, ridenominazione del debito pubblico nella nuova valuta nazionale, immediata revoca della disposizione del Tesoro del 1981, il c.d. divorzio, abolizione dell’obiettivo del pareggio di bilancio dalla Costituzione, reintroduzione dell’IRI e, infine, conversione in misura 1:1 dei salari monetari da euro a nuova lira.
Quest’ultimo punto è interessante, giacché getta luce sul fatto che – per i lavoratori – lo scenario ipotizzato dal mancato Ministro leghista (anche ammessa la sua realizzabilità) sarebbe peggiorativo rispetto alle condizioni attuali. Nel Piano B si riconosce che l’abbandono dell’euro produrrebbe svalutazione della nuova lira e che la svalutazione comporta un aumento del tasso di inflazione. In assenza di meccanismi di indicizzazione dei salari, ciò produrrebbe una riduzione dei salari reali[1]. Nella slide 47, si legge che l’indicizzazione dei salari è semmai causa di inflazione e che, per questa ragione, va evitata e si stima un impatto inflattivo nell’ordine del 3%.
In tal senso, l’attuazione del Piano B non farebbe altro che accelerare questa dinamica, accentuando le già elevate diseguaglianze distributive in Italia. È questa, per il “popolo”, la “Nuova Era Economica Sovrana” evocata nel piano B (slide 76)?
L’attuale architettura europea è indifendibile e probabilmente non riformabile. Sebbene scontato, è bene ripetere che l’exit italiano – ammesso che sia tecnicamente ammissibile, nella forma presentata nel Piano B – non è un vantaggio per la Nazione: nella migliore delle ipotesi, potrebbe rivelarsi un beneficio per le piccole imprese del Nord.
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