Contro la circoncisione, per i diritti dei bambini

Raffaele Carcano

Ancora un neonato morto a causa di una circoncisione. È accaduto a Genova, questa volta: due settimane fa era successo in provincia di Reggio Emilia; a dicembre in provincia di Roma. Tre casi in tre mesi: un fenomeno preoccupante, in crescita, su cui è urgente intervenire. Negli ultimi giorni diversi medici hanno chiesto di inserire la circoncisione nei Lea, i Livelli essenziali di assistenza che il Servizio sanitario nazionale è obbligato a fornire ai cittadini. Ma siamo sicuri, a ragion veduta, che sia la soluzione migliore?

, da www.uaar.it

Un servizio: a beneficio di chi?

A guidare le richieste dei medici c’è il fisiatra Foad Aodi, fondatore dell’Amsi (Associazione medici di origine straniera). È stato lui a lanciare l’appello per inserire la circoncisione nei Lea. Ritiene che un ticket ragionevole per la prestazione possa aggirarsi sui duecento euro — laddove privatamente si può arrivare a quattromila, mentre clandestinamente se ne spenderebbero al massimo cinquanta. Aodi cita il numero di cinquemila circoncisioni effettuate annualmente in Italia, un terzo delle quali illegali: due valutazioni che sembrano peraltro sottostimare il fenomeno, visto quanti musulmani vivono oggi nella penisola. Ai quali andrebbero aggiunti non soltanto gli ebrei, ma anche i bambini costretti a subire la pratica nei paesi d’origine, di solito durante le vacanze estive.

L’appello di Aodi ha raccolto l’appoggio della Federazione nazionale degli ordini dei medici. Non solo: avrebbe ricevuto anche quello delle comunità arabe e delle organizzazioni musulmane. Il ministero della salute si trova ora a dover decidere sulla materia. Ma è evidente che, di fronte a sostegni così autorevoli, avrà parecchie difficoltà a rispondere con un semplice “no”.

Il fine ultimo dell’appello è l’eliminazione della clandestinità, e di tutti i rischi che questa comporta. È un argomento che fa presa anche in ambienti laici, perché evoca le battaglie per la legalizzazione dell’aborto: la sua proibizione non fermava certo il “lavoro” delle mammane. A ben guardare, tuttavia, la somiglianza si rivela soltanto superficiale.

Per cominciare, le circoncisioni sono già ora garantite dalle strutture pubbliche in alcune regioni. E tuttavia, anche in queste regioni ci si rifugia nella clandestinità. Sarebbero indispensabili studi per capirne le cause. In assenza, da più parti si ritiene che siano soprattutto due: il costo troppo alto del ticket, e il fatto che alcune asl esigono che il bambino abbia compiuto qualche anno.

Il primo problema non sembra dunque risolubile nemmeno con la proposta di Aodi, che è basata sui ticket in vigore. La stragrande maggioranza dei genitori, molto probabilmente, preferirebbe non pagare proprio nulla. Ma dobbiamo allora chiederci se è giusto che tutti i contribuenti, anche quelli contrari alle mutilazioni sui bambini, debbano versare più tasse per evitare che genitori incoscienti mettano a repentaglio la vita dei propri figli nel tentativo di risparmiare sulla loro salute.

La cruda realtà è questa. Tuttavia, se anche per ipotesi venisse concesso ovunque quanto richiesto, ai genitori non basterebbe. C’è infatti un evidente e diffuso desiderio di circoncidere i propri figli dopo pochi giorni di vita, così forte da spingerli sulla strada della clandestinità. Ed è qui che emerge la differenza sostanziale con l’aborto. La donna che vi ricorre è una persona nell’età della ragione che chiede aiuto alle strutture pubbliche perché vuole subire un intervento sul proprio corpo. I genitori chiedono invece alle strutture pubbliche di imporre un intervento sul corpo di un neonato. A cui non è lasciata alcuna libertà di scelta. Da una parte si è consci di dover subire un intervento, dall’altra no.

Ma, prima ancora di arrivare a questa distinzione, ci sarebbe una condizione fondamentale da soddisfare. Non tutto ciò che è clandestino è infatti meritevole di essere regolarizzato a priori: se così fosse, dovremmo per assurdo cercare di regolarizzare anche la mafia e la camorra. Dobbiamo dunque innanzitutto appurare se la circoncisione è una pratica ammissibile, o se deve invece essere trattata come qualunque altra inaccettabile attività illegale.

