Contro la religione. Gli scritti atei di H.P. Lovecraft

Carlo Pagetti

Un volume recentemente pubblicato da Nessun Dogma –  la casa editrice dell’Uaar – raccoglie gli scritti, pubblici e privati, in cui il grande scrittore americano si è interrogato sulla funzione della religione, sul suo rapporto con la scienza, la realtà e l’indifferenza del cosmo, sulle ragioni della sua scelta atea. Ne proponiamo due estratti: la postfazione di Carlo Pagetti e una lettera in cui Lovecraft spiega la sua non credenza nel soprannaturale.
Postfazione



Un volume che si avvale degli interventi introduttivi di uno dei più brillanti intellettuali contemporanei, Christopher Hitchens, e del più importante studioso di Lovecraft, S.T. Joshi, non necessita certo di un ulteriore commento critico. Tra l’altro, la densa premessa di Hitchens, datata gennaio 2010, deve essere una delle ultime cose scritte dall’autorevole saggista americano, morto dopo lunga malattia alla fine del 2011. Avendo avuto qualche merito nella fase iniziale della fortuna di Lovecraft in Italia (il mio saggio “L’universo impazzito di H.P. Lovecraft” fu pubblicato sulla rivista accademica Studi Americani, diretta da Agostino Lombardo, nel quasi preistorico 1967), prima ancora che sulla scena irrompessero altri convinti estimatori di HPL come Gianfranco De Turris e Giuseppe Lippi, credo sia comunque utile riannodare i fili di un discorso che recentemente ha dato nuovi frutti. Penso all’intervento di Francesco Marroni su Poe e Lovecraft tenuto nel novembre 2017 durante il convegno sulla critica della fantascienza in Italia organizzato dall’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”. Non solo è indubbio il radicamento della popolarità di Lovecraft nelle nuove generazioni di lettori, come testimoniano le richieste di tesi di laurea a me sottoposte in un passato non lontano, ma anche lo status letterario dello scrittore americano è stato certificato in via definitiva dall’edizione canonica delle sue opere apparsa nella Library of America nel 2005.

