Coronavirus: Macron riscopre la socialdemocrazia?

Gloria Origgi



Un passaggio del discorso a reti unificate del presidente francese Macron del 12 marzo scorso fa riflettere:
“Miei cari compatrioti, domani dovremo trarre le lezioni necessarie dal momento che attraversiamo, mettere in questione il modello di sviluppo scelto dal nostro mondo da decenni e che rivela ora chiaramente le sue insufficienze, mettere in questione le debolezze delle nostre democrazie. Ciò che questa pandemia rivela immediatamente è che l’accesso a un sistema di previdenza sociale gratuito senza condizioni di reddito, di percorso o di professione – il nostro Stato sociale – non è un costo o un’incombenza, ma un bene prezioso, anzi un vantaggio indispensabile quando il destino colpisce. Ciò che questa pandemia rivela è che esistono beni e servizi che devono essere posti al di fuori delle leggi del mercato. Delegare agli altri la nostra alimentazione, la nostra protezione, la nostra capacità di mantenere uno stile di vita è una follia. Dobbiamo riprendere il controllo, costruire più ancora di quanto già non facciamo una Francia e un’Europa sovrana, una Francia e un’Europa che serrano in mano con forza il loro destino. Le prossime settimane e i prossimi mesi necessiteranno di decisioni di rottura in questo senso. Io le assumerò.” *

Il presidente-banchiere, eletto da una piattaforma cosiddetta “né lib né lab” ma rivelatosi presto molto più lib che lab pronuncia un discorso dalle derive mélanchoniste sul bisogno di ripensare il modello economico ultraliberale degli ultimi decenni e di “riprendere in mano il nostro destino”. Al di là degli accenti sovranisti, che forse fanno più parte degli artifici retorici del capo dello stato francese che della sostanza delle sue parole, quel che stupisce è il ritorno di un discorso apertamente socialdemocratico, dove lo stato sociale è visto come un investimento a protezione del bene più caro che ha una nazione: le persone.

Dopo anni di tagli alla sanità, alla ricerca, all’università, alla scuola, i vari stati europei si risvegliano come da un incantesimo e promettono investimenti e manovre per salvare la pelle, la salute e il decoro dei cittadini “costi quel che costi”. Valori come il “patto di stabilità”, il 3% di Maastricht, il pareggio in bilancio saltano in aria davanti alla minaccia ben più concreta al valore della nostra pelle.

I grandi choc collettivi, come le guerre, le epidemie, le catastrofi naturali, sono spesso momenti chiave per ripensare le condizioni stesse del patto sociale che ci tiene insieme. In una breve novella ambientata durante il terremoto del 1647 a Santiago del Cile, Heinrich von Kleist racconta di una società rinnovata nei suoi valori da quella sciagura collettiva fino a trasformarne, almeno per un certo tempo, le norme sociali più profonde.

In un bel libro, La peste nella storia, William Hardy McNeill spiega come durante la peste nera in Europa tra il 1347 e il 1351 morì la metà della popolazione del continente, ma insieme ci fu un cambiamento radicale nella gestione delle proprietà terriere, con un abbassamento del costo della terra, una rivalutazione del lavoro contadino e lo sviluppo di nuove tecnologie per sopperire alla mancanza di braccia. Oltre che a una riforestazione dell’Europa, i cui boschi erano stati rasati a zero dallo sviluppo economico. Insomma, una tragedia può trasformarsi anche in un ripensamento della società per il meglio.

Questo periodo, non si sa quanto lungo, di panico collettivo può essere l’occasione di ripensare insieme quali sono le basi del nostro vivere comune, quali le norme che siamo disposti a negoziare e quali i valori (come la salute) sui quali nessun pareggio di bilancio può chiederci di scendere a patti. In un certo senso il “bene comune” che abbiamo così tanto perso di vista negli ultimi decenni è un concetto assai semplice: salute, cibo, relazioni sociali…

Cerchiamo di non perdere questa occasione, anche se tragica, di ripensare i fondamenti della nostra civiltà, di non tornare in meno di un istante all’uscita di questo tunnel alle follie del tardo-capitalismo che non digeriva più nessuno, nemmeno l’ecosistema che ci consente di esistere su questa Terra.

Senza per questo ripiegarsi eccessivamente su inutili patriottismi, sovranismi dell’ultim’ora, ma ripensando il modello socialdemocratico a livello europeo, combattendo così le insensatezze della globalizzazione grazie a una tradizione di pensiero che è già presente nel nostro continente.

*Mes chers compatriotes, il nous faudra demain tirer les leçons du moment que nous traversons, interroger le modèle de développement dans lequel s’est engagé notre monde depuis des décennies et qui dévoile ses failles au grand jour, interroger les faiblesses de nos démocraties. Ce que révèle d’ores et déjà cette pandémie, c’est que la santé gratuite sans condition de revenu, de parcours ou de profession, notre Etat-providence ne sont pas des coûts ou des charges mais des biens précieux, des atouts indispensables quand le destin frappe. Ce que révèle cette pandémie, c’est qu’il est des biens et des services qui doivent être placés en dehors des lois du marché. Déléguer notre alimentation, notre protection, notre capacité à soigner notre cadre de vie au fond à d’autres est une folie. Nous devons en reprendre le contrôle, construire plus encore que nous ne le faisons déjà une France, une Europe souveraine, une France et une Europe qui tiennent fermement leur destin en main. Les prochaines semaines et les prochains mois nécessiteront des décisions de rupture en ce sens. Je les assumerai.

(21 marzo 2020)





MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.