Qualche buona ragione contro la circoncisione

La circoncisione non è una passeggiata di salute. Al contrario, si tratta di una vera e propria operazione, come indirettamente ci conferma anche il tariffario delle strutture private. Come tutte le operazioni, non è dunque mai completamente esente da rischi. Salvo alcuni casi, peraltro molto selezionati e limitati, non è nemmeno giustificata da esigenze mediche. Ricordiamolo: proprio perché la garanzia della totale assenza di complicanze non può in alcun caso essere assicurata, è buona regola che i chirurghi operino esclusivamente quando l’operazione può giovare al paziente. Non è questo il caso della circoncisione: è un intervento più vicino alla chirurgia estetica che alla tonsillectomia.

Molti fautori della circoncisione ne vantano alcuni aspetti positivi, soprattutto a riguardo dell’igiene e della prevenzione dell’aids. A parte che, in quest’ultimo caso, ci si riferisce a un beneficio eventualmente conseguibile da adulti, i detrattori sciorinano a loro volta un lungo elenco di conseguenze negative: c’è anche chi sostiene che favorisca l’insorgere della sindrome della morte improvvisa infantile. La realtà è che, nonostante tantissime ricerche sull’argomento, non disponiamo ancora di alcuna evidenza certa. I medici sono divisi, le associazioni di categoria anche. Quella dei pediatri Usa (dove la pratica si è da tempo diffusa anche in ambienti cristiani, in quanto è stata ritenuta un rimedio alla “tentazione” della masturbazione), pur sostenendo che i benefici superano i rischi, non se la sente di raccomandarla a tutti — anche perché i benefici possono essere egualmente ottenuti attraverso una corretta igiene personale. I medici danesi hanno invece raccomandato di vietare qualunque circoncisione prima della maggiore età. Non sorprendentemente, è una materia in cui le religioni non muoiono dalla voglia di invocare il principio di precauzione. O la possibilità dell’obiezione di coscienza per i medici.

La sua pratica nelle strutture pubbliche avrebbe senso soltanto in presenza di chiari e inequivocabili benefici per il bambino, come le trasfusioni di sangue ai figli di testimoni di Geova. Dati alla mano, la circoncisione non può dunque rientrare nella medicina basata sulle evidenze. Non possono naturalmente essere invocati nemmeno i benefici spirituali: del resto, nessuno si azzarda a imbastire ricerche che possano provarli. Poiché non viene proposto altrettanto per situazioni affini, ma non religiose (come i tatuaggi), ammettere la circoncisione nelle strutture pubbliche rappresenta pertanto solamente una compiacenza, pagata da tutti, nei confronti delle richieste d
ei genitori — o, per essere ancora più precisi, dei leader delle religioni a cui appartengono i genitori. Visto che vogliono investirci la minor somma possibile, i genitori sono infatti a loro volta vittime del condizionamento dell’ambiente che frequentano. Anche se, così facendo, rischiano di mettere a repentaglio la vita dei figli.

Ne vale la pena? La risposta conseguente dovrebbe essere “no”. Anche perché all’assenza di vantaggi si accompagna un inevitabile danno collaterale per chi subisce la pratica: la perdita irreversibile di parte del proprio corpo.

La nostra stessa costituzione ricorda, all’articolo 32, che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Con la circoncisione si obbliga un bambino ancora incapace di intendere e di volere a subire un trattamento non sanitario, e lo si fa in assenza di disposizioni di legge che lo impongano. Possiamo dunque concludere che costituisce un caso conclamato di “mancanza di rispetto”.

Non sappiamo quale opinione abbia il bambino, perché è ancora talmente piccolo che non può neppure formularne una. Potrà consapevolmente formarsela quando sarà cresciuto: potrà essere contento di essere stato circonciso, sarà costretto a farsene una ragione, oppure cercherà di rimediare alla lesione provocatagli dai suoi stessi genitori. In questo caso sarà costretto a una costosa e potenzialmente rischiosa ricostruzione del prepuzio, i cui effetti sono comunque limitati. Essa sì, a ben vedere, avrebbe qualche buona ragione per essere inserita nei Lea, insieme alla ricostruzione della clitoride e delle labbra vaginali. Ma nessuno lo chiede. Dovremmo farlo noi dell’Uaar.

A conti fatti, per quanto vi siano anche ragioni culturali che talvolta ne permettono la diffusione, la circoncisione pubblicamente assistita è reclamata soltanto in nome della fede. Rappresenta l’ennesima pretesa di un privilegio religioso. Ma la libertà di ognuno deve sempre trovare un limite invalicabile nell’evitare che qualcun altro subisca un danno. E qui una vittima sicuramente c’è: il bambino.