Il volume “Contro la religione” raccoglie un considerevole numero di testi, prodotti dalla grafomania del ‘recluso di Providence’, che permettono di ricostruire uno spezzone di storia culturale americana tra le due guerre (Lovecraft morì nel 1937) e suggeriscono una serie di spunti e di stimoli intellettuali, legati sia agli interessi scientifici e filosofici dello scrittore sia alla sua fascinazione per la tradizione puritana del New England, destinati a confluire nei racconti di HPL. Non vi è di fatto alcuna discontinuità tra il Lovecraft saggista e l’autore delle short stories e delle opere più lunghe, e si potrebbe anche dire che i commenti epistolari, le riflessioni speculative, le polemiche a difesa del “materialismo”, una corrente di pensiero delineata in un percorso storico che va dalla filosofia greca fino a Darwin e agli scienziati del primo Novecento (tra cui lo stesso Einstein), sembrano esprimere la voce di uno dei narratori dei racconti dell’orrore lovecraftiani, consapevole della sua personale inadeguatezza e fragilità psicologica, spaventato delle rivelazioni cosmiche che minacciano la sua salute mentale, e tuttavia, armato della sua erudizione, deciso a compiere un viaggio di conoscenza, per mettere in guardia l’umanità, chiusa nell’ignoranza di un progresso senza sbocchi e resa cieca dalle ipocrisie dell’ “idealismo”, dai pericoli che ne minacciano l’annientamento. La fine della civiltà umana sarebbe cosa di poco conto, è vero, nella vita dell’universo, eppure, come del resto accade nella narrativa di E.A. Poe, la ricerca accanita della verità non è mai abbandonata, e nessun terrore sempre maggiore può arrestare la testimonianza dell’esploratore.
Nella sua amara insistenza sull’immensità del cosmo e sul ruolo insignificante ricoperto in esso dall’umanità Lovecraft può ricordare al lettore italiano il pessimismo di Giacomo Leopardi nelle Operette Morali. Per altri versi, lo stesso Lovecraft menziona di frequente la sua matrice puritana, così incisa nella cultura del New England, a cui egli si vanta di appartenere, derivando dai pensatori ‘coloniali’ del Seicento e del Settecento una visione oscura delle forze sataniche e distruttive che incombono sull’umanità. Sebbene, da un certo punto di vista, Lovecraft sovverta la straordinaria intuizione di Poe, secondo cui l’orrore non ha una consistenza esterna, materiale, non proviene dalla Germania, ma si annida nell’animo umano, ciò che lo accomuna al suo predecessore è una prospettiva paradossalmente laica e razionalista, che tende a escludere il sovrannaturale e lascia aperta la strada alla possibilità dell’osservazione diretta, della misurazione empirica dell’ignoto e del mostruoso.
I corpi deformi e bestiali di creature che rivelano un’origine ancestrale preumana o che annunciano il ritorno di esseri belluini appartenenti ad altre dimensioni del tempo e dello spazio sono spaventosi nella loro concretezza e vicinanza: a Innsmouth, la cittadina costiera del New England dove è situato uno dei più sconvolgenti (e coinvolgenti) racconti lovecraftiani, essi circolano per le strade, nuotano vicino alla spiaggia, si esprimono con un linguaggio che non è completamente disumano, ma è piuttosto semi-umano, tanto che l’orrore non deriva dalla loro alienità, ma piuttosto dal fatto che in essi ci si può riconoscere, attraverso di essi si può riscrivere la storia delle proprie origini, le vicende dei propri antenati.
Troppo semplice sarebbe, d’altra parte, l’interpretazione che riconduce la galleria di mostruosità lovecraftiane a un’esplicita paura della contaminazione razziale. In Against Religion non mancano inquietanti affermazioni sulla superiorità dell’etnia inglese e puritana, che deve sconfiggere le pretese dei nuovi migranti. Gli accenni a congiure che avrebbero raccolto sotto le stesse insegne Papisti ed Ebrei richiamano alla mente le farneticazioni del Ku-Klux-Klan, quando non si occupava solo del linciaggio dei neri nel Sud degli Stati Uniti. Un recente studio di Linda Gordon, The Second Coming of the KKK (2017) sottolinea che proprio negli anni ’20 del Novecento, mentre Lovecraft pubblica su Weird Tales molti dei suoi racconti, il Ku Klux Klan aveva recuperato il vigore del periodo successivo alla fine della Guerra Civile Americana (1861-1865), espandendosi anche verso l’ovest e il nord degli Stati Uniti e promuovendo marce e proteste a favore del segregazionismo e contro l’“invasione” dei popoli inferiori provenienti dall’Europa meridionale e centrale, soprattutto cattolici ed ebrei.
Tuttavia, Lovecraft non era certo un agitatore politico, né mostrava alcuna simpatia per i movimenti di massa, tenendosi alla larga anche dal comunismo e dal fascismo. Tra l’altro, nell’ideologia sventolata dal Ku-Klux-Klan spiccava anche il rifiuto totale dell’evoluzionismo darwiniano, apprezzato invece da HPL. Semmai, le parate in costume degli adepti al KKK, tra le cui gerarchie spiccavano i King Kleagles, i Klaliffs, i Grand Goblins, fanno pensare a una sfilata di mostri lovecraftiani, a conferma di quell’ambivalenza che è al centro del discorso narrativo dello scrittore americano, in cui le creature mostruose sono nemiche degli esseri umani, ma sono anche gli stessi esseri umani.

