Come restare nell’euro senza essere strozzati da Bruxelles
Gustavo Piga
Sono state ore drammatiche quelle che ha vissuto la nostra Repubblica poco prima del 2 giugno. Momenti in cui si è arrivati a preoccuparsi dell’ordine pubblico, visto che nel giro di poche ore un’intera e ampia classe di persone, con l’apparente abbandono del programma del cambiamento giallo-verde a seguito della rinuncia del premier incaricato Prof. Conte, aveva visto sfumare davanti ai propri occhi la possibilità di ottenere un reddito di cittadinanza sostanzioso nonché una riforma fiscale di riduzione delle imposte altrettanto sostanziosa, basata sulla flat tax. Come non pensare che questo scenario non avrebbe potuto generare tensioni e sfociare addirittura nella rivolta?
I rischi di sommovimenti dell’ordine pubblico sono spesso figli di una qualche patologia nell’ordine sociale, inteso anche, a monte, come legittimità e autorevolezza delle nostre classi dirigenti. Come scrisse Gramsci, nei suoi “Quaderni del carcere”, in tali momenti di crisi si verificano delle transizioni, che danno vita a un "interregno": “se la classe dominante ha perduto il consenso, cioè non è più "dirigente", ma unicamente "dominante", detentrice della pura forza coercitiva, ciò appunto significa che le grandi masse si sono staccate dalle ideologie tradizionali, non credono più a ciò in cui prima credevano ecc. La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati.” A distanza di quasi 100 anni, queste parole risuonano pregnanti e attagliate alla condizione della nostra Italia. Ovviamente in un contesto diverso: nello specifico in un contesto altamente globalizzato, per noi europeistico, perché legato a istituzioni di stampo europeista.
Come frenare questi fenomeni morbosi e riuscire a garantire come minimo una transizione serena?
Certamente molto ha fatto il Presidente della Repubblica Mattarella al riguardo quando ha rifiutato di siglare la nomina del pur competente Prof. Savona. Come d’altronde immaginare si potesse allocare allo scranno più alto della politica nazionale un economista di prestigio che scriveva solo tre anni orsono “il grado di riuscita del Piano B è in funzione del livello di segretezza che si riesce mantenere” per “…lasciare la zona euro in fretta”, senza che la popolazione italiana si fosse esplicitamente pronunciata al riguardo come, a questo punto, potrà fare nel dibattito verso le prossime elezioni politiche che vedrà due schieramenti contrapposti sul tema euro?
Per proseguire nell’alveo democratico che garantisce la minimizzazione dei rischi di un interregno “morboso”, è stato bene procedere nella stessa direzione, non accontentandosi di un competente governo tecnico inviso alla maggioranza degli elettori. Sarebbe stato come mettere benzina sul fuoco. Le alternative chiare che rimanevano erano quelle di un governo politico subito, come è stato, che confermasse a parole e nei fatti la permanenza nell’area dell’euro senza se e senza ma; oppure di nuove elezioni politiche nelle quali, appunto, il tema dell’euro doveva finire per divenire il nostro referendum, a valle del quale e solo a valle del quale un Governo anti euro sarebbe stato legittimato popolarmente a stampare carta moneta intitolata lira.
In ambedue i casi si poneva comunque la questione, per chi desidera perorare la causa della moneta comune europea come chi scrive, di come convivere nell’euro nella crescita e non nello scontento: nel primo caso un Governo giallo-verde nell’euro dovrà essere capace di ottenere dall’Europa politiche che rimettano in piedi quelle zone dell’Italia in cui il disagio è più immediato; nel secondo il partito pro-euro avrebbe dovuto saper argomentare in campagna elettorale, per non essere destinato alla sconfitta, come si può restare dentro l’euro e non vivere strozzati dalle decisioni di Bruxelles.
La risposta in ambedue casi è una sola: pretendere dall’Europa la non applicabilità per l’Italia del Fiscal Compact, che ha impedito in questi anni la ripresa degli investimenti privati (chi mai li avrebbe fatti sotto la mannaia delle varie clausole di salvaguardia di aumento dell’IVA, più o meno credibili non importa?) e l’utilizzo della leva degli investimenti pubblici tanto cara sia a Roosevelt negli anni 30 che a Obama nel post 2008 di fronte a problemi simili, di ordine economico e sociale.
Facendone cosa, di questa “libertà fiscale”? La soluzione ottimale anche a livello politico rimane quella di bloccare il deficit al 3% del PIL per 5 anni, non obbligando al bilancio in pareggio, e utilizzando le risorse così liberate per un Piano Straordinario di Solidarietà via appalti pubblici là dove più necessari, ovvero dove la disoccupazione è più alta, in Meridione certamente, ma soprattutto presso quelle classi della popolazione che sono a basso titolo d’istruzione. Il Piano Straordinario di Solidarietà dovrà applicarsi prima di tutto agli appalti nel settore edilizio: scuole, carceri, abitazioni in zona sismica 1. Questi appalti dovranno partire in tempi rapidissimi, con legislazione straordinaria che garantisca che i controlli ANAC avvengano a valle sui cantieri e non a monte sulle procedure. Come per i terremoti? Certamente, perché di questo trattasi: di un terremoto sociale che merita il massimo dell’attenzione.
Un’Europa e un’Italia che comprendessero la portata della sfida non si farebbero bloccare dagli inutili vincoli contabili che mai caratterizzarono la prima fase dell’Europa che sognava e garantiva solidarietà. Un’Europa e un’Italia che fossero all’altezza di questa sfida vedrebbero gli spread annullarsi, nella certezza della forza del progetto comune europeo.
Se un nuovo deve nascere, che nasca sulla base dei valori condivisi del passato che sembriamo aver dimenticato: solo la solidarietà può mettere al centro delle future generazioni un progetto di pace sostenibile e duraturo fatto di sviluppo, tolleranza reciproca ed equità.
Il primo segnale lo avremo da subito, con il programmatico previsto per i prossimi 5 anni dal Documen to di Economia e Finanza del nuovo Ministro dell’Economia e del nuovo Presidente del Consiglio: sarà facile capire da subito se tira aria di Europa vera o di una di gattopardiana memoria.
(5 giugno 2018)
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