Per i diritti dei bambini

Le religioni non hanno una fedina immacolata nei rapporti con l’infanzia. Anche perché hanno sempre cercato e cercano tuttora di imprimere su bambine e bambini sigilli indelebili, per quanto talvolta non fisici (il battesimo, per esempio). Hanno giustificato pratiche come la suzione rituale del pene. La loro collaborazione nel cercare di porre qualche limite è pressoché nulla. In un paese come il Regno Unito, dove persino i medici “fedeli” talvolta non rispettano le regole, le politiche comunitariste filo-religiose hanno favorito l’ulteriore diffusione dell’infibulazione. Tre settimane fa ha fatto notizia la condanna a undici anni di una donna che aveva mutilato la figlia. Ha fatto notizia perché era la prima condanna in assoluto: impera infatti l’omertà, per quanto very british.

In Italia l’infibulazione è vietata perché è considerata invalidante. La circoncisione invece no. Sarebbe interessante sapere come discernere i vari casi: le scarificazioni sono forse considerate accettabili? Fino a quale punto la legge permette ai genitori di spingersi, nell’ansia di modificare il corpo dei propri figli?

In teoria, non dovrebbero esistere problemi interpretativi. In fondo la chirurgia estetica è di fatto vietata, anzi, di fatto è vietato anche solo alzare le mani sui bambini. Qualsiasi residuo dubbio potrebbe essere fugato con l’articolo 24(1) della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia. Leggiamolo: “Gli stati adottano ogni misura efficace atta ad abolire le pratiche tradizionali pregiudizievoli per la salute dei minori.” Ma basta consultare l’elenco delle riserve formulate da molti stati, spesso esplicitamente in nome della sharia, per rendersi conto di quanto tale diritto non sia stato salutato universalmente come una conquista.

Ciò non toglie che sia stato lo stesso rapporteur dell’Onu a rimarcare che la circoncisione non è una libera scelta del bambino, ma un marchio della religione dei genitori, ed è pertanto incompatibile con la Convenzione. Poiché l’Italia l’ha approvata senza riserve, dovrebbe dunque agire per farla rispettare. Basterebbe prendere atto che è la pratica in sé a essere contraria ai diritti umani, non il fatto che sia effettuata clandestinamente da qualche improbabile “santone”. Inserire la circoncisione nei Lea, pur essendo consapevoli che non rappresenta in alcun modo un “servizio essenziale di assistenza”, rafforzerebbe invece la pratica. Curioso che chi difende il decreto Lorenzin sui vaccini in nome della salute dei bambini non spende poi altrettanta energia per impedire che sia messa a rischio con la circoncisione.

In Israele, l’unica soluzione che un genitore laico ha trovato per evitarla a suo figlio è stata il rapimento. Trattandosi di una pratica antichissima, la tradizione costituisce purtroppo un robusto ostacolo non solo per i laici, ma anche per gli stessi leader religiosi che volessero innovarla. Il problema è che non se ne vedono molti. E dire che non è richiesto loro un grandissimo sforzo: sarebbe sufficiente che autorizzassero le circoncisioni soltanto al raggiungimento della maggiore età — o dei quattordici anni, se questa diventasse ufficialmente l’età alla quale non occorre più il consenso dei genitori per compiere scelte religiose.

La circoncisione su minori, esattamente come l’infibulazione, è un abuso su un essere umano che non ha alcuna possibilità di sottrarsi a una pratica che inciderà per sempre sul suo corpo, e spesso anche sulla sua vita. In quanto tale, andrebbe sempre sanzionata. Non possono essere surrettiziamente riconosciute irragionevoli eccezioni, assegnando una volta di più alle religioni uno status preferenziale. La circoncisione dovrebbe sempre rappresentare una scelta consapevole e un’operazione eseguita in condizioni di massima sicurezza. Se qualche comunità musulmana la ritiene un cardine dell’islam, benché non rientri tra i suoi cinque pilastri, dovrebbe sovvenzionarla direttamente.

I diritti umani andrebbero conosciuti fin da piccoli. E dovrebbero essere ottenuti quando si è ancora più piccoli. È perc
epibile la latitanza di politiche istituzionali che riconoscano i bambini non come “cosa loro”, come fantocci plasmabili a piacere dai genitori, ma come individui dotati di propri diritti. Anche se ci vorrà tempo, ci arriveremo.

(11 aprile 2019)






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