Comunità Cristiana di Base di San Paolo: “Famiglia, dal Papa parole che offendono”
Comunità Cristiana Base San Paolo, Roma
La Comunità Cristiana di Base di San Paolo ieri, nel corso della consueta Assemblea domenicale, ha meditato sulle parole pronunciate sabato da papa Francesco in occasione del suo incontro con i rappresentanti del Forum delle associazioni familiari.
Noi non vogliamo giudicare ma solo rilevare che le parole del papa hanno offeso tante piccole comunità di amore che ritengono di chiamarsi a buon diritto “famiglie”; che ridurre l’immagine di Dio alla sola immagine di un uomo e di una donna che si amano, in base ad una interpretazione letterale del racconto simbolico della creazione, fa sentire lontane da Dio quelle tante diverse realtà di amore e di condivisione che incontriamo nel nostro quotidiano. Quelle parole, è bene dirlo, sono state fonte di dolore; non vorremmo che esse portassero anche disaffezione e lontananza dal messaggio di Gesù di Nazareth.
Gravissime ci appaiono poi le parole con cui papa Francesco, evocando la selezione della specie, ha equiparato agli esperimenti perpetrati negli ambulatori della morte dei campi nazisti quegli aborti che sono previsti in Italia dalla legge sull’interruzione volontaria della gravidanza a tutela della salute “fisica e psichica della donna", e che costituiscono assai spesso, per la donna e per la coppia, scelte drammatiche, assunte fra dubbi e crisi di coscienza. Questa assimilazione costituisce una vera e propria ferita storica di cui la Chiesa cattolica dovrà chiedere perdono alle donne e al mondo.
La Comunità cristiana di San Paolo aveva salutato con gioia le parole di un papa che diceva di non voler giudicare i gay (pur non modificando il catechismo che li condanna): a quelle parole noi rimaniamo fedeli, consapevoli che l’amore, anche quello umano, è un mistero troppo grande per essere costretto nei lacci di una sessualità istituzionalizzata.
E a questa sospensione di giudizio di fronte alla sofferenza ed alla fragilità umana ci sembra rimandare il comportamento di Gesù, che fermò la mano di coloro che erano pronti a scagliare pietre e che, nella Palestina del suo tempo, scelse la parte di coloro che erano più emarginati e soli. In loro noi riconosciamo oggi i gay, le persone LGBT, quelle donne che affrontano, spesso in solitudine, il dramma dell’aborto. A loro, come Chiesa, siamo chiamati ad annunciare la buona novella, alleviando i carichi insostenibili di dolore e i fardelli di giudizi laceranti che pesano sulle loro spalle.
(19 giugno 2018)
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