In ogni caso, estimatore del Settecento inglese e della sua dizione elegante e raffinata (come se non fossero esistiti Swift e Hogarth), Lovecraft potrebbe essere considerato piuttosto l’ultimo nostalgico in tutto il territorio degli Stati Uniti, un ultra-reazionario che si sarebbe augurato la vittoria del Regno d’Inghilterra contro i ribelli ‘coloniali’ durante la Guerra di Indipendenza. In realtà, questa è solo un’immagine parziale e fortemente riduttiva. ‘Il potere dell’oscurità’ (riprendiamo il titolo di un famoso libro di Harry Levin, The Power of Blackness, uscito nel 1958 e dedicato a Poe, Hawthorne, Melville) è un motivo presente in tutta la cultura americana dell’Ottocento, che non si accontenta del comodo “idealismo” denunciato anche da Lovecraft e che, avendo perso la fede nella potente tensione religiosa della civiltà puritana delle origini, ha tuttavia conservato il suo timore per quelle forze del male che possono distruggere i fondamenti della comunità.
In uno dei più significativi racconti di Nathaniel Hawthorne, “Young Goodman Brown”, il giovane Brown perde la fede (e Fede, la sua sposa) inoltrandosi nella foresta notturna, per incontrare il demonio e assistere a un sabba infernale in cui sono coinvolti non solo la moglie, ma tutti i maggiorenti del villaggio. Certamente anche la narrativa di Stephen King deve qualcosa al ‘potere dell’oscurità’ esplorato da Lovecraft. In bilico tra allucinazione interiore e manifestazione materiale, il male continua a far sentire la sua presenza, assumendo talvolta caratteristiche esplicitamente diaboliche, come accade nel gotico americano fino ai tempi nostri (si pensi a film come Rosemary’s Baby di Roman Polanski o The Exorcist di William Friedkin, fino al recente The Witch. A New England Folktale di Robert Eggers), ma in altri casi insinuandosi nelle pieghe della vita sociale, generando l’avidità feroce del potere politico ed economico, la volontà di ricorrere alle guerre di sterminio, le singole imprese di individui apparentemente mansueti che si trasformano, brandendo un’arma, in massacratori della propria comunità.

Una volta spogliata della dimensione teologica, perfino la presenza incombente della divinità puritana, evocata nel famoso sermone di Jonathan Edwards “Sinners in the Hands of an Angry God” (“Peccatori tra le mani di un Dio irato”, 1741), acquista connotati terrificanti: “Un mondo di miseria, un lago di zolfo incandescente si estende a dismisura sotto di voi. Ecco il pozzo spaventoso delle fiamme che risplendono della collera di Dio; ecco la bocca spalancata dell’inferno; e voi non avete nulla su cui ripararvi, nulla a cui potete aggrapparvi; non c’è nulla tra di voi e l’inferno; è solo il potere e il piacere di Dio che vi sostiene.”

Se dunque, come sostiene Lovecraft, ogni sistema religioso è fittizio, gioco di prestigio prodotto dalla superstizione, ovvero da antiche leggende, allora anche le divinità di Cthulhu, gli ‘Old Ones’, i ‘Great Ones’, hanno diritto di esistenza nella sfera visionaria dei miti che si incarnano nella letteratura.

Tuttavia Lovecraft era interessato anche agli ultimi sviluppi della scienza e, in particolare, a quelli dell’astronomia. Secondo Joshi avrebbe voluto diventare un astronomo, ma non aveva acquisito le competenze matematiche necessarie. È qui giusto ricordare che tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, Percival Lowell, un noto astronomo americano, ricollegandosi alle osservazioni telescopiche di Schiaparelli, aveva ipotizzato la presenza di una antica civiltà marziana, capace di costruire una rete di canali colossali sul pianeta rosso, per trasportare l’acqua dai poli alle zone più aride. H.G. Wells aveva sfruttato l’immaginario marziano, che poi sarebbe stato ripreso da Edgar Rice Burroughs, Arthur C. Clarke, Ray Bradbury, Philip K. Dick e da molti altri scrittori di fantascienza, ne La guerra dei mondi (1898), per evocare l’invasione marziana vicino a Londra. Le creature mostruose e ripugnanti che emergono da un cilindro sprofondato nel terreno di un pacifico parco inglese sono senza ombra di dubbio i predecessori delle raccapriccianti entità cosmiche lovecraftiane, prive di sentimenti e di emozioni. Esse hanno origini ‘naturali’, darwiniane, non sono forze sovrannaturali.

Certo, dopo l’inizio dei scientific romances tardoottocenteschi, Wells si era poi trasformato in un profeta impegnato a costruire un futuro in cui l’inevitabile progresso tecnologico avrebbe dovuto coniugarsi con una robusta ispirazione umanistica, capace di abolire le diseguaglianze di genere e di ceto sociale. Lovecraft guarda piuttosto al passato, e il linguaggio dei suoi saggi, concettoso e a tratti un po’ pomposamente erudito, esalta la figura di un saggio che condivide la sua conoscenza con un gruppo di adepti isolati dalle masse.

La sentenziosità del Lovecraft saggista, la sua pignoleria di recluso che si rivolge ad altri reclusi come lui o peggio di lui (basta vedere lo scambio di opinioni di una manciata di grafomani chiamati kleicomolo, dove il lo finale sta per Lovecraft), la sua mania di scrivere lunghissime e laboriosissime missive (non dissimile, in questo, da un altro romanziere americano di culto, P.K. Dick, che, morendo nel 1982, non avrebbe assistito al trionfo della posta elettronica) sono spie, dopo tutto, di un senso di angoscia, dello horror vacui, che la scrittura sulla pagina bianca cerca disperatamente di esorcizzare. Il vuoto che esprime il silenzio della ragione genera mostri e apre la strada all’alfabeto della follia. È per sconfiggere quel vuoto che HPL continua a scrivere anche per noi.
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Che cos’è la religione?


Quanto segue è un estratto da una lettera indirizzata a Emil Petaja (6 marzo 1935). Petaja (1915-2000) era a quel tempo un giovane appassionato di fantascienza con una inclinazione verso lo spiritualismo. Petaja sarebbe poi diventato un rinomato scrittore ed editore di fantascienza.

Per quanto riguarda la questione della religione, sebbene un racconto non sia di certo un luogo dove esternare visioni filosofiche, devo dire che io stesso non credo in qualsivoglia forma di soprannaturale. Mentre la religione era una cosa perfettamente naturale per l’umanità durante le sue prime epoche, quando nulla di definito era conosciuto nei riguardi della costituzione della materia e delle cause dei fenomeni naturali, ebbene ad oggi non c’è alcuna ragione per la sua esistenza alla luce di ciò che sappiamo nei riguardi dell’universo e nei riguardi dei nostri stessi processi mentali ed emotivi.
Ora capiamo che i diversi avvenimenti dell’universo e i fenomeni della vita e della coscienza sono tutti parte di uno schema generale di mutazioni di forza e materia il cui flusso perpetuo [non ha] una direzione o uno scopo consci. Se da un lato non c’è una confutazione sicura di una coscienza cosmica, dall’altro non c’è motivo per credere che esista una cosa di tal genere. È esattamente come se io dovessi dire che un uomo di nome Smith vivesse in una casa di mattoni in una città chiamata Nuth sul terzo satellite di Giove. Non c’è modo di smentire quanto affermo, ma chi crederebbe in qualcosa di così ingiustificato e improbabile? E quando arriviamo ad analizzare il soprannaturale troviamo che crea un presupposto non meno ingiustificato e improbabile. Ciò che realmente fa sì che ci si liberi della credenza nel soprannaturale è la nostra moderna comprensione del motivo per cui è esistita.
La psicologia e l’antropologia ci hanno ora mostrato come e perché i concetti di “spirito”, “divinità”, “immortalità”, “giusto e sbagliato” (distinti dai principi sensati che si basano sull’estetica e sull’etica utilitaristica), “venerazione”, “peccato”, etc., etc. ebbero origine tra razze primitive che cercavano di spiegare sia il groviglio sconosciuto del mondo esterno sia le loro emozioni; le due discipline hanno inoltre reso molto ben chiaro che lo sviluppo di questi concetti è una inevitabile concatenazione della ignoranza primitiva, la qual cosa non implica che ci sia alcuna verità dietro di loro. Le scienze stesse hanno anche dimostrato perché questi concetti siano arrivati a esercitare una così grande influenza sulle emozioni della maggioranza e perché siano sopravvissuti in maniera così persistente a dispetto di una conoscenza accresciuta che li ha praticamente confutati.
Non è quindi più possibile sostenere che l’intenso desiderio o il profondo credo emotivo della maggioranza nel corso di tutte le ere formi una qualche indicazione della verità dei concetti di “divinità” o “immortalità”. Oggigiorno sappiamo, attraverso la psicologia, che qualsiasi credenza o preconcetto emotivo, non importa quanto falso o assurdo, può essere impiantato nel cervello e nel sistema nervoso di un essere umano con una tremenda forza e solidità se la vittima ne viene inoculata durante l’infanzia. Una persona così assoggettata all’indottrinamento con qualche idea speciale a un’età sotto i sette anni avrà sempre una più profonda predisposizione istintiva nei riguardi di quell’idea, ma ciò non ha nulla a che fare con la verità dell’idea stessa.
Non esiste una propensione naturale verso la religione. Quest’ultima, in origine, cercava semplicemente di spiegare lo sconosciuto attraverso un simbolismo poetico e una rozza personificazione; oggi la religione sopravvive tra la maggioranza meno analitica delle persone meramente perché hanno una mancanza di informazioni scientifiche e perché il loro apparato emotivo è stato permanentemente pregiudicato o storpiato dalla propaganda religiosa che era stata ficcata loro in testa durante l’infanzia, prima che la loro mente e le loro emozioni si fossero sviluppate oltre lo stato infantile di debole e non critica ricettività.
È veramente un crimine contro un bambino il cercare di influenzare in qualsiasi modo la sua credenza intellettuale. Qualsiasi cosa simile alla faziosità o all’indottrinamento dovrebbe essere confinata a certi concetti generici che siano stati trovati essere universalmente utili e armoniosi attraverso l’esperienza razziale, concetti come l’onestà, l’ordine, la non violazione della proprietà privata, etc., i quali sono collegati a una condotta pratica e non a questioni di opinioni. Nel momento in cui si tratta di punti riguardanti la teoria e la credenza, l’unica cosa decente e onorevole da farsi con un bambino è di insegnargli una rigorosa apertura mentale e una integrità intellettuale, spingendolo a non accettare nulla che provenga dal solo pettegolezzo o dalla cieca tradizione, e invece a giudicare tutto onestamente sulla base delle prove esistenti. Se la religione è vera, prima o poi allora la accetterà. Se non è vera, sarà allora libero da una degradante schiavitù mentale che non può essere chiamata in maniera franca credenza. Il fatto è che un vero amico della religione non desidererebbe che nessun uomo la accetti nel caso in cui non si compisse quest’atto passando per una valutazione onesta e di mentalità aperta di tutte le prove offerte dai fenomeni che si trovano attorno a e dentro di lui.
Tutti i tentativi di plasmare la credenza su basi emotive e non razionali devono essere condannati senza riserve in quanto indegni di qualsiasi organismo tanto fortemente evoluto come l’uomo. Ciò va applicato tanto alla propaganda non religiosa e antireligiosa quanto a quella religiosa. I Soviet russi sono parimenti degni di biasimo nel deformare le emozioni popolari favorevoli alla religione. Ciò che realmente bisognerebbe insegnare alle persone è come pensare. Nove decimi delle persone nel mondo non pensano mai veramente a qualsiasi tema di larga scala. Loro immaginano di avere delle “opinioni”, ma queste “opinioni” sono completamente il prodotto di emozioni irrazionali, di un cieco retaggio e di una assoluta indolenza mentale, cosa per cui non sono degne di portare il nome che viene dato loro. E ciò va applicato alla maggioranza degli atei tanto quanto alla maggioranza delle persone religiose. Staremmo molto meglio se i nostri precettori smettessero di cercare di insegnarci delle attitudini speciali e ci dessero dentro con l’affare vitale dell’insegnarci il pensiero accurato e la severa onestà intellettuale.

In vista di quanto sappiamo oggi sull’universo e su noi stessi, è molto poco probabile che i vecchi concetti di dualismo (“spirito”), immortalità, e coscienza e scopo cosmici possano avere una qualche verità in loro. Ma ciò non deve disturbarci assolutamente. Effettivamente, l’ipotetico desiderio nei riguardi di tali cose è semplicemente una condizione emotiva artificiale determinata dal nostro ambiente passato. Non appena bandiremo idee simili dalla nostra testa, cesseremo di sentire qualsivoglia dolore nei confronti della loro falsità. Ci sono un mucchio di fondamenta per una vita fruttuosa, ordinata e armoniosa senza che venga tirato in ballo l’elemento soprannaturale. Sebbene la vita e l’umanità siano solo casi o eventi triviali nell’universo, sono ciononostante importanti in sé.
L’essere umano ha un insieme ben definito di istinti ed emozioni, e pianificare un modo di vita che li soddisferà provocando il minor numero possibile di disaccordo, disarmonia e violazione, e il maggior numero possibile di opportunità per la crescita e l’espressione degli attributi più evoluti della specie, ebbene ciò è un lavoro a tempo pieno di cui nessun filosofo o capo o insegnante di etica deve provare vergogna. Questo compito di direzione etica, basato su sani principi di estetica e di sociologia, è quel compito che ora sta aspettando l’arrivo di quel tipo di uomo che nelle età più antiche fu un capo religioso.
Non propugno l’estirpazione forzata della religione, ma reputo saggio trasferire le energie verso qualcosa che ha un fondamento nella realtà. Le condizioni della vita stanno crescendo in modo sempre più differente da ciò che furono nelle epoche quando le diverse religioni presero forma; da ciò deriva il fatto che una persona non può più aspettarsi che una qualsiasi etica basata sulla religione sia in qualsiasi momento utile quanto un’etica basata sulla realtà. Di più, la religione sta perdendo rapidamente la sua presa emotiva ed etica su tutte le classi, anche quelle che credono in lei consciamente. L’ampio divario tra ciò che insegna e ciò che noi sappiamo essere reale è un qualcosa di troppo vasto per essere nascosto e sorvolato. Le persone se ne rendono conto in maniera subconscia anche quando ne sono cieche con le loro menti consce.
La religione in quanto forza pratica nella vita è morta, e se oggi ci aspettiamo di chiamare a raccolta le emozioni delle persone per una qualsiasi causa allo stesso modo in cui in passato erano chiamate a raccolta per la religione, allora dobbiamo fornire qualcosa in cui possano veramente credere… tanto con il loro subconscio quanto con le loro menti consce. I russi possiedono qualcosa di simile nel loro modo di vita basato sull’adattamento sociale. Se vogliamo qualcosa di altrettanto potente, allora dobbiamo fornire un certo ideale di adattamento umano che abbia una possibilità reale di funzionare e di offrire alle persone un insieme effettivamente sopportabile di condizioni di vita. La religione promette sempre ma non ha alcuna forza di azione. È semplicemente un tipo di intossicazione emotiva, incapace quanto il whisky a rendere reali le grandiose visioni di cui parla continuamente. La razza è troppo disincantata e realista a questo punto del gioco per seguire un fantasma di tal genere.
Se vogliamo veramente radunare tutti per un singolo scopo, dobbiamo formulare un obiettivo che abbia una possibilità dimostrabile di dare all’intera umanità condizioni migliori nell’unica vita che si è certi di avere. Non credo che l’ideologia sovietica abbracci il miglior obiettivo possibile, e odierei vedere tale ideologia instaurata nel mondo occidentale. Ma perlomeno è un obiettivo reale, qualcosa a cui gli uomini possono intelligentemente essere fedeli. In questo momento il mondo occidentale non possiede qualcosa del genere, sebbene il movimento nazista pensi di averne trovato uno. Viviamo in un’era di inequivocabile decadenza, l’ultima fase di un modo di vita fondato su condizioni e credenze per sempre scomparse per quanto riguarda il ciclo della civilizzazione.
Troveremo mai un sostituto, un ordine sociale praticabile che possa risolvere immediatamente i problemi economici e sociali del presente, e preservare (cosa che il sistema sovietico non riesce a fare) ciò che è ancora sano e infinitamente di valore nel retaggio culturale del passato? Non lo so, ma se dovessimo riuscirci avremmo qualcosa attorno a cui possono accorrere i nostri figli esattamente come i nostri padri si radunavano attorno agli ideali del passato. Le possibilità sono le stesse sia nel caso che una cosa del genere possa accadere, che nel caso che ci sia un lungo periodo di decadenza al di sotto di un qualche spietato sistema fascista… o che ci sia un tuffo in un bolscevismo per cui il mondo occidentale non è adatto.
* pubblicato per gentile concessione di S. T. Joshi, Sporting Gentlemen e Nessun Dogma.

(14 giugno 2018